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Giovedì, 12 Marzo 2015 11:57

Antonio Casciani: "Se un allenatore non si incazza con te, è perché non vali nulla"

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L'INTERVISTA - Ha la fama di essere un sergente di ferro ma molti dei suoi ex giocatori lo stimano ancora. Lo abbiamo contattato per farci raccontare tutti i particolari del suo ritorno al Collegno Paradiso ne abbiamo approfittato per ripercorrere la gioie e i dolori della sua carriera nel mondo del calcio

Antonio Casciani, un allenatore vecchio stampo. Sicuramente un vincente - un campionato Allievi nazionali e uno Berretti da giocatore, due titoli regionali con gli Allievi di Gabetto e Collegno - ma anche un carattere "ingombrante" che non a tutti va giù. Un sergente di ferro, insomma. Questa settimana la notizia del un suo ritorno a Collegno dopo le dimissioni (in dicembre) dal Città di Rivoli che hanno sollevato un polverone: dissapori con la società si dice in giro, problemi con i giocatori sussurrano i giornali. Lo abbiamo sentito per sapere tutta la verità su quello che è successo e farci svelare alcuni dei retroscena della sua lunghissima carriera.

Stai per iniziare una nuova avventura in una squadra che conosci bene. Con quali premesse parte questa nova esperienza?
"Inizialmente mi era stata promessa una panchina per il prossimo anno. Poi è venuto fuori che cercavano anche un direttore sportivo per il Settore Giovanile, così abbiamo accelerato i tempi e sono già al lavoro. La prossima stagione prenderò anche una squadra che molto probabilmente sarà quella dei 2000, con i quali vorrei fare il biennio Allievi e Allievi fascia B".

Facciamo un passo indietro, quali sono state le reali motivazioni delle tue dimissioni da allenatore degli Allievi del Città di Rivoli?
"La risposta breve è che non avevo più stimoli. Dopo una riunione con i giocatori (che ho convocato io), ho capito che, per come sono fatto, era meglio lasciare". 

Un rapporto burrascoso quello con la società. Già qualche mese fa avevi dato le dimissioni per poi fare marcia indietro. Come sono andate le cose esattamente? 
"Il problema nasce a monte. Lo scorso anno sono arrivato al Rivoli; ho fatto il direttore tecnico, l'allenatore e davo anche una mano con la Prima squadra. Qui, prima di me, non si faceva nulla, quest'anno invece hanno partecipato al Grande Slam. E lo hanno fatto grazie a me. Poi, all'inizio di questa stagione sono cambiate le condizioni. Mi hanno detto che non serviva più una mano con la Prima squadra e anche le condizioni economiche, di conseguenza, cambiavano. Io non volevo accettare, ma avevo già preso l'impegno con alcuni giocatori, quindi, per non fare la figura del pagliaccio, ho accettato comunque".

Poi, cosa è successo?
"Sono partito con una rosa di 18-19 elementi, un paio sono andati subito via perché hanno capito che non avrebbero giocato e tra squalifiche, infortuni, qualche ammalato e i portieri che si allenavano a parte, agli allenamenti eravamo in 8. Ho fatto presente la situazione al responsabile del Settore Giovanile Mimmo Di Leonardo, chiedendo che qualche '99 venisse ad allenarsi con noi. Lui però mi ha detto che non poteva farlo, perché così il gruppo degli Allievi fascia B si sarebbe disunito. Mi ha detto di tener duro fino a dicembre che dopo avrebbe sistemato la situazione. Io gli ho fatto presente che se non ci fossimo qualificati per i provinciali sicuramente qualche ragazzo avrebbe chiesto di andar via, ma Di Leonardo mi ha risposto che la società non avrebbe dato il nulla osta a nessun ragazzo. Mi è stato detto che comunque per le partite, in caso di emergenza, potevo convocare qualche '99. In realtà però, Bizzocco (l'allenatore dei '99, ndr) ha sempre fatto in modo di mandarmi i giocatori che non gli servivano e non quelli che gli chiedevo io. Le categorie piene sono più importanti dei fascia B quindi è normale che vengano richiesti dei giocatori, però devono essere i più forti, non quelli scarsi. Dovrebbe essere un onore giocare con quelli più grandi".

Le cose, quindi, non hanno funzionato.
"Ho dovuto lasciare andare via Ricotta. Gli avevo dato la mia parola che se non avessimo disputato i regionali gli avrei permesso di cambiare squadra. Sono stato io a chiedere alla società di lasciarlo andare, avevo dato la mia parola e ho dovuto accettare che andasse al Borgaro. Altri ragazzi non venivano ad allenamento, e quelli che venivano erano demotivati. Allora ho fatto una riunione e gli ho chiesto in faccia cosa ci fosse che non andava. Tre di loro mi hanno detto che gli passava la voglia di allenarsi in pochi e con me gli urlavo contro. Io non posso allenare gente del genere, senza carattere, quindi me ne sono andato, anche se gli altri ragazzi mi hanno chiesto di restare".

Deluso dai tuoi ex giocatori?
"No, sono deluso dalla società. Uno come me non può allenare in queste società dove non c'è serietà. Già a inizio stagione, quando ho visto che eravamo pochi, avevo intuito che sarebbe finita così, ma la società non mi ha ascoltato".

Sei conosciuto come un allenatore molto duro. E' proprio così?
"E' vero, sono un allenatore severo. Ma non penso sia un problema. Sono stato un giocatore anche io e ho sofferto quando mi facevano il culo. Però ho sempre pensato che i miei allenatore mi urlassero contro perché volevano il mio bene. Fino a che un allenatore si incazza con te è perché ha voglia di migliorarti, se non ti dice nulla è perché non vali nulla. Se i giocatori si incazzano con me, io lo capisco. Ma devono capire che lo faccio per loro. Se non dico più nulla sono un allenatore finito".

Quale è stato l'allenatore da cui hai preso di più?
"Quando sono arrivato al Torino nel '72 ho avuto la fortuna di essere allenato da Ercole Rabitti. Un'esperienza bellissima e durissima allo stesso tempo. Vivevo in un collegio e fino a 19 anni non sono mai uscito la sera. Però in tre anni abbiamo vinto il titolo Allievi e uno Berretti. Al Museo del Grande Torino ci sono le foto di quelle formazioni".

Ci sono grosse differenze con il calcio di oggi?
"Oggi appena dici una cosa i ragazzi protestano, non puoi dirgli nulla. Io ero cinquantamila volte più forte di questi, eravamo la squadra più forte del Settore Giovanile, ma non mi permettevo certi atteggiamenti. Oggi, invece, i ragazzi escono la sera prima della partita e rientrano alle 8 di mattina. Poi, quando vengono al campo dormono. La colpa è dei genitori che li giustificano. Mia faglia è uscita per la prima volta la sera a 18 anni e l'ho accompagnata io".

Ritorniamo al Casciani allenatore. A quale periodo della tua lunga carriera sei più affezionato?
"Gli anni con Gibin sono stati bellissimi. Abbiamo ammazzato tutti, abbiamo vinto tutto quello che c'era da vincere. Lui investiva davvero nel Settore Giovanile. La gente faceva i chilometri per venire a giocare lì. Come allenatori c'eravamo io, Serami Pallavicini. Poi, ho fatto venire anche Vincenzo Manzo. Sapevo che Gibin cercava qualcuno e io mi ero appena scontrato con Manzo in finale, sapevo che era bravo, così gliel'ho presentato".

Sei già ritornato una volta, qualche anno dopo il primo addio, al Collegno Paradiso ma non è scattato lo stesso feeling...
"Gibin ma non era più il presidente e c'era un altra persona, un allenatore, che prometteva soldi, quindi in società lo facevano comandare. La situazione non mi piaceva e sono andato via. Ho avuto ragione, si è visto da come sono andate le cose: in seguito anche quest'altra persona è andata via, lasciando dietro di sé solo promesse".

Appari molto convinto di tutte le decisioni prese in passato. Hai qualche rimpianto?
"Aver dovuto lasciare il Torino nel 1994. Ogni anno la società pagava ad un allenatore il corso di 1.a Categoria a Coverciano e, quell'anno, ero stato scelto io. Purtroppo nella primavera del '94 è diventato presidente Gianmarco Calleri che ha tagliato tutti gli stipendi del Settore Giovanile. Io guadagnavo 1 milione 200 mila lire che a quel tempo era uno stipendio onesto. Calleri ha fatto una riunione dicendoci che avremmo preso tutti la metà, e già era un problema perché facevo solo quello di lavoro. Più avanti ho capito che neanche la metà stipendio promessa sarebbe arrivata e allora ho dovuto andarmene e trovarmi un nuovo lavoro. Al corso ormai ero iscritto, però avrei dovuto pagarmelo da solo e inoltre non potevo chiedere al mio nuovo datore di lavoro tre settimane, ero stato appena assunto. Quindi non ho fatto il corso. Un peccato, avrebbe potuto essere la svolta".

Nella tua carriera ti è capitato più volte di sederti sulle panchine dei "grandi". Pro Settimo Eureka, Santena, Rivoli, per citarne alcune. Con le Prime squadre non hai però mai raccolto i successi arrivati dal Settore Giovanile, come mai secondo te?
"E' vero. Faccio fatica perché il rapporto con i grandi diventa spesso difficile. Ti faccio l'esempio dell'ultimo anno con la Pro Settimo. Squadra fatta per salvarsi, nulla di che ma comunque una buona squadra. Partiamo bene, poi arriva la prima botta. Dai giornali mi chiedono perché e io dico che cinque volte davanti al portiere Minniti e Enrico hanno sbagliato. Due calciatori bravi, ma quella partita lì hanno sbagliato davanti al portiere. Facciamo una riunione e i giocatori sono incazzati con me, dicono che li ho offesi. Sono contro di me e io decido di andarmene. Pollastrin dall'Indonesia mi scriveva di ripensarci, ma io non potevo farlo per come sono fatto avrei dovuto cacciare almeno sei giocatori. Ma quella non era una squadra. Per esempio: Enrico  alla fine degli allenamenti veniva da me cercando di convincermi a cacciare Montesano. Poi con lui faceva l'amico. Montesano passava il tempo a giocare a poker online e non aveva voglia di allenarsi, è vero, ma era forte. Oppure, gli attaccanti dopo le partite venivano a lamentarsi che i difensori centrali erano troppo scarsi. Però mica se le dicevano in faccia queste cose"".

C'è un altro allenatore, Sandro Siciliano, che tu conosci bene e che con i grandi sta facendo fortuna.
"Siciliano l'ho portato io alla Pro Settimo Eureka, per allenare la Juniores. Quando hanno esonerato Fornello è passato in Prima squadra. Ora ha vinto il campionato e questa stagione allena in serie D".

Quali sono i giocatori che ti hanno dato più soddisfazioni sia a livello calcistico che personale?
"Tanti. Alla Gabetto ho allenato Daniele Cacia (ora al Bologna, ndr) e Adriano Panepinto che ha giocato in serie C. Gianluca Lapadula ancora mi chiama. Mi vergogno quasi per tutte le volte che gli ho urlato qualcosa. Di recente mi ha detto: "Tu sei un bastardo, ma sai quante cose mi hai insegnato?", e gioca al Teramo in serie C. Gianpaolo Tosoni, il ds del Caselle, era un centrocampista, l'ho allenato alla Pro Settimo. Quante volte l'ho cazziato? Lui non era abituato, ne ha sofferto. Però ora mi ringrazia. E con Marco Miele, consigliere e responsabile del Settore Giovanile alla Pro Settimo, uguale. Quando sei giocatore magari non lo capisco ma dopo lo apprezzi".

Per concludere ritorniamo al Collegno Paradiso. Quali obiettivi ti poni per questa nuova avventura?
"Il Collegno Paradiso è una società importante. Ai tempi di Gibin qui si è vinto tutto. Naturalmente eguagliare quel periodo è impossibile. Il nostro obiettivo è quello di ricominciare ad essere competitivi. Bisogna portare qualità nel Settore Giovanile, parlo di giocatori ma sopratutto di tecnici. Dobbiamo far crescere i ragazzi, i risultati arriveranno di conseguenza".

Ultima modifica il Mercoledì, 11 Marzo 2015 10:51

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