Il mondo sottosopra è in Argentina, nel 1978, durante i mondiali di calcio vinti dai padroni di casa mentre gli uomini del generale Jorge Rafael Videla torturavano e uccidevano chiunque provasse a opporsi alla dittatura del regime militare. Argentina ’78 è stata sicuramente una delle pagine più buie che lo sport ricordi, una delle storie di calcio più tragiche che il pallone abbia mai raccontato. E a rievocarle, quelle tristi pagine di follia, è il giornalista Alec Cordolcini (con la collaborazione di Andrea Maggiolo) nel libro “Pallone desaparecido. L’Argentina dei generali e il Mondiale del 1978”, edito da Bradipo Libri.
Un racconto di 163 pagine che ripercorre le tappe più importanti del campionato della vergogna, districandosi abilmente tra calcio e politica, gioie e dolori, gol e sofferenza.
La sofferenza di un popolo, quello argentino, che il mondo imparerà a conoscere proprio grazie allo sport e al pallone. Come non ricordare, infatti, la marcia di decine di donne col fazzoletto bianco - che davanti alla sede del governo chiedono notizie dei loro figli scomparsi da mesi o da anni - riprese dalla tv olandese mentre tutte le altre televisioni del pianeta sono impegnate a mandare in onda la cerimonia inaugurale del torneo?
È in quel momento che il mondo impara a conoscere le madri di Plaza de Majo e le loro tragiche storie umane, personali, familiari. I loro figli passeranno alla storia come i “desaparecidos” argentini: un’intera generazione di giovani tra i venti e i trent’anni spazzata via da un regime militare che opera indisturbato già da un paio di anni tra l’indifferenza ingiustificata della comunità internazionale. Una comunità che aiuta addirittura il regime di Videla a organizzare quel mondiale di calcio che i padroni di casa devono vincere a tutti i costi. E vinceranno, in effetti, grazie anche a quella che verrà definita la “marmelada peruana”: il 6-0 dei biancocelesti di Luis Cesar Menotti sul Perù, con la gentile collaborazione del portiere di origini argentine Ramon Quiroga, che consente ai padroni di casa di raggiungere la finale contro l’Olanda ai danni del Brasile, che si accontenterà invece di disputare contro l’Italia di Bearzot la finale per il terzo e quarto posto.
E l’Argentina la finale la vincerà ai supplementari, per 3-1, con una doppietta del capocannoniere del torneo, Mario Kempes. È la vittoria della grinta e della determinazione biancocelesti sulla classe dei tulipani orfani di Johan Cruijff, che rimarrà a casa per paura, come confesserà anni dopo, di essere rapito.
L’Argentina è campione del mondo, ma i calciatori che hanno vinto sul campo non parlano volentieri di quell’avventura. E c’è chi ricorda l’allenatore Menotti dire ai suoi giocatori: «Non vinciamo per quei figli di puttana, vinciamo per alleviare il dolore del popolo». E la gente? C’è chi scende in strada a festeggiare e chi proprio non ce la fa, come il futuro allenatore di pallavolo Julio Velasco: «Io e mia moglie ci abbiamo provato, ma dopo cinque minuti non ce l’abbiamo più fatta a stare lì a festeggiare. Era impossibile esultare mentre la gente spariva, veniva ammazzata e torturata».
Torturata dai militari nelle anguste e improvvisate “stanze dell’orrore”. Tanto per fare un esempio, il famigerato campo di concentramento dell’Esma si trovava a due passi dallo stadio Monumental del River Plate.
Le cifre ufficiali alla fine parleranno di circa 30mila persone scomparse durante il governo della Junta militar.
Desaparecide, ma sarebbe più corretto dire uccise.
L’evento sportivo argentino resterà sullo sfondo, per sempre.
Doveva essere una grande festa, è stato un massacro.
“Pallone desaparecido. L’Argentina dei generali e il Mondiale del 1978”
Bradipo Libri
Pag. 163
13,60 euro
e-book, 6,99 euro