INTERVISTA - Il giovane tecnico dei vinovesi si è calato a meraviglia nella nuova realtà dopo le esperienze al Lenci Poirino e al Carmagnola. Dopo il rodaggio al Super Oscar, scatta il campionato e nelle prime 8 giornate i suoi ragazzi hanno fatto faville, vincendo tutti gli incontri e risultando ad ora la miglior difesa del Piemonte a livello regionale.
Mister un inizio in grande stile, segno che in questi primi mesi avete lavorato benissimo.
"La nostra stagione è iniziata il 20 di Agosto e abbiamo imbastito da subito doppie sedute condite poi dalla partenza per il ritiro a Bardonecchia. Era importante passare fin dall'inizio tanto tempo insieme visto l'immenso lavoro della società che ha portato ad avere 15 nuovi giocatori e le difficoltà del caso ad amalgamare un gruppo totalmente nuovo con soli 7 ragazzi che già indossavano la maglia del Chisola la scorsa stagione. Sono ragazzi con le idee chiare e con un sogno da rincorrere, che hanno accettato di indossare questi colori con la consapevolezza che bisogna lavorare seriamente per sfruttare le occasioni e la vetrina che questa società ti dà. Siamo a un buon punto di coesione e affiatamento tra vecchi e nuovi elementi. Il lavoro da fare è sicuramente tanto, ma abbiamo tutto gli ingredienti necessari per fare bene: società, struttura, staff e soprattutto le qualità dei ragazzi. Non bisogna mai dimenticare che allenare dei 14/15enni significa avere a che fare con ragazzini che si svegliano prestano al mattino vanno a scuola, studiano, tornano a casa, regole da seguire in casa, quindi sicuramente da parte nostra è importante strutturare sedute e metodologie che gli permettano di crescere, imparare e migliorare attraverso attività dove in primis vanno stimolati estro, fantasia e farli divertire e appassionare ancor di più al calcio".
Con loro come ti rapporti?
"Cerco di creare un ambiente dove esiste sana competizione e dove ci si diverta, soprattutto negli spogliatoi voglio che regni la serenità. In campo sono uno che pretende, forse troppo a volte, ma credo che questo spingersi oltre possa portare i ragazzi a migliorarsi ulteriormente soprattutto a livello di cultura sportiva".
La chiamata del Chisola dopo il bel campionato con il Carmagnola è stato un bell'attestato di stima.
"Allenare al Chisola è, per me, prima di tutto un onore e ci tengo a ringraziare per questa possibilità il direttore Alessandro Freda e il presidente Luca Atzori, prima per la possibilità datami e poi per le grandi risorse che hanno messo a disposizione, perché credo abbiano fatto un lavoro clamoroso nel creare questo gruppo. Ragazzi forti che vengono da ogni provincia è la testimonianza della grandezza del lavoro svolto dal direttore e dal presidente. E' un ambiente stimolante, c'è la possibilità di imparare dagli altri allenatori, la possibilità di confrontarsi con realtà professioniste attraverso numerosi test match, e comunque la certezza di allenare ragazzi dalle qualità importanti, il tutto fatto in una struttura di primissimo livello. Chi passa da qua, credo abbia il compito di lavorare in funzione dei ragazzi continuando la scia intrapresa già da molti anni dalla società, e cioè quella di costruire giocatori pronti per la nostra prima squadra o il professionismo. Per questo ci tengo a sottolineare come l'ambiente Chisola sia ai limiti del professionismo, in tutti i suoi aspetti".
Cosa ti hanno lasciato le esperienze passate?
"Mi porto dietro tanto anche perché il percorso intrapreso fino ad oggi mi ha insegnato a vivere il calcio a 360 gradi e non in maniera circoscritta al campo. Se dovessi citare qualcosa in particolare direi la capacità di adattarsi ai diversi contesti. Ho poi avuto la fortuna da giocatore di avere parecchi allenatori da cui ho potuto imparare tanto, mi vengono in mente Stefano Guidoni e Alberto Lampo, o che abbiamo poi visto in serie A, Sarri e Longo. E proprio su quest'ultimo spendo due parole in più: è stato l'allenatore con cui ho giocato meno, ma quello che mi ha insegnato di più, umanamente soprattutto".
Nel professionismo c'è qualche allenatore al quale ti ispiri?
"Pensare di "scimmiottare" qualcuno a livello professionistico è impensabile, e neanche mi permetterei di farlo, perché poi quello che è fondamentale è esaltare le caratteristiche della squadra che si allena. In linea generale comunque mi piace un calcio dove la prima pressione è feroce cercando di esaltare le caratteristiche individuali una volta recuperata palla. Ciò che non deve mancare invece mai, a mio avviso, è lo spirito di sacrificio. Ci tengo anche a ringraziare il mio staff per tutto ciò che facciamo insieme, da mio papà il mio dirigente fidato, al mio collaboratore Stefano Pantaleoni, al dirigente Massimo D'Apice per il suo fondamentale aiuto".
In futuro come ti vedi, ti piace l'idea prima o poi di passare ad allenare gli adulti?
"Nel futuro non so cosa ci sarà, per ora sto bene con i ragazzi, mi aiutano a non farmi diventare boomer prima del previsto [ride N.d.R.]. E' prematuro parlare di salto tra gli adulti, prima voglio essere certo di essere un buon allenatore per i ragazzi".
Pensi ci siano aspetti critici nel mondo-calcio di cui fai parte?
"Aspetti difficili nel calcio in realtà non è che ce ne siano tanti, è un po' una selezione naturale questo sport. Quello che cambia sono le generazioni. Quando giocavo, e spesso è capitato che non giocassi affatto, non mi sono mai pianto addosso e soprattutto per i miei genitori non avevo fatto abbastanza. Oggi nel calcio come a scuola e nella vita, si tendono a fare scelte accomodanti a cercare di raggiungere gli obiettivi senza fatica, senza delusioni. Nella mia generazione, e ancora di più in quelle prima della mia, fallire e doversi rialzare era quasi all'ordine del giorno. Oggi il "fallimento" viene esorcizzato e mai accettato, quando invece è importante per migliorarsi. Non conosco nessuno sportivo che non abbia mai perso. Mi viene in mento una citazione di Micheal Jordan dove racconta quanto dietro ai suoi successi ci siano anche sconfitte, canestri sbagliati eccetera. Il City di Guardiola ora ha perso 4 partite di fila, e Gatti arriva alla Juve in Serie A dopo un'immensa trafila nei dilettanti. Il calcio e lo sport non sono scienze esatte, ma se ci si abitua a rialzarsi quando si sbaglia allora sicuramente, quanto meno umanamente, saremo migliorati. Per il resto, il calcio deve essere un veicolo educativo, saper riconoscere le figure di riferimento, salutare quando si entra in un impianto sportivo, è il minimo che uno sportivo debba fare, ma qua al Chisola è stato fatto già un grandissimo lavoro negli anni e tutti i gruppi sono abituati a lavorare con dedizione ed educazione".