Mercoledì, 31 Luglio 2024
Giovedì, 11 Novembre 2021 14:58

Calcio e poesia, prima lezione: non ci sono regole e tutto è importante

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5ª PUNTATA / LA POESIA DEL 10 - Un rubrica tutta nuova, firmata dal giornalista Eugenio Giannetta, ci guiderà per mano nel dedalo degli incroci tra calcio e arte, in tutte le sue forme: letteratura, poesia, cinema, disegno, fotografia... partendo dal libro di Alessandro Gnocchi che si intitola “Il capocannoniere è sempre il miglior poeta dell’anno”. In copertina c'è Pierpaolo Pasolini in pantaloncini e maglietta: «Il calcio – scriveva – è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo»


Ci sono tante lezioni sulla poesia e altrettante sul calcio. Poi ci sono le lezioni sugli spalti – di qualsiasi categoria, a qualsiasi latitudine – a partire da una frase che tutti abbiamo sentito (o pronunciato) almeno una volta: il calcio è poesia. Ma si possono davvero chiamare lezioni, quelle?

Ricorrere alle citazioni salverà questa impasse. In poesia, vale o dovrebbe valere questo: «La prima regola è che non ci sono regole». E poi questo: «In poesia solo una cosa conta: tutto». Con queste due stelle polari è facile comprendere cosa noi definiamo poesia nel calcio: uscire dagli schemi e restare sorpresi. Il genio, quindi, abbinato alla sregolatezza. Ma anche il procedere per sottrazione. Non il fare di più, ma far la cosa giusta. Non i cento dribbling, ma il passaggio preciso. È così anche in poesia. Non la fluvialità (della prosa), ma la scelta della parola corretta, che contiene un senso più profondo.

Tutte queste riflessioni sono solo una piccola parte di questo binomio, che nelle prossime settimane andremo a sviscerare più da vicino, con l’aiuto di grandi scrittori e pensatori, filosofi e allenatori, comunicatori e calciatori che hanno fatto la storia, con i loro piedi e le loro parole. Dice una recente canzone di Diodato, che si intitola “L’uomo dietro il campione”, ed è dedicata a Roberto Baggio: «Quel rigore a me ha insegnato un po’ la vita». Sì, perché a volte è poesia anche un rigore sbagliato e mostra la strada di ciò che sarà: diventare leggenda.

È uscito da poco un libro di Alessandro Gnocchi per Baldini+Castoldi che si intitola “Il capocannoniere è sempre il miglior poeta dell’anno”. Nel libro, come in questa rubrica, si abbinano calcio e letteratura. Il titolo si deve a una frase di Pasolini, immortalato anche in copertina. Calcio e letteratura, ci insegna Gnocchi in queste pagine, hanno spesso incrociato le loro strade, come se avessero qualcosa di ineffabile in comune. «Gabriele d’Annunzio è stato tra i precursori italiani del gioco, Umberto Saba ha cantato la solitudine del portiere, Mario Luzi ha pianto il Grande Torino schiantatosi a Superga. Pasolini era un’ala. Camus un buon portiere. Martin Heidegger una mezzala sinistra di qualità. Jacques Derrida un ottimo centravanti. Osvaldo Soriano segnò una trentina di gol nelle categorie inferiori. Ludwig Wittgenstein ebbe un’intuizione geniale osservando una partita a Cambridge», e ancora, e ancora, si può continuare all’infinito.

Questo libro, esattamente come vuole (o vorrebbe) fare questa rubrica, cerca quindi i risvolti letterari del calcio, i riti dietro a ogni cosa, i simbolismi e le emozioni fotografate in un momento. «Il calcio – ha detto Pasolini – è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo». Lo è nei piccoli quartieri di periferia e nei grandi stadi, l’importante è imparare a cogliere l’emozione, sempre.

Ultima modifica il Mercoledì, 24 Novembre 2021 14:07

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