INTERVISTA - Il presidente del Chisola tra presente e futuro: “Viviamo alla giornata ma dobbiamo farci trovare pronti per ogni possibilità, sempre puntando sulla sostenibilità e sui nostri giovani. In Piemonte c’è bisogno dei gironi élite per alzare il livello. Noi puntiamo a vincere più titoli regionali possibili, abbiamo tanti ragazzi che meritano il professionismo”
L’ultimo post pubblicato sui social dal Chisola è un elenco di nomi: Brando De Fazio (2005), Emanuele Luxardo (2005), Alessandro Nisci (2006), Claudio Simonetti (2006), Manuel Satta (2006), Edoardo Vada (2006) e Daddy Naranjo Barrera (2007). Sono i ragazzi che in questa stagione hanno fatto l’esordio in serie D, in una squadra che occupa un secondo posto difficilmente pronosticabile a inizio stagione. Ne abbiamo parlato con il presidente Luca Atzori.
Luca, così tanti esordi in serie D, compreso quello di un 2007, sono la conferma che il progetto del Chisola è ancora basato sui giovani.
“Possiamo essere credibili sono se continuiamo nel nostro progetto di sostenibilità, che è basato sui giovani cresciuti in casa. Avevamo paura, salendo di categoria, di non poter più far giocare i nostri ragazzi. E in effetti l’anno scorso, per motivi di classifica, lo abbiamo fatto poco, con qualche eccezione importante come quella del 2006 Gironda. Quest’anno invece abbiamo una classifica che ci permette di sperimentare e vedere se i nostri ragazzi sono pronti. Il campo ha dimostrato che lo sono, vuol dire che anche il livello del nostro settore giovanile si è alzato. E per di più sono tutti ragazzi cresciuti da noi, a parte Nisci che è arrivato dalla Juventus. Adesso, dopo il 2007 Naranjo che ha giocato in Coppa, abbiamo l’idea di far esordire un 2008, come avevamo fatto con Alessandro Bianco qualche anno fa. Il nostro progetto deve rimanere quello, se no dove andiamo?”
Il secondo posto in serie D fa venire le vertigini. Questa classifica fa un po’ paura?
“No, fa paura quando sei penultimo. Il secondo posto fa rumore, questo sì. Giochiamo partita per partita senza porci limiti né obiettivi a lunga scadenza, andiamo a vincere a San Remo, poi in casa con l’Alba. A marzo vedremo e capiremo se c’è la possibilità di fare ancora un salto. Anche perché, nel caso, dovremmo farci trovare pronti: va bene avere delle idee, ma in Lega Pro servirebbe una cordata che ci dia una mano. È chiaro che la Lega Pro ci stravolgerebbe la società, ma in una dinamica industriale di calcio è anche salto in alto come introiti, valorizzazione dei ragazzi, valorizzazione del territorio. Sarebbe una sfida affascinante, vedremo”.
Una Lega Pro a Torino sarebbe una novità quasi assoluta.
“Io mi ricordo il Moncalieri di tanti anni fa e nient’altro. Già la serie D è una categoria importante, ma la Lega Pro è un sogno, che suscita curiosità ed entusiasmo, ma che - ripeto, nel caso si concretizzasse - deve essere affrontata in modo sostenibile, senza rinunciare ai giovani. La Spal spende 10 milioni di euro, ma ci sono società che spendono un decimo. I nostri ragazzi, per fare calcio vero, devono andare fuori regione: Bianco alla Fiorentina, Calamita al Genoa. La Lega Pro e i campionati nazionali a Torino sarebbero una risorsa importante per tutto il Piemonte”.
Anche perché, a differenza della Lombardia, ci sono Juve, Toro e poco altro.
“Eh sì, l’anno prossimo rischiamo di trovarci Alessandria e Novara in serie D, non possono andare tutti alla Pro Vercelli. Torino fa un milione di abitanti, il Piemonte è pieno di talenti, questo è un gap da colmare. Il calcio ormai è un’industria, dà lavoro alle persone e opportunità ai giovani, bisognerebbe ragionarci con le pubbliche amministrazioni a tutti i livelli e con il mondo imprenditoriale. Il progetto della Lega Pro va letto così, ha una sua sostenibilità anche per la storicità che stiamo vivendo. Viene voglia di provarci, anche se noi adesso dobbiamo solo stare tranquilli e aspettare, domenica dopo domenica”.
I giovani che vogliono proporsi al professionismo hanno, forse, più possibilità al Chisola (o Lascaris, Volpiano Pianese, Alpignano e poche altre società) che nelle società di Lega Pro. Sei d’accordo?
“Se così fosse, il merito va alle società dilettantistiche che lavorano bene, nonostante giochino in campionati di basso livello, per non dire inutili. Vincere 10-0 non serve, poi l’unica partita che conta magari la perdi perché non sei abituato. Serve una riforma che punti alla qualità, ovvero i gironi élite, come in Lombardia, Lazio, Toscana, dove per di più le società professionistiche sono decine. Noi facciamo tornei come la Winter Cup e organizziamo continuamente test match, ma non basta. Vinceremo ancora tanti Tornei delle Regioni con le rappresentative, perché in Lombardia i giocatori bravi sono nelle professioniste, da noi sono imprigionati nei dilettanti. Magra consolazione”.
Perché qui in Piemonte non si fanno i gironi élite, secondo te?
“Perché la linea scelta dalla politica del calcio è di assistenzialismo alle società in difficoltà. Un percorso anche giusto, per certi versi, che però ha la conseguenza di abbassare la qualità. Ci sono più squadre nei regionali che nei provinciali, ma è normale? Sono scelte, è ovvio che con i gironi élite si crea una spaccatura tra le società, ma è l’unico modo per alzare il livello del nostro movimento. E non parliamo di strutture, che divento matto: da 20 anni giochiamo in impianti e su campi obsoleti. Le 4/5 società forti hanno investito sulle strutture, altri non hanno voluto o non gli è stato permesso. Se fai investimenti, sei costretto ad alzare l’asticella e si crea una catena virtuosa. Altrimenti vivacchi e va bene così, ma non farai mai qualità. Ma so che la Federazione sta ragionando su questi aspetti, vedremo”.
Torniamo al Chisola. Un punto della situazione sulle giovanili, al giro di boa della stagione.
“Poche storie, ogni anno cerchiamo di vincere e ci proveremo anche quest’anno. Nella scorsa stagione ci è andata male con tre finali regionali, adesso vogliamo tornare a vincere qualcosa. I 2007, da tre anni con Moschini, girano come orologio svizzero. I 2008 di Mezzano sono impressionanti, abbiamo la coppia di attacco più forte d’Italia, ma qui torniamo al discorso iniziale: cosa ci fanno due come Giambertone e Manduca nei dilettanti? I 2009 sono squadre forte in tutti i reparti. Solo i 2010 stanno facendo un po’ di fatica a trovare la quadra giusta. E aggiungo che siamo primi in Juniores nazionale, con 7 punti di vantaggio sulla seconda: stiamo andando oltre le aspettative, merito di Andrea Gnan che fa giocare bene la squadra, nonostante tanti ragazzi vadano spesso in prima squadra. Puntiamo alle finali nazionali, sarebbe bello giocarsele”.
E parlando dei singoli, chi è più vicino, ad oggi, al salto nel professionismo?
“Faccio una premessa, voglio raccontare il progetto élite che abbiamo iniziato quest’anno, interamente a nostro carico, senza pesare sulle famiglie. Nelle annate 2007 e 2008 abbiamo individuato i profili secondo noi più promettenti e, oltre ai 4 allenamenti di squadra, li sottoponiamo a un ulteriore lavoro personalizzato. Così si allenano tutti i giorni, come i professionisti, vedremo i risultati. La settimana scorsa abbiamo giocato con l’Under 17 della Sampdoria, che in campionato è seconda: abbiamo perso, ma nel primo tempo eravamo 2-1 per noi. Invernizzi è rimasto impressionato dalla nostra preparazione fisica, ci ha detto. Ecco, questo è lavorare per il vivaio”.
Molto interessante, ma ora fuori i nomi.
“Giambertone e Manduca, senza dubbio, anche Mazzone è un ottimo profilo. I portieri Luca Bruno, 2007 alto più di 2 metri, e Rostagno del 2009 piacciono a tanti, anche alla Juve. Tra i 2007 sono molto seguiti anche Naranjo e Lazzaro, così come il 2009 Sottile. Ma dove posso andare? Sempre fuori regione, con il conseguente aumento dei costi: devi essere tanto più forte di quelli del luogo per essere scelto, questo penalizza i nostri ragazzi. In un calcio senza soldi a tutti i livelli, in cui per assurdo si risparmia in primis sul settore giovanile. Torno al mio discorso iniziale: quanto servirebbe una Lega Pro a Torino…”