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Giovedì, 14 Gennaio 2016 10:56

Dallo scudetto ad Auschwitz

Scritto da Giovanni Falconieri
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«Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito.»

Nel suo libro “Novant’anni di emozioni”, lo scrittore e giornalista Enzo Biagi, bolognese di nascita e di fede calcistica, utilizza queste poche parole per ricordare Arpad Weisz. In quel momento, Biagi ignorava che fine avesse fatto l’ex calciatore e allenatore ungherese capace di vincere due scudetti mentre sedeva sulla panchina dei rossoblu emiliani. 

Non immaginava, il grande giornalista e tifoso del Bologna, che quell’uomo fosse morto di stenti nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, poco prima della fine della seconda guerra mondiale.

La verità sulla tragica fine dell’ex calciatore e allenatore di calcio, nato a Solt nel 1896, ci viene raccontata adesso da Matteo Marani nel libro intitolato “Dallo scudetto ad Auschwitz”, pubblicato da Aliberti editore. Marani, bolognese laureato in Storia, documenta l’intera esistenza di Weisz attraverso uno studio di ricerca durato tre anni e capace di raccontare la parabola di un personaggio che sembrava a un certo punto scomparso nel nulla e che era stato invece deportato con l’intera famiglia nel campo di concentramento creato dai nazisti a sud-ovest di Cracovia.

Chi era Arpad Weisz? E per quale motivo il suo nome è caduto all’improvviso nell’oblio nonostante le importanti imprese sportive compiute nel nostro Paese durante gli anni Trenta? Perché, si chiede l’autore, da un certo momento in avanti non si è più parlato di quel tecnico ebreo-ungherese, bravo e preparato, capace di lanciare in prima squadra il diciassettenne Peppino Meazza e di vincere lo scudetto con l’Inter al termine della stagione 1929-30 - il primo della Serie A come la conosciamo ora - e poi altri due titoli nazionali con il grande Bologna che faceva tremare il mondo? È da queste domande, soprattutto, che nasce e si sviluppa il viaggio-inchiesta che Marani compie per portarci alla scoperta del trainer nato in Ungheria e diventato poi famoso in Italia.

E così, attraverso un lavoro di ricerca scrupoloso e ossessivo, lungo 221 pagine, l’autore ci rivela che Arpad Weisz è morto ad Auschwitz la mattina del 31 gennaio del 1944. È morto di fame e di freddo, è morto di stenti. E prima di lui, il 5 ottobre del ’42, erano morti anche la moglie Elena e i suoi due figli, Roberto e Clara, di 12 e 8 anni. Tutti e tre erano stati uccisi in una camera a gas all’interno del lager nazista nel quale erano stati rinchiusi solo poche settimane prima.

Il tragico cammino verso l’inferno e verso la morte era cominciato infatti il 7 agosto del ’42, quando le SS del Partito Nazionalsocialista tedesco avevano arrestato Arpad e i suoi familiari e li avevano condotti prima nel campo di Westerbork, lo stesso da cui sarebbe passata anche Anna Frank, e infine ad Auschwitz, dopo essere transitati per Cosel e Zyklon B. La media di vita nei campi era di appena 4 mesi, Weisz era riuscito a reggerne 16. Lo hanno trovato morto la mattina del 31 gennaio ‘44. Non aveva mai saputo della famiglia, lo aveva solo immaginato.

Ma la discesa inarrestabile verso gli abissi, per Arpad Weisz, era cominciata già alcuni anni prima. Il 26 ottobre del 1938, il tecnico che aveva portato il Bologna a dominare il calcio in Italia si era dimesso lasciando la guida dei rossoblu. Le leggi razziali promulgate da Mussolini non gli consentivano infatti di vivere ancora nel nostro Paese. Weisz si era rifugiato così in Francia, passando dal valico di Bardonecchia. E da Parigi si era quindi spostato in Olanda, nella cittadina di Dordrecht, dove per quasi due anni era riuscito ancora a fare l’allenatore prima che i nazisti bussassero alla sua porta.

Matteo Marani, che vive a 300 metri da dove abitava Weisz, riesce a raccontarci gli ultimi anni di vita dell’ex tecnico di Inter e Bologna attraverso una straordinaria scoperta fatta dai registri di classe del ‘38, ritrovati in uno scantinato. Leggendo quei registri, l’autore arriva infatti a conoscere uno degli amici del piccolo Weisz. Un amico vero, che per tutti questi anni ha conservato le lettere e le cartoline che gli arrivavano dalla Francia e dall’Olanda, dai luoghi nei quali la famiglia in fuga cercava di sottrarsi ai cacciatori di ebrei dopo che il Bologna aveva licenziato il suo tecnico in omaggio alle leggi razziali. Bologna, Francia, Olanda.

La fuga disperata dell’ex allenatore felsineo non era riuscita. E attorno ad Arpad e alla sua famiglia il cerchio si era stretto sempre di più, fino a chiudersi del tutto. E così, di quel tecnico che tanto bene fece in Italia non resta oggi che un debole e pallido ricordo che solo questo libro è riuscito finalmente a ravvivare, rendendo ad Arpad Weisz il posto e il merito che gli spettano di diritto nella Storia del calcio.

Matteo Marani
“Dallo scudetto ad Auschwitz”
Aliberti Editore
Pag. 221
15 euro
e-book 6,79 euro

 

Letto 1532 volte Ultima modifica il Venerdì, 29 Gennaio 2016 17:39

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