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Martedì, 05 Gennaio 2016 09:52

Berretti - Parla Dario Migliaccio, l'allenatore-istruttore

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L'INTERVISTA - Il tecnico granata ci espone la sua idea di calcio raccontandoci qualcosa anche del suo passato professionale: "Ricordo con affetto Massimiliano Cettolin, colui che mi ha portato a vestire la casacca del Moncalieri"

Un ottimo finale di 2015 per il Torino di Dario Migliaccio che, nell’ultima parte di questo girone d’andata, è riuscito a mettersi all’inseguimento della fortissima Inter. In questa intervista esclusiva, il tecnico dei campioni in carica espone la sua filosofia di calcio.

Mister, ci racconti un po’ le sue esperienze da calciatore e da allenatore.
Come calciatore ho fatto tutta la trafila al Moncalieri, dagli Esordienti fino alla Lega Pro anche se qui non ho praticamente mai giocato; viaggiavo tra la serie D e la Juniores nazionale, la mia carriera calcistica vive a Moncalieri. Come allenatore ho cominciato al Canavese dove ho fatto due anni con i Giovanissimi nazionali poi sono passato per due anni alla Pro Vercelli dove ho fatto in contemporanea Esordienti e Mini Allievi; in seguito ho guidato gli Allievi nazionali del Cuneo per due anni riuscendo, nel secondo anno, a vincere il campionato per poi uscire alle fasi finali contro il Mantova solo ai rigori. A Torino sono arrivato grazie a Bava che già mi conosceva essendo stato il DS della Canavese quando allenavo lì. Per me questo è il secondo anno in granata dopo aver vinto il campionato la scorsa stagione.

E di tutta l’avventura da calciatore a Moncalieri ricorda con particolare affetto qualche allenatore che ha influenzato il suo modo di allenare di oggi?
Beh, quando io giocavo, il calcio ha iniziato a mutare quindi in un certo senso ho vissuto il cambiamento; difficile dire un allenatore solo, da tutti ho appreso qualcosa di importante, sia da punti di vista calcistici, idee di calcio, movimenti e così via, che dal punto di vista umano, e queste sono basi che sicuramente ripropongo oggi ai miei ragazzi. Indubbiamente ricordo con affetto Massimiliano Cettolin, colui che mi ha portato a vestire la casacca del Moncalieri.

Lei è un allenatore tradizionalista o è uno che cerca l’innovazione?
Cerco di aggiornarmi spesso, prendo spunti di riflessione da ogni piccolo movimento che vedo, avendo molte conoscenze nel calcio regionale sono spesso in giro per campi a vedere partite di qual si voglia categoria per cercare di carpire qualcosa che possa essere riadattato alla mia filosofia di gioco. Il mio segreto è il continuo studiare.

Qual è il suo concetto di allenatore come mestiere?
Io non mi definisco allenatore, preferisco definirmi come istruttore, il mio intento è quello di formare i ragazzi per metterli nella condizione di essere pronti per il salto di qualità, in questo caso la chiamata in Primavera, questo è ciò che mi appaga, i protagonisti devono essere loro, non io.

Invece quale filosofia da allenatore adotta sul terreno di gioco?
A me piace avere una squadra che giochi la palla ma che sia organizzata, con un’idea ben precisa di gioco.

Lei è un estimatore della difesa a 3 o a 4?
Sono molto duttile a riguardo, l’anno scorso ho giocato con la difesa a 4 e quest’anno con la difesa a tre; spesso questo tipo di difesa è condannata, ma la Juve di Conte ha vinto quel che ha vinto passando con la difesa a tre. Trovo sbagliato giocare con un solo modulo perché è controproducente per i giocatori quanto per l’allenatore; i ragazzi devono essere in grado di potersi adattare ad esempio ad un 4-4-2 così come ad un 4-3-3 o un 3-5-2, se in una realtà crescono imparando un solo modulo, la volta che arriva il salto di qualità in una squadra con un’idea di gioco diversa loro non sono pronti. Per quel che riguarda la difesa, credo che sia giusto insegnare ai ragazzi inizialmente a marcare, senza saper marcare a uomo è impossibile adattare i difensori alla difesa a tre, quando ci si avvicina poi al calcio dei grandi è giusto insegnare i precetti anche della difesa a tre a mio modo di vedere. Ogni allenatore deve avere una sua idea di calcio e deve imprimerla sulla sua squadra, è chiaro che essa potrà essere condivisa come no.

Lei è un allenatore scaramantico? E se sì, ha qualche rito particolare?
Sì, sono scaramantico ma non ho un rito perché la mia scaramanzia si porta avanti in tutti i giorni della settimana (ride); non è una cosa che nascondo nemmeno ai miei giocatori e ai miei collaboratori i quali, a volte, sorridono di fronte alle mie manie (ride).

Mi dica il primo allenatore che le viene in mente che le piace per il modo di allenare.
Indubbiamente Guardiola, ha tante idee diverse che si adattano alla squadra che allena, nonostante spesso e volentieri sia una squadra con un certo tipo di giocatori. Dal canto mio cerco di ispirarmi a lui più per il suo modo di adattare le nuove idee alla sua squadra, lo faccio soprattutto per il mio bagaglio personale.

Avete avuto un ottima seconda parte di stagione sino a questo momento. Dove vede il suo Toro a fine stagione?
La vittoria più grande che potrei avere sarebbe quella di vedere tanti di questi ragazzi fare il passaggio in Primavera; poi è chiaro che tutti giocano per vincere e non credo a nessuno di quelli che dicono il contrario: secondo me bisogna far trovare un punto d’incontro tra le idee che servono per vincere e quelle che servono a dare la mentalità di gioco per raccogliere il risultato.

Letto 4983 volte Ultima modifica il Martedì, 05 Gennaio 2016 09:58

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