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Lunedì, 14 Novembre 2016 11:45

La mia rivoluzione

Scritto da Giovanni Falconieri
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Il grande Gianni Brera lo definì «il Pelé bianco», ...

... mentre l’ex fuoriclasse del Real Madrid Alfredo Di Stefano di lui disse: «Non è un attaccante, ma fa tanti gol. Non è un difensore, ma non perde mai un contrasto. Non è un regista, ma gioca ogni pallone nell’interesse del compagno». 

Lungo tutta la sua carriera, Johan Cruyff è stato sinonimo di calcio totale e il profeta di una nuova religione calcistica che unisce ordine e creatività, forza fisica e cervello, tradizione e rivoluzione. Capelli lunghi modello beat generation, idee libere e temperamento ribelle, quella del Pelé bianco è una storia straordinaria che parte dalla periferia di Amsterdam e arriva dritta all’olimpo del calcio. 

Una storia che Bompiani ha deciso di pubblicare a poco più di sei mesi di distanza dalla morte del fuoriclasse olandese, stroncato all’età di 69 anni da un cancro ai polmoni lo scorso mese di marzo. “La mia rivoluzione”, questo il titolo dell’opera, è l’autobiografia che il campione “orange” ha scritto insieme con il giornalista e connazionale Jaap de Grot. Già il colore scelto per la copertina del libro, l’arancione, la dice lunga sull’impronta, profonda, che Johan Cruyff ha lasciato nel mondo del pallone: prima di lui, infatti, quel colore non contava nulla nel gotha del calcio; poi, grazie a lui, è diventato sinonimo di calcio-totale e di una nazionale, quella olandese, capace di giocare due finali consecutive dei campionati mondiali di calcio, perdendole entrambe contro i padroni di casa della Germania, nel 1974, e dell’Argentina, nel 1978 (ma in quest'ultima occasione Cruyff non giocò in segno di protesta contro la dittatura dei generali che avevano preso il potere a Buenos Aires).
Alla fine vinsero tedeschi e argentini, è vero. Ma il calcio più bello fu quello giocato dai tulipani.

E di quel nuovo modo di giocare, oggi Cruyff ci racconta che «non era un calcio dispendioso. Certo c’era da correre, ma era più importante correre bene che correre tanto». Di quella squadra facevano parte campioni come Suurbier, Neeskens e Swart, ma anche Krol, Muhren e Keizer. Da loro, ricorda adesso il capitano di quella memorabile nazionale, «ti potevi aspettare qualunque cosa». E lui, Cruyff, era abile nell’inserirsi di qua o di là, adattandosi di volta in volta alle caratteristiche di ciascuno dei suoi compagni ed esaltando allo stesso tempo quelle caratteristiche.

Ma nel libro c’è tutta la storia di Johan Cruyff, non solo la sua straordinaria esperienza in nazionale.

Il futuro fuoriclasse era entrato giovanissimo nell’Ajax e con la maglia della squadra di Amsterdam avrebbe poi conquistato tre Coppe dei Campioni consecutive prima di passare al Barcellona nel 1973 per una cifra record. Grazie a lui, in quella stagione i blaugrana sarebbero tornati a trionfare nella Liga dopo quattordici anni di digiuno.

Tre volte Pallone d’Oro, Cruyff ha quindi lasciato il calcio nel 1984 e ha portato la sua rivoluzione calcistica sulle panchine di Ajax e Barcellona. E con la sua filosofia avrebbe influenzato generazioni di allenatori a venire.

Nel 1997, infine, ha dato vita alla “Cruyff Foundation”, realtà che promuove progetti sportivi per i più giovani.

In “La mia rivoluzione”, il fuoriclasse “orange” si racconta con l’umorismo e l’onestà che l’hanno sempre contraddistinto e consegna alla sua autobiografia la storia di un’incredibile eredità.

 

“La mia rivoluzione”
Johan Cruyff e Jaap de Grot 
Bonpiani
Pag. 240
14.45 euro
e-book 9.99 euro

Letto 1511 volte Ultima modifica il Lunedì, 14 Novembre 2016 11:57

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