INTERVISTA - A volte il calcio regala emozioni, altre volte insegna lezioni di vita. È accaduto sul campo del Lascaris, dove il giovane calciatore del Cenisia, il 2007 Loris Zito, è stato colto da una crisi convulsiva che si è trasformata in un arresto respiratorio (qui l'articolo). Solo la prontezza e la competenza del dottor Arsen Dalipi, dirigente del Cenisia ed ex professionista del 118, hanno evitato il peggio.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare quei momenti drammatici e per capire come il Cenisia stia trasformando l’emergenza in un’occasione di prevenzione e formazione.
Dottor Dalipi, cosa è accaduto esattamente quel giorno?
«Eravamo sul campo, la partita non era ancora iniziata. Un ragazzo del Cenisia ha avuto una crisi convulsiva improvvisa. All’inizio sembrava gestibile, poi in pochi secondi la situazione è precipitata: ha perso conoscenza, ha avuto un arresto respiratorio e cardiaco. Lì capisci che ogni secondo conta».
Come ha reagito in quei momenti?
«Ho agito d’istinto, seguendo il protocollo che per anni ho applicato nel 118. Ho iniziato subito il massaggio cardiaco, poi la ventilazione. Al secondo tentativo è arrivata la risposta: il respiro, il battito. È stato un momento indescrivibile, di sollievo ma anche di forte emozione».
È arrivato il defibrillatore?
«Sì, la società ospite del Lascaris è stata pronta e collaborativa. L’intervento per fortuna è stato risolto prima ancora che arrivasse il DAE. Il ragazzo ha ripreso subito respiro e battito. È la dimostrazione che il defibrillatore è uno strumento essenziale, ma da solo non basta: serve qualcuno che sappia cosa fare. Ecco perché insisto tanto sull’importanza dei corsi di BLS-D».
Cosa intende esattamente per “non basta il DAE”?
«Se in quel momento non c’è nessuno formato, quell’apparecchio è inutile. Il primo soccorso non è solo un gesto tecnico: è sapere mantenere la calma, riconoscere i segni, agire in modo rapido. Sono cose che si imparano con la formazione. E chiunque può farle, non serve essere medici.»
Lei ha definito quell’intervento “un minuto che vale una vita”. È davvero così?
«Assolutamente sì. Ogni minuto di ritardo riduce la possibilità di sopravvivenza in caso di arresto cardiorespiratorio. Quel minuto di massaggio tempestivo è stato decisivo. È una statistica, ma quando lo vivi dal vivo capisci cosa significa davvero.»
Come ha vissuto personalmente questo episodio?
«Lavoro nel mondo dell’emergenza da 14 anni, ma quando è un ragazzo giovane, davanti a te, è diverso. Ti segna. È un misto di adrenalina e paura, poi un grande sollievo. E un pensiero costante: “Se non fossi stato lì, cosa sarebbe successo?”. Da lì nasce la responsabilità di fare in modo che altri possano essere pronti allo stesso modo».
Che messaggio vuole lasciare alle altre società sportive?
«Che la prevenzione non è una spesa, è un investimento sulla vita. Non bisogna aspettare l’incidente per agire. Basta una giornata di formazione per imparare qualcosa che può salvare un ragazzo, un compagno, un amico. Il Cenisia continuerà su questa strada, perché il calcio è passione, ma prima di tutto è rispetto per la vita».
L’episodio vissuto dal dottor Arsen Dalipi e dal Cenisia non è solo una storia a lieto fine: è una lezione. Un minuto di coraggio, di competenza e di cuore può cambiare tutto. Da oggi, al “Campo Cenisia”, quel minuto ha un nome e un significato che nessuno dimenticherà più.
LA FORMAZIONE COME RESPONSABILITÀ COLLETTIVA
Ogni società sportiva, ogni associazione, ogni gruppo che lavora con giovani e atleti ha il dovere morale di formare più persone possibile alle tecniche di primo soccorso e all’uso del defibrillatore. Non è una formalità, ma una scelta di responsabilità: significa creare ambienti più sicuri, dove la vita di un ragazzo non dipenda dal caso, ma dalla competenza e dal sangue freddo di chi gli sta accanto. Perché sul campo - come nella vita - un minuto può davvero valere una vita.



