INTERVISTA - Oltre alla sede centrale del Musiné Sport Village di Pianezza, la ISS ha 20 sedi in tutta Italia e qualche punto all’estero, si avvale di 80 istruttori e allena almeno tremila ragazzi e ragazze ogni anno. Il segreto? «Il nostro metodo di allenamento che ti porta fino alla partita, la correzione analitica del gesto, la voglia costante di crescere e migliorarsi» spiega Piras, che gestisce la scuola insieme a Enzo Friso
Due settimane fa, precisamente il 10 settembre 2023, l’ISS - Individual Soccer School ha festeggiato il suo 13esimo compleanno. «Quando siamo partiti, tutti mi dicevano “tanto non funziona”. E invece siamo ancora qui, abbiamo 20 sedi in Italia e qualche punto all’estero, in cui lavorano più di 80 istruttori e si allenano almeno tremila ragazzi e ragazze all’anno». Numeri impressionanti, che raccontano la crescita della scuola di perfezionamento individuale gestita da Giordano Piras ed Enzo Friso, che ha la sua sede centrale al “Musinè Sport Village” di Pianezza: «Oggi siamo un modello vincente».
Giordano, facciamo un po’ di storia. Raccontaci come è nato l’ISS.
«Ho iniziato a fare allenamenti individuali con Alberto Lampo, Rita Guarino, Patrizio Sala e Teo Coppola, mio amico d’infanzia, in quella che è stata la prima scuola in tutta Italia a insegnare calcio a livello individuale, la IFC. Questo mondo mi ha subito affascinato, per cui ho deciso di aggiornarmi e sono andato in giro per l’Europa per vedere come lavoravano e capire cosa mancava qui in Italia: Real Madrid, Barcellona, Ajax, Porto, sono andato a studiare dai migliori. E ho visto migliaia di video di gesti tecnici, cercando di capire come scomporre, e quindi come insegnare, ogni singolo gesto. Quello che oggi si vede nei video su Instagram e Tik Tok, noi lo facciamo da sempre. Siamo partiti con l’Individual Soccer School 13 anni fa, sul campo di Tetti Neirotti a Rivoli, eravamo io, Dennis Sanseverino e Tatiana Zorri. Enzo Friso è entrato un paio di anni dopo, oggi siamo noi due i responsabili dell’ISS. Da due anni abbiamo aperto anche l’ISS Women, progetto cui crediamo molto e che ci sta dando grandi soddisfazioni».
Dove si trovano le sedi dell’Individual Soccer School?
«Già nel 2011 siamo entrati al “Musinè Sport Village” di Pianezza, questa è la nostra casa, qui nascono e si sviluppano le nuove idee, qui teniamo i corsi per i nostri istruttori, oltre a fare tantissimi allenamenti individuali. Ma ci siamo diffusi in tutta Italia: abbiamo quattro sedi in Lombardia, tre in Veneto di cui una dedicata al femminile, due in Trentino, due in Alto Adige, una in Emilia-Romagna, in Liguria e in Valle d’Aosta, poi due in Sardegna e altre quattro in Sicilia. E poi abbiamo delle sedi all’estero, una fissa in Francia a Quimper, altre itineranti dove andiamo a fare campus che durano un paio di mesi, in Repubblica Ceca e in Australia».
Prossime tappe?
«Le prossime aperture saranno a Roma e negli Stati Uniti, una sede fissa nel Tennessee: ci siamo quasi, ma ne parleremo a tempo debito. E continuiamo, io ed Enzo, ad andare in giro per rimanere aggiornati: i prossimi viaggi in programma sono al Manchester City, al Mainz dove un nostro ex istruttore - Luca Saltuari - è diventato responsabile dell’attività di base, e al Red Bull Salisburgo, loro sono avanti anni luce. La ricerca e la formazione continua sono uno dei nostri segreti».
Diamo i numeri: quanti istruttori, quanti allievi.
«Difficile fare un conto preciso, perché c’è grande turnover. Diciamo che attualmente utilizziamo almeno 80 istruttori tra tutte le nostre sedi, la cosa importante è che sono tutti formati nella nostra scuola. Devono conoscere perfettamente il metodo di lavoro e la filosofia di ISS prima di scendere in campo con i ragazzi. Contare gli allievi è ancora più difficile: nell’arco di una stagione, tra i percorsi stagionali di allenamento, gli stage invernali ed estivi, gli eventi, girano nel mondo ISS almeno tremila bambini e ragazzi. In 13 anni saranno stati 25mila in tutto, visto che all’inizio erano un po’ meno».
Come si spiegano questi numeri clamorosi, qual è la differenza tra la vostra e le altre scuole di allenamento individuale, che ormai sono tantissime?
«Noi insegniamo la gestualità in una progressione che ti porta fino alla partita. Il nostro metodo non è fine a sé stesso, ma ti porta nelle situazioni di gioco. Insegniamo il gesto tecnico in rapporto alle situazioni che si possono creare in partita: se ti attaccano da una parte o dall’altra, se ti tirano la maglia, se ti saltano sopra… Tutti scompongono il gesto tecnico per insegnarlo e perfezionarlo, dall’inizio alla fine. Noi invece partiamo dalla fine, dalla partita. Prendiamo il gesto visto fare in partita e lo scomponiamo fino alla base. Non è facile da spiegare a parole, è molto più chiaro sul campo, ma questa è la base della nostra metodologia. Utilizziamo, come altri, il metodo 1 contro 1, un istruttore per un giocatore, ma ci differenziamo per la correzione analitica del gesto, fino al dettaglio: come toccare la palla, il movimento del corpo, sempre - ripeto - in rapporto alla partita».
La concorrenza in costante aumento vi disturba?
«No, anzi, per noi è un bene: più scuole ci sono, più crescono i nostri numeri. Tutti i ragazzi ormai vogliono fare gli individual e i nostri allievi continuano ad aumentare. Bene così».
In questi 13 anni, com’è cambiato il lavoro dell’Individual Soccer School?
«A livello tecnico ovviamente ci siamo evoluti e continuiamo ad evolverci giorno dopo giorno, quando non saremo più curiosi e non avremo nuove idee, sarà il momento di smettere. La filosofia di fondo, ovvero insegnare calcio, gesto tecnico e tattica, a livello individuale, rimane la stessa, ma perfezioniamo ogni giorno il nostro metodo, che ci permette di ottenere risultati soddisfacenti dentro e fuori dal campo. I cambiamenti più grandi ci sono stati dal punto di vista organizzativo, siamo passati da 3 istruttori e 13 bambini a quello che siamo adesso…»
E come sono cambiati, in questo decennio, i giovani calciatori e i loro genitori?
«I ragazzi, che prima veniva per imparare a giocare a calcio, adesso vengono perché vogliono diventare giocatori professionisti. La media nazionale dice che ce la fa uno ogni 13mila. Da noi la media è un po’ più alta, visto che ne contiamo una ventina sui 3mila di cui parlavamo prima, ma il discorso non cambia: noi garantiamo il miglioramento dei nostri allievi, non certo che diventino professionisti. Migliorare dà sicurezza, autostima, aiuta nei rapporti con i compagni di squadra, fa crescere non solo nel calcio ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Nei nostri allenamenti il cervello lavora velocemente, devi ricordare un sacco di gesti e di movimenti, devi credere in te stesso. Ma non vendiamo illusioni: tanti ragazzi credono che venendo da noi diventeranno professionisti, ma non è così».
E i genitori?
«Il discorso è simile. Tanti pretendono troppo dai figli, mettono loro una pressione che li condiziona e li spaventa. Comunque, non bisogna mai dimenticare che il calcio è un gioco».