Domenica, 28 Aprile 2024

VICTORIA IVEST SRL
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LA STORIA

Victoria Ivest: sport per passione 

(VEDI FOTO STAGIONE 1992/1993)

Cronaca vera di cinquant’anni di calcio dilettantistico  

In molte occasioni, nello schematizzare progetti, vittorie esaltanti, sconfitte rimediate e storie di ordinaria, cocciuta passione, possiamo cadere nel banale. Rischiamo di farci leggere con malcelata sopportazione, con l'annoiato zelo di coloro che pensano ai soliti, scontati lustrini da mettere in vetrina. Per l'Ivest, meglio, per l'Unione Sportiva Dilettantistica Victoria Ivest, no!

E sì, perché se si desidera parcheggiare la propria visuale su una solida struttura organizzativa, se si pensa di ottenere risposte positive sul modo di fare calcio e, soprattutto, di far fare calcio ai più piccini, allora non occorre sorvolare montagne ed oceani, pianure e grandi laghi, basta trasferirsi al Borgo Vittoria di Torino è si potrà essere esauditi.

All’inizio della storia che stiamo per narrare, la Borgata Vittoria era una realtà sportiva anomala; un quartiere popoloso con oltre ottantamila cittadini torinesi censiti, con rare strutture per fare sport e quasi inesistente lo spazio per il calcio, la disciplina che interessa in queste cronache.

I grandi lavori edilizi e urbanistici che, grazie ai fondi statali per il Centenario dell’Unità d’Italia, avevano consentito alla città, verso la fine degli anni Cinquanta e nei primissimi Sessanta, di ottenere una decina di campi da fulbal (erano i tempi in cui il calcio subiva ancora, dal dialetto locale, i termini più significativi!), costruiti con poco raziocinio e con dimensioni decisamente ridicole, tanto che nelle stagioni di questo inizio millennio sono stati quasi tutti dismessi. Ma era stata la “Città” ad ottenere quei campi, quasi tutta la città, mentre Borgo Vittoria era stata ignorata. C’era, si, un bel rettangolo di gioco in via Casteldelfino angolo corso Grosseto ma era proprietà privata delle industrie Michelin e, lì sopra, ci giocavano solo i dipendenti: manco a provarci a chiederne l’affitto, anche parziale, pareva un’eresia! Molti anni dopo, quando le grandi industrie furono costrette e cedere terreni e interi caseggiati, in pratica scambi di “favori” con le istituzioni, ci fu un impiego del campo anche per i dilettanti, ma, oramai, all’Ivest avevano fatto da sé e di quella struttura, bella, ampia, comoda non fregava più niente ad alcuno tanto che, di questi giorni, è finita per diventare una… discarica abusiva in attesa che…

Per la verità c’era un altro “buco” di campo sportivo in zona ed era quel poco più che un campo da tennis situato in via Reiss Romoli angolo via Scialoia, costruito verso la fine degli anni Sessanta ai confini della borgata ed a fianco di un gruppo di case popolari che presero il nome dalla cooperativa che aveva edificato il tutto: gestione strana, quasi nascosta ai più e, comunque, con un campo non omologabile.

Tralasciando, quindi, queste due realtà sportive inavvicinabili per i più vari motivi, chi voleva fare calcio nel quartiere doveva arrangiarsi, episodicamente e pioneristicamente, su alcuni dei terreni non ancora occupati dall’edificazione che avrebbe stravolto il borgo come ogni altra zona cittadina: è il “progresso, bellezza”, dicevano i sapientoni che ci governavano. Ma un progresso senza consentire alcun sfogo alla gioventù, che progresso è?
 

Di queste teorie, affermazioni, cervellotiche considerazioni filosofiche non tennero conto alcuni appassionati (la passione per lo sport giovanile e dilettantistico sarà, d’ora in avanti, il filo conduttore dell’intera nostra storia) che cominciavano ad intravedersi nel borgo, a ritrovarsi su un pezzo di prato spelacchiato, a organizzare partitelle, prima, di sei contro sei, poi, addirittura, vere sfide undici contro undici. D’accordo, non era certo lo stadio comunale, manco il campo del Cenisia o dello Spartanova, società in auge in quelle stagioni, tuttavia c’era da divertirsi. Pian piano, domenica mattina dopo domenica mattina, mentre venti ragazzi sgambettavano, qualche adulto cominciò ad impossessarsi, letteralmente, di quel prato alle spalle di via Veronese e di via Massari, un prato, ci si era informati, di proprietà comunale. Alle due porte da gioco, costruite con legno rozzo ma subito colorato di bianco, venne aggiunta una baracca, proprio una baracca con pareti e tetto in lamiera, che doveva fungere da spogliatoio, poi venne chiesto un permesso per l’allacciamento dell’acqua e si tirò una recinzione, di sola rete metallica, intorno al campetto: era nata la Società Calcistica Victoria che si iscrisse in uno degli enti di promozione sportiva in cui le norme per fare calcio erano prese con molta elasticità e intelligenza, tanto che anche quella sorta di campo sportivo andava bene per le loro gare che chiamiamo di campionato perché anche a queste latitudini, pur se non si è dei “milord”, sempre di scontri con un punteggio in palio si trattava.

Contemporaneamente a queste vicende sportive si evolveva e si sviluppava nella Borgata Vittoria un’industria che segnerà e identificherà in modo indelebile la società di calcio di cui stiamo scrivendo: è l’industria di vernici IVEST che la famiglia Furnari aveva fondato e stava avviando alle migliori fortune commerciali. I fratelli Piero, Baldassarre e Nino Furnari saranno a capo anche di un’impresa sportiva che consentirà di ottenere ottimi risultati nei quarant’anni susseguenti.

Per la verità è Nino Furnari che si impegna in prima persona nell’Ivest calcio, dapprima allestendo un'attività sportiva all'interno del gruppo aziendale, poi, seguendo il suo istinto, andando a “dirigere calcio” dentro i rettangoli di gioco (a far l’arbitro, insomma!) e, infine, nel 1965, a fondare l’Unione Sportiva Ivest, subito in FIGC con qualche addentellato nell’UISP,altro ente di promozione sportiva di grande spessore.