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Lunedì, 31 Agosto 2015 09:51

Lettera a mio figlio sul calcio

Scritto da Giovanni Falconieri
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«Ti vedo correre, figlio mio, calciare e fare l’aeroplanino come Montella dopo il gol. E allora vieni qui, facciamo finta che sia l’intervallo della partita e ascolta questa storia.»...

...«Ci sono giocatori famosi e sconosciuti, partite storiche e inutili, gol fatti e gol subiti. Come succede nella vita. Perché il calcio non è altro che il racconto di tante vite».

Il calcio è una metafora della vita. È uomini e storie, pianti ed esultanza. Ed è per questo che sopravvive a tutto. Darwin Pastorin, figlio di emigranti veronesi e giornalista sportivo, dedica questo libro al figlio Santiago, «che da grande vuol fare il portiere come Buffon». “Lettera a mio figlio sul calcio”, edito da Mondadori, è la confessione intima, profonda e romantica di una passione mai sopita: quella per il calcio. 

La confessione, invece, è quella che l’autore fa al figlio di pochi anni, al quale racconta l’infanzia trascorsa in Sudamerica a tifare Palmeiras e poi il successivo arrivo nel nostro paese, a Torino, nella città della Fiat, della Juventus e del grande Toro diventato leggenda. «Non mi sovviene quando e perché cominciai a tifare per la Juventus. Forse per il nome, che suonava così originale e strano. Forse per i campioni di quel momento: il capitano stilnovista Giampiero Boniperti, l’argentino tracagnotto Omar Sivori, il gigante gallese John Charles». Darwin sbarca sotto la Mole negli anni Sessanta, negli anni del boom economico. Ha soltanto 9 anni, si innamora della Juventus ma non può ignorare l’altra squadra della città: «Il numero 7 granata, l’ala destra, era un uccellino ribelle. Correva e dribblava, raccontava storie di una bellezza estrema. Era il più fragile, era il vero genio solitario. Il Garrincha del campionato italiano si chiamava Gigi Meroni. Io, tifoso della Juventus, invidiavo il Torino per quell’ala destra irresistibile. Ma una domenica il destino decise di tendergli un agguato e di spezzargli le ali. Fu investito da un’auto guidata da un giovane tifoso del Toro, che aveva il suo poster appeso nella camera da letto». Quel tifoso, anni dopo, sarebbe diventato il presidente del club granata.

Sono storie e volti da figurina quelli raccontati da Pastorin nel libro-confessione indirizzato al figlio Santiago.
Storie e volti che come figurine restano incollati sull’album personalissimo dei ricordi del bambino Darwin. E sono numerose le figurine che trovano posto nelle 126 pagine di racconto. Non poteva naturalmente mancare Dieguito, il più grande di tutti: «Il più grande campione che ho visto giocare è Diego Armando Maradona. Credimi, figlio mio, non esisterà mai più, nei secoli dei secoli, un altro come lui. Ha fatto dell’imperfezione la perfezione, ha trasformato un semplicissimo pallone di cuoio in uno scrigno di bellezza. Non esistevano limiti, per lui: segnava da centrocampo, da terra, con le spalle alla porta, con gli occhi chiusi, di tacco e anche di mano».
Ma c’è spazio anche per un campione buono e sfortunato come Gaetano Scirea: «Voglio parlarti, figlio mio, del santo calciatore. Di Gaetano Scirea. Fu un giocatore superbo e un uomo senza peccato, un uomo buono per davvero. Vinse tutto, nel contesto di una carriera esemplare. E fuori dal campo possedeva la dolcezza di certe giornate di primavera. Se n’è andato il 3 settembre ’89, su un’inutile strada polacca e per un’inutile trasferta» della sua Juventus.

Ci sono quindi i grandi campioni brasiliani (il Brasile, la terra in cui l’autore ha mosso i primi passi e tirato i primi calci a un pallone): Ronaldo, Romario, Zico. E c’è l’omaggio ad Andrés Escobar, il difensore della nazionale colombiana ucciso in patria dopo lo sfortunato autogol in cui era incappato durante una gara dei mondiali americani del ’94: «Escobar pagò con la vita quell’autogol. Ti può sembrare assurdo, grottesco, inaudito, ma andò così, perché non esiste limite alla follia della gente (..) L’uomo è davanti a lui. Dice soltanto: “Grazie per l’autogol”. E spara. Dodici colpi. Andrés vorrebbe dirgli di smetterla, di lasciarlo in pace, ma quelle frasi gli si fermano in gola. Escobar, difensore della nazionale colombiana, è stato assassinato. Per un’autorete».

Sono storie di grande umanità, quelle che Pastorin racconta al figlio che muove a sua volta i primi passi su un campo di calcio.
Sono storie speciali che meritano di essere raccontate a un bambino già rapito dal fascino dell’erba verde, ma che non ha mai conosciuto il calcio che fu.
Come in un film in bianco e nero, queste pagine mettono in luce le ragioni profonde per cui il calcio riesce a rinnovarsi ogni domenica.
Quando l’arbitro fischia e il pallone rotola dal dischetto di centrocampo, il sogno ricomincia immutato.

Darwin Pastorin
“Lettera a mio figlio sul calcio”
Mondadori
Pag. 126
6.00 euro

 

Letto 8189 volte Ultima modifica il Giovedì, 25 Febbraio 2016 11:45

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