A quasi 17 anni di distanza da quella calda sera d’estate, sappiamo però che allo stadio Artemio Franchi di Campo di Marte la Jugoslavia dovette cedere il passo all’Argentina e lasciare ai biancocelesti sudamericani l’onore di sfidare a Napoli i padroni di casa dell’Italia nella semifinale dei Campionati mondiali di calcio. Il 30 giugno 1990, a Firenze, va in scena l’ultima apparizione ufficiale della Jugoslavia in un grande torneo a squadre. Di lì a qualche mese, infatti, la guerra avrebbe spazzato via tutto, cancellato sogni, speranze e progetti di milioni di persone e portato un'intera nazione al collasso e alla sua dissoluzione. Ma cosa sarebbe accaduto se a vincere la sfida dei quarti di finale di Firenze fosse stata la Jugoslavia allenata da Ivica Osim? Cosa sarebbe successo se il capitano di quella nazionale, Faruk Hadžibegić, non avesse sbagliato il tiro dagli undici metri?
Calcio e Storia, quella con la S maiuscola, si incontrano e si raccontano nel libro del giornalista Gigi Riva, “L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra”, edito da Sellerio. Intuendo la complessità di un evento che sembrava soltanto sportivo, Riva racconta con l’attenzione di uno storico e la sensibilità di un narratore il tiro fatale del capitano dell’ultima nazionale del Paese unito. La partita contro l’Argentina di Maradona nei quarti di finale del Mondiale italiano portò all’eliminazione di una squadra dotata di enorme talento, ma dilaniata dai rinascenti odi etnici. Leggenda popolare vuole che una eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al ritorno di un nazionalismo “jugoslavista” e scongiurato il crollo successivo.
Attraverso la vita di Faruk Hadžibegić e dei suoi compagni (molti dei quali diventati poi famosi in Italia, da Boban a Mihajlović, da Savićević a Bokšić, da Jozić a Katanec), si scopre il travaglio di quella rappresentativa nazionale e del suo allenatore Ivica Osim, detto “il Professore” o “l’Orso”. Nelle loro gesta si specchia la disgregazione della Jugoslavia e la spregiudicatezza dei suoi leader politici, che vollero utilizzare lo sport e i suoi eroi per costruire il consenso attorno alle idee separatiste. In questo senso il calcio è stato il prologo della guerra con altri mezzi, il rettangolo verde la prova generale di una battaglia. Non a caso si attribuisce agli scontri tra i tifosi della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado il primato di aver messo in scena, in uno stadio, il primo vero episodio del conflitto. Ed è nelle curve che sono stati reclutati i miliziani poi diventati tristemente famosi per la ferocia della pulizia etnica a Vukovar come a Sarajevo. Per il loro valore emblematico le vicende narrate, risalenti a un quarto di secolo fa, sono ancora tremendamente attuali. E non è così paradossale scoprire in esergo a queste pagine le parole beffarde che Diego Armando Maradona rivolse all’autore: «Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria».
Gigi Riva
“L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra”
Sellerio
Pag. 192
12,75 euro
e-book, 9,99 euro