INTERVISTA A MATTIA ROLFO – Quattro chiacchiere con il responsabile dell’attività agonistica del settore giovanile della Pro Vercelli Mattia Rolfo. Opportunità per discutere di crescita sia emotiva che tecnica dei ragazzi, della situazione generale dei settori giovanili italiani e per celebrare gli ottimi risultati delle “bianche casacche”
La Pro Vercelli vive un momento di grandi soddisfazioni per quanto riguarda il suo settore giovanile. Under 17 e 16 si sono qualificate in tempi record alle fasi finali dei loro campionati, rispettivamente con due e una giornata d’anticipo. L’Under 15 si trova invece al terzo posto del suo girone, in piena lotta per la qualificazione. Risultati che non possono che rendere contento chi questo progetto lo segue giorno per giorno. Come Mattia Rolfo, responsabile dell’attività agonistica del settore giovanile dei vercellesi, che ha gentilmente trovato il tempo per concederci qualche dichiarazione.
Ciao Mattia, in una precedente intervista dichiari che la cosa che apprezzi del tuo lavoro nel mondo del calcio è quella di osservare i giocatori maturare. Come nasce questa passione in te? Puoi spiegarci quali sono le caratteristiche che secondo te un ragazzo deve possedere per essere definito, appunto, maturo?
“Per me il settore giovanile è sempre stato il posto migliore per fare calcio. A me piace cercare i ragazzi, capirne le potenzialità e poi vederli crescere e migliorare. Questo è sempre quello che mi ha affascinato e che oramai è più di un decennio che faccio. Alla Pro Vercelli devo dire che per me lavorare è un po’ più facile: c’è un’importante struttura, poi è una società storica e i ragazzi vengono volentieri” – continua – “Per quanto riguarda la mia idea di calciatore maturo, a me piace legarlo a un altro aggettivo, cioè quello di calciatore pensante. Non solo quindi bravo a fare il suo compitino in campo, ma anche rapido di testa e nell’adattarsi a qualsiasi situazione”
Come collidono nel vostro lavoro quotidiano la crescita emotiva e comportamentale del ragazzo con quella tecnica di calciatore?
“E’ proprio questa la difficoltà/bravura nel nostro lavoro. E’ logico che non possa esistere un giocatore ad alto livello che non sia anche un professionista serio, educato e istruito. Le due cose devono convivere per forza. Un ragazzo non può essere forte soltanto in mezzo al campo. Deve esserlo altrettanto psicologicamente e avere tanta cultura del lavoro. Ed è questo che cerchiamo di portare avanti nella nostra filosofia.
Secondo te quali sono le difficoltà immediate che può provare un giocatore nel passaggio tra calcio giovanile a quello professionistico? In che cosa credete che il vostro lavoro possa prevenire, in termini sia tecnici che umani, qualche inevitabile giro a vuoto?
“Il passaggio nel calcio dei grandi è inevitabile che sia sempre complicato. Devo dire che noi abbiamo una direzione tecnica molto illuminata, perché sia Musumeci (responsabile Area scouting e settore giovanile) che il direttore Casella hanno sempre puntato sui giovani e continuano a farlo, infatti in prima squadra sono titolari due nostri ragazzi del settore giovanile. Questo vuol dire che già sotto si sta lavorando al meglio, perché se un ragazzo della Primavera fa due allenamenti con i grandi e diventa titolare vuol dire che questo passaggio parte dal lavoro del settore giovanile”
Quindi si può parlare di Pro Vercelli come di un modello sano e da seguire?
“Questo è il nostro obiettivo. Col direttore Musumerci, da inizio anno, abbiamo cercato di creare proprio un nostro modello, volto a formare giocatori forti sia tecnicamente che fisicamente, senza dimenticare del nostro impegno nel creare uomini con forte spirito di sacrificio”
Qual è il termometro del calcio giovanile italiano? Cosa pensi delle critiche al sistema affiorate dopo la mancata qualificazione al Mondiale?
“Io penso che in Italia, come da altre parti, ci si esalti o ci si deprima troppo velocemente. Dopo gli Europei eravamo tutti fenomeni, ora di punto in bianco siamo tutti scarsissimi. Non è così. Secondo me, la verità è che nel settore giovanile i percorsi sono lunghi e i risultati vanno analizzati a lungo termine. Fare un’analisi del risultato di oggi non ha alcun senso nel settore giovanile. Bisogna avere pazienza e lavorare tanto. Io penso che il lavoro nel settore giovanile paghi sempre e la Pro Vercelli, nel nostro piccolo, ne è la dimostrazione. Ci vuole cultura e tempo.
Trovi che attorno ai settori giovanili ci sia poca pazienza?
A volte si tende a dare giudizi fin troppo affrettati. Bisogna aspettare, poi è chiaro che ci possano essere delle delusioni, ma non possiamo permetterci di essere sempre così umorali.
Tornando a parlare di Pro Vercelli, quali sono le ambizioni per il futuro? Immagino vogliate subito rendervi protagonisti fin dalle fasi finali dei rispettivi campioni e nei prossimi tornei come il Maggioni-Righi.
Domenica abbiamo qualificato Under 16 e 17 alle finali nazionali. Già per noi è un risultato grandioso. L’Under 15 è terza e dunque se la sta ancora giocando. Il nostro scopo nei playoff e nei tornei che andremo ad affrontare è andare avanti con tutte le categorie il più possibile, sempre considerando che questa per noi è già un’annata estremamente positiva. Tutto quello che viene è tutto di guadagnato e ci godiamo il momento. I ragazzi, lo staff e i direttori hanno fatto tutti un grande lavoro.
Ve lo aspettavate?
Più che aspettarcelo, ci speravamo. Chiaramente dopo due anni di stop forzato era difficile capire anche quale fosse il livello in giro. E’ stata un po’ una sorpresa, ma il lavoro dietro comunque c’era ed eravamo consapevoli di aver formato delle squadre competitive.
Successivamente a un periodo in cui il distanziamento è stata parola d’ordine, quanto peso date all’aggregazione? E’ giusto dire che questo spirito si rispecchi profondamente nel rapporto tra squadre maschili e femminili della Pro Vercelli?
Per noi i cardini fondamentali sono sempre stati e devono essere lo spirito di squadra, il senso di appartenenza al club e l’amore per la maglia. Concetti che devono coinvolgere dall’attività di base all’agonistica, ma anche alla nostra femminile. Quest’ultima è una branchia neonata del nostro settore. Sta crescendo e sono convinto che darà grandi soddisfazioni.
Dopo la pandemia cosa hai trovato di diverso e, al contrario, di intatto nel mondo del calcio?
Ci siamo fermati parecchio ma, nonostante ciò, ho trovato ancora grande passione e voglia di ricominciare. Quello che sicuramente ci siamo persi sono due anni a livello tecnico, che non posso essere restituiti ai nostri esordienti e pulcini. Ad esempio, i giovanissimi di adesso si ritrovano a giocare a undici, senza essere passati dal calcio a nove. Hanno saltato uno scalino. Infatti io ora vedo giocare l’Under 14 adesso e trovo logico notare che siano un po’ più in difficoltà rispetto alla stessa categoria di tre anni fa.