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Venerdì, 29 Maggio 2015 11:20

Francesco Marinaccio: "Tanta gavetta per arrivare dove sono: nel calcio i risultati si ottengono con il tempo e con il lavoro"

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INTERVISTA - Da responsabile del Settore giovanile a team manager del Chieri. La valutazione: "Due anni ricchi di soddisfazioni, con tre finali e due semifinali regionali: abbiamo seminato bene". L'esperienza personale: "Qui c'è tanta gente da cui imparare. Adesso entro nel mondo dei "grandi", l'unico che ancora mi mancava". Elogi per Iuliano, Ragagnin, Ligato, Fantino e Gobbato.


“La crescita e gli eccellenti risultati tecnici e agonistici che nell’ultima stagione hanno visto protagonista il settore giovanile, hanno convinto il Chieri a promuovere Francesco Marinaccio da responsabile organizzativo del settore giovanile a team manager della prima squadra e della Juniores per il 2015-2016. In questa nuova veste Francesco Marinaccio sarà il braccio destro del direttore generale Pino Perfetti e il principale interlocutore della società per gli aspetti logistici e organizzativi della prima squadra e della Juniores, andando a formare con Vincenzo Manzo un team giovane, dinamico e moderno per continuare a crescere e puntare ancora più in alto”.
Con questo comunicato pubblicato sul sito ufficiale, il Chieri ha ufficializzato la nuova carica di Francesco Marinaccio, con cui abbiamo fatto una chiacchierata.

Francesco, due anni fa eri al Vianney, adesso sei nello staff di una squadra di serie D. Un bel salto in alto…
“Sì, è vero, ma è il frutto di un percorso iniziato una decina di anni fa, da allenatore degli Allievi fascia B del Vianney con il gruppo ’92. Da lì sono passato a vivere la società calcistica in diversi ruoli: responsabile dell’attività di base, responsabile delle giovanili, direttore sportivo… Devo ringraziare due persone, posso?”

Ci mancherebbe, prego. 
“Marco Zanini, che purtroppo è mancato, e Riccardo De Maglianis, persone così per bene è difficile trovarle in questo mondo. Sono loro che mi hanno fatto crescere. Al Vianney si era creato uno staff affiatato, anno dopo anno abbiamo messo granellini di sabbia nella nostra bottiglia, e nella classifica del Superoscar siamo passati dalla 70esima posizione all’ingresso nelle prime 12”.

Insomma, non sei finito a Chieri per caso.
“Dietro c’è tanta, tanta gavetta. Nessuno mi ha regalato niente, non ho mai avuto sponsor e amicizie importanti”.

Nel dicembre di due anni fa il passaggio dal Vianney al Chieri. Ma anche prima il tuo nome è stato spesso protagonista di radio-mercato.
“Quando la dirigenza del Chieri mi ha contattato, ci siamo piaciuti ed è stato facile accettare, questa è una grande società. Ma la chiamata è arrivata nel momento giusto, perché dopo tanti anni mi sono sentito libero di cambiare, prima non avevo mai accettato le proposte delle altre società. Mi spiego: mi ero intestardito di portare in alto il Vianney, volevo dimostrare in quel modo di essere capace. È un percorso che mi ha formato, ma con il senno di poi, la strada più facile sarebbe stata passare in una società più blasonata dopo due o tre anni di Vianney”.

Alla fine è andata bene così.
“Sì, anche perché sono convinto che, a livello di Settore giovanile, una programmazione a 360 gradi non può durare meno di 5 anni. Se no è tutto un magna magna, prendere un allenatore che ti porta la squadra è facile, ma è un ragionamento da società piccola, la società invece deve essere più forte di un allenatore, deve avere un appeal a prescindere. Tanto poi quegli allenatori se ne vanno e si portano via la squadra, e a te cosa rimane? Cos’hai costruito? Niente”.

Magari la disponibilità economica velocizza questo percorso di formazione e valorizzazione di un Settore giovanile, no? I soldi fanno la differenza anche nel calcio.
“Certo, ma io credo nel lavoro, nella programmazione. Prima di tutto ci sono gli allenatori e gli istruttori, c’è la formazione di uno staff – con i preparatori, i dirigenti, la segreteria – che permetta a tutti di crescere, ciascuno secondo le sue competenze. Ogni anno aggiungi un pezzettino, un allenatore, qualche giocatore. Solo così, con il tempo, si crea un gruppo di lavoro vincente e anche motivante per ragazzi. Perché, ritornando al discorso di prima, un allenatore che si porta dietro la squadra fa il male prima di tutto dei ragazzi. Magari con i soldi puoi fare questo percorso in tempo più breve, ma con i soli soldi tutti gli anni si riparte da capo. 

Com’è stato l’impatto con Chieri?
“Qui c’è grande blasone, idee chiare, una struttura importante, tutta gente preparata. Io ho provato a portare le mie idee e la mia esperienza, e devo dire che da subito tutti mi hanno aiutato a inserirmi nel modo migliore possibile, dal presidente al direttore generale, dagli allenatori alla segreteria, tutti. Mi hanno dato la possibilità di voler lavorare bene”.

E com’è stato passare da una società dove potevi decidere tutto a una dove sicuramente non avevi l’ultima parola?
“Per mia crescita professionale e umana avevo bisogno di cambiare, concluso il lungo periodo al Vianney. Avevo bisogno di una società dove trovare stimoli e obiettivi diversi, possibilità di confronto, gente che fa calcio da anni da cui imparare”.

Cos’hai imparato?
“Tantissime cose, ne dico due. Ho imparato che lavorare in piazza importante ha ripercussioni sul territorio, da tutti i punti di vista. E ho imparato che bisogna sempre essere umili”.

Facciamo una valutazione di questi due anni nel Settore giovanile. Buoni risultati, ma è mancata la ciliegina sulla torta, il titolo regionale.
“Su otto squadre disponibili, abbiamo fatto tre finali e due semifinali regionali, tre di queste cinque partite le abbiamo perse ai rigori. Vuol dire che la base è buona, come giocatori, allenatori, organizzazione eccetera. Un albero per crescere deve essere innaffiato continuamente, io dato mio contributo”.

Tra gli allenatori che hai avuto a Chieri, il migliore e la delusione.
“Gli allenatori sono tutti diversi, difficile dare giudizi così secchi. Diciamo che la squadra che mi piace veder giocare è il 2001, la squadra che emotivamente mi coinvolge di più è il 2000, la squadra cui voglio più bene è il ’99, personalmente ho un debole per loro”.

Va bene, accetto la risposta diplomatica ma ci riprovo. Gli allenatori non del Chieri che quest’anno ti sono piaciuti di più.
“Rispondo ancora con le squadre. Quella che mi è piaciuta di più, qualche volta me la sono andata a vedere anche per piacere personale, è lo Sporting Cenisia 2000 (di Gianni Iuliano, ndr). Non li ho tanti seguiti durante la stagione, ma la J Stas ’98 (di Nicola Ragagnin, ndr) ha giocato una grande finale regionale, nonostante la sconfitta”.

Ancora sugli allenatori. Chi, secondo te, meriterebbe una chance con il professionismo?
“Non voglio fare torto a nessuno, ma dico Ligato: è stato un drago a fare due finali con lo stesso gruppo”.

Un assist perfetto per una domanda d’obbligo: Ligato sarà un allenatore del Chieri?
“Non è giusto parlarne adesso, l’Atletico Torino rappresenta tutto il Piemonte in una fase nazionale, lasciamoli tranquilli e tifiamo per loro”.

Ultima sugli allenatori: quelli più sopravvalutati.
“Non ce ne sono. L’allenatore è un uomo solo, fare l’allenatore nelle giovanili, età difficilissima per i ragazzi, è una missione, andrebbero tutti abbracciati per il lavoro che fanno, si occupano dell’educazione non solo calcistica di ragazzi che realisticamente non faranno i calciatori di mestiere. Impossibile parlare male di qualcuno”.

Cambiamo fronte, parliamo di direttori sportivi. Non ti chiedo chi sarà il tuo successore a Chieri, tanto sei troppo diplomatico per dirmelo, ma un paio di nomi di “colleghi” che stimi.
“Dico due mostri sacri delle giovanili: Sergio Fantino e Tiziano Gobbato”.

Ultima domanda. Da dove vieni e cos’hai fatto nel calcio, lo abbiamo capito. Ma cosa farà, da domani, Francesco Marinaccio, nuovo team manager del Chieri?
“Lavorerò al fianco di Manzo e di Perfetti, mi occuperò della parte organizzativa e logistica. Avrò a che fare con il mondo dei “grandi”, che ho sempre vissuto marginalmente. Una bella avventura, il giusto sfogo per chi, come me, vuole migliorarsi in questo mondo. Ho iniziato con i Piccoli Amici, ho lavorato tanti anni nelle giovanili, mi mancava il tassello della Prima squadra, ho fatto tutto il giro. Ho tanta voglia, tanto entusiasmo, mi dispiace solo una cosa…”

Cosa?
“Che non parlerò più con 11 giovani”.

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