Il calcio è una passione. Quando si è piccoli giocare a calcio con i propri compagni è molto più che fare sport: che sia la gara ai giardinetti o l'allenamento con il mister non c'è momento più bello. Però chi non ricorda le lunghe discussioni con i genitori: se non finisci i compiti non scendi a giocare a palla con i tuoi amici? La partita nel campetto dell'oratorio o ai giardinetti era un premio o una punizione per mamma e papà quando cercavano di ottenere attenzione.
Ha senso fare la stessa cosa ora che il bambino si è trasferito dall'asfalto della piazzetta al campetto della società sportiva? In realtà sembra di no. Non tanto perchè la punizione non abbia un valore educativo, anzi, ma perchè lo sport ha un certo numero di fattori positivi che superano, da un certo punti di vista, il valore educativo della privazione. Per prima cosa serve a sfogare le tensioni accumulate a scuola o nell'arco della giornata, e quindi a non accumulare energie negative.
Poi il mondo del calcio, sia dilettantistico o professionistico, ha delle sue regole ben precise. Il rispetto dei compagni di calcio, l'ubbidienza e l'ascolto del mister, la precisione negli orari e nello svolgimento degli esercizi: è una palestra educativa per imparare a seguire delle norme. La scelta di un genitore di non mandarlo alla partita per punizione toglierebbe autorità agli adulti incaricati della crescita del ragazzo in quello specifico settore.
Nel caso si voglia comunque passare attraverso il calcio per punire il ragazzo, magari per dei risultati pessimi a scuola o per qualche assenza ingiustificata di troppo, soprattutto per i ragazzi più grandi, si può magari pensare ad un compromesso con l'allenatore, che potrebbe decidere di non farlo giocare in campo alla gara successiva. A parlarci di questo tema, la prossima settimana, sarà proprio un tecnico del Settore giovanile, che ben conosce il rapporto tra ragazzi ed educazione.
Maria Rosa Cagnasso