Angelo Frau, presidente della storica società calcistica torinese Cit Turin, situata all’angolo tra corso Ferrucci e corso Vittorio Emanuele II, parla per Progetto Torino: in un incontro con Barbara Castellaro (candidata di Progetto Torino in Consiglio Comunale) e Daniele Martino (candidato di Progetto Torino in Consiglio Comunale, circoscrizioni 3 e 7) esamina il valore dello sport in città dal suo punto di vista privilegiato.
Rileggiamo gli ultimi cinque anni di amministrazione di centrosinistra dello sport a Torino: è andata bene o male?
“Non è stato fatto niente di nuovo rispetto a prima. Si è aggiunto l’evento di Torino Capitale Europea dello Sport 2015, e questo in effetti ha creato gran movimento, ma in realtà si sono anche oscurate le reali politiche sportive in città. Sono passati in secondo piano il nuovo regolamento comunale, il discorso sugli impianti sportivi, il rinnovo delle concessioni e dei bandi. E poi, per mancanza di soldi stando a sentire quanto afferma l’amministrazione, non è stato possibile far ripartire i piani di edilizia sportiva per quel che riguarda la manutenzione dell’impiantistica: i pochi soldi messi a disposizione sono stati ingoiati dalla priorità del salvataggio del Filadelfia. Anche sulla faccenda Capitale Europea si poteva fare meglio: si è gestito un megaevento come se fosse una fiera di strada. Le federazioni sportive non sono state molto coinvolte e, a dirla tutta, “le palestre a cielo aperto” sono state un po’ una faccenda rionale. Il CONI è stato ignorato, e ha protestato duramente contro l’assessore allo sport della Città, il dimissionario Stefano Gallo”.
C’è un modo “di sinistra” di gestire lo sport?
“Certo! Ma bisogna avere un’idea di insieme. La prima cosa da fare è creare un coordinamento tra gli assessori allo sport delle città e della Regione. In secondo luogo, è essenziale riconoscere e cooperare con il CONI, ma non solo: dai discorsi di educazione allo sport e di promozione delle attività ludiche non possono mancare gli enti di promozione come Uisp, Aics, Csi, Pgs eccetera. Solo con questi due presupposti si potrà riuscire a valorizzare il patrimonio sportivo della città: basti pensare che per il calcio ci sono già oltre 30 campi in erba sintetica, pagati dalla Città non molti anni fa, oggi quasi tutti senza manutenzione o in deciso abbandono, in particolare quelli omologati dalle Federazioni per i campionati ufficiali. In questi casi è l’ente proprietario che deve mantenere in efficienza i campi di giochi omologati, e dunque è una responsabilità della Città. Non ci vuole molto, credetemi: e una amministrazione di centrosinistra, o comunque una buona amministrazione, non può abbandonare il suo sistema sportivo. Lasciamo pure alle associazioni sportive la manutenzione ordinaria, ma se il mantenimento dei terreni di gioco grava unicamente su di loro sarà dura provvedere. E i risultati si vedono”.
Il problema dei finanziamenti è sempre stringente?
“Bisogna ricominciare ad avere fidejussioni vere, almeno per chi vuole investire sull’ampliamento o sulla ottimizzazione degli impianti. Ci sono pochi soldi? Si metta un tetto, ipotizziamo 2 milioni di euro all’anno per tutto il settore sport, e si incoraggino le associazioni sportive che hanno spirito di iniziativa. Tra l’altro, sarebbero investimenti a ricaduta diretta: si crea lavoro nel terzo settore, si fa welfare sportivo e si evita che i presidenti delle associazioni sportive si debbano mettere a fare gli amministratori delegati per rincorrere i ricavi e tagliare i costi, trascurando la promozione sportiva e costringendo a dare sempre più rilievo agli aspetti commerciali della attività. Oggi la situazione ci costringe a diventare degli spazi di ristorazione con un campetto per i ragazzini del quartiere: è questo quello che si vuole? È un po’ poco per parlare di sviluppo dell’educazione sportiva nella società. Bisogna rivedere il regolamento dei nuovi bandi, e ridare priorità alla promozione dello sport, e non ai ricavi commerciali di ristorazione, che peraltro sono tassati senza pietà al pari di tutte le altre tasse comunali”.
Come dovrebbe essere invece un impianto di quartiere?
“Gli impianti devono essere riferimenti sportivi e di incontro sociale per il territorio, per le scuole, magari con servizi di navette che portino chi è più lontano dall’impianto o non vuole usare l’auto privata. Sarebbe bello vedere delle linee che collegano le scuole della zona con l’impianto sportivo di riferimento, senza scaricare sui privati la logistica. lo sport è una attività socialmente rilevante: aiutiamolo pensando una mobilità razionale”.
Gli impianti sportivi possono essere qualcosa di più di un semplice contenitore fisico di attività sportiva?
“Ma è ovvio! Possono diventare il punto di aggregazione per i giovani, e anche per gli anziani. Mica è scritto nella legge che da noi si gioca a pallone e stop: abbiamo gli spazi e la voglia di operare nell’educazione sociale. Un esempio? Dei doposcuola per far fare i compiti ai ragazzini, spazi attrezzati per permettere ai gruppi di suonare musica, zone per leggere e studiare. Un luogo bello dove stare perché hai voglia di starci, non perché devi starci; si potrebbero finalmente spegnere gli smartphone e fare vera relazione interpersonale. Chi crede che un centro di incontro sia una stanza vuota con dei tavoli non ha capito niente: un centro di incontro vero e vivo è fatto da gente che progetta attività, stimola pool di associazioni che mettano insieme le proprie competenze per far venire fuori le “soft skills”, le competenze e il talento dei ragazzini”.
E se si fondessero le deleghe degli assessorati all’Istruzione e allo Sport, come capita già nelle commissioni?
“Sì, sarebbe una fusione logica. Favorirebbe una azione di educazione sociale dei nostri ragazzi, che nelle scuole non hanno lo sport e nei centri sportivi non hanno formazione culturale”.
Fonte: www.progettotorino.it