Comincia così, con una “confessione dell’autore”, quella commovente dichiarazione d’amore al gioco del football che va sotto il nome di “Splendori e miserie del gioco del calcio”. Eduardo Galeano, giornalista, scrittore e saggista nato a Montevideo 75 anni fa, ripercorre oltre sessant’anni di storia di questo sport straordinario attraverso ricordi e aneddoti racchiusi nel suo libro: dai Mondiali del 1930, disputati guarda caso proprio in Uruguay e vinti in finale dai padroni di casa grazie al 4-2 sugli odiati cugini dell’Argentina, fino a Pelè, Maradona e Roberto Baggio. Non potendo esprimere la propria passione per il pallone attraverso i suoi piedi da “scarpone”, Galeano lo fa attraverso la penna e la scrittura. I suoi appunti e racconti sono la celebrazione del sogno che il calcio rappresenta nell’immaginario della gente. Un sogno popolato da storie, momenti e personaggi che dureranno in eterno. Personaggi come Zamora, che per vent’anni fu il miglior portiere al mondo «bevendo cognac e fumando sigari e tre pacchetti di sigarette al giorno»; Meazza, che ai Mondiali del 1938 sconfisse in semifinale il Brasile «segnando un rigore mentre gli cadevano i calzoncini»; Puskas, che dopo la sconfitta in finale nei Mondiali del 1954 dichiarò che «lo spogliatoio tedesco odorava come un giardino di papaveri» e che per questo «i vincitori avevano corso come treni»; Garrincha, che ha regalato «più allegria di tutti nella storia del football e morì povero, ubriaco e solo»; Yashin, che «parò più di cento rigori e salvò chissà quanti gol già fatti»; Pelè, che ha segnato «il suo millesimo gol al Maracanà»; Eusebio, l’africano del Mozambico «destinato a lustrare scarpe e diventato invece la Pantera nella Coppa del Mondo del 1966»; Cruyff, che «ancora ragazzo debuttò nella nazionale olandese, giocò stupendamente, segnò un gol e fece svenire l’arbitro con un cazzotto»; Maradona, che da bambino dormiva abbracciato a un pallone e da grande con quel pallone «giocò, vinse, pisciò e fu sconfitto».
Ma non solo Maradona fu sconfitto. A volte dalla Storia è uscito sconfitto anche il calcio. È accaduto in Argentina, nel 1978, durante la sanguinaria dittatura del generale Jorge Rafael Videla. Scrive Galeano: «Parteciparono dieci paesi europei, quattro americani, Iran e Tunisia. Il papa inviò la sua benedizione. Al suono di una marcia militare, il generale Videla decorò Havelange durante la cerimonia di inaugurazione nello stadio Monumental di Buenos Aires. A pochi passi da lì era in pieno funzionamento la Auschwitz argentina, il centro di tortura e di sterminio della Scuola di Meccanica dell’Esercito. E, alcuni chilometri più in là, gli aerei lanciavano i prigionieri vivi in fondo al mare». Eccole le “miserie” del titolo, le pagine tristi del più bel gioco del mondo.
Il calcio, per Galeano, è pertanto una metafora della vita, nel bene e nel male. Il calcio come metafora soprattutto in un continente, quello sudamericano, caratterizzato da contraddizioni ed incertezze, da disagi e povertà, dal desiderio estremo di riscatto attraverso un dribbling riuscito o un gol realizzato. Galeano non ignora gli aspetti meno luminosi di uno sport che è anche un lucroso affare. Tuttavia, come accade agli innamorati, le inevitabili miserie non diminuiscono, al suo sguardo, lo splendore del gioco. «Un giornalista - ricorda a un certo punto l’autore - chiese alla teologa tedesca Dorothee Sölle: “Come spiegherebbe a un bambino cos’è la felicità?”. “Non glielo spiegherei”, rispose, “gli darei un pallone per farlo giocare”». Il calcio, il gioco più bello del mondo.
Eduardo Galeano
“Splendori e miserie del gioco del calcio”
Sperling & Kupfer Edizioni
Pag. 252
16,50 euro
e-book 8.99 euro