Lunedì, 23 Dicembre 2024

Gianluca Manganiello: «Preparazione fisica e mentale, conoscenza del gioco e delle squadre: noi arbitri lavoriamo per migliorarci sempre»

Gianluca Manganiello Gianluca Manganiello

INTERVISTA - Il direttore di gara di Pinerolo (che va verso le 100 presenze in serie A) consiglia «ai calciatori in erba di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza»


Gianluca Manganiello (Pinerolo, 28 novembre 1981) è un arbitro di calcio italiano. Vanta 293 gare arbitrate tra i professionisti, di cui 88 in serie A.

Dalla Can D nel 2007, attraverso la Can Pro e la Can B fino all’esordio nella massima Serie nel 2014 e alla consacrazione in Can A nel 2017; infine anche addetto alla Sala VAR. Quanto è difficile diventare un arbitro del tuo livello?
«Il percorso di maturazione è lungo e tortuoso: passa attraverso errori e la costante formazione. La parte più complessa è quella di mantenere l’equilibrio mentale, non scoraggiarsi davanti a prestazioni negative né esaltarsi davanti a ottime performance. Un altro aspetto fondamentale è la cura del proprio fisico e la costanza negli allenamenti poiché si arriva ai massimi livelli a un’età più avanzata rispetto ad altri atleti. Il percorso di crescita di un arbitro è solitario, perciò imparare ad accettare una sana competizione e saper lavorare sui propri limiti è la chiave per ottenere le proprie gratificazioni».

È più difficile dirigere una gara di campionati minori o di Serie A?
«La difficoltà è di pari livello perché l’esperienza e l’età sono chiaramente differenti. L’adattamento alla nuova categoria non è mai semplice, ma crescere da un punto di vista tecnico-tattico risulta determinante. Le categorie inferiori sono una palestra fondamentale dove sbagliare per imparare è ancora concesso; ai massimi livelli è richiesto un servizio al calcio di alta qualità».

Quale è stata la tua formazione?
«Per i giovani arbitri la sezione di appartenenza è il vero punto di riferimento: anziani, arbitri in categorie superiori sono i nostri formatori. Un continuo confronto e saper accettare le critiche costruttive determinano la crescita dell’arbitro. Risulta altresì importante la visione di partite proprie e altrui per riflettere su episodi e assimilare esperienze che arricchiscono il proprio bagaglio personale».

ISS è un centro di formazione tecnico calcistico nel quale l’allievo è al centro dell'attenzione; esiste qualcosa di analogo per la classe arbitrale? Come viene formato un giovane ragazzo che sogna di diventare arbitro?
«Come detto prima, nella fase iniziale la sezione; successivamente le varie Commissioni Nazionali che con periodici meeting uniscono giovani arbitri per impartire lezioni tecniche».

A proposito di questo argomento, cosa ci consigli di inserire nella formazione dei nostri allievi in rapporto alla relazione con il direttore di gara? E cosa ti senti di dire ai calciatori in erba che ogni domenica si trovano a contatto con gli arbitri?
«Consiglierei di inserire dei corsi specifici sulla conoscenza del regolamento del Gioco del Calcio, questo limiterebbe inutili proteste a fronte di decisioni corrette e potrebbe, inoltre, fornire strumenti per migliorare la squadra stessa. Ai calciatori in erba mi sento di consigliare di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza».

Entriamo nel dettaglio, come è cambiato il calcio dai tuoi esordi?
«Rispetto a 25 anni fa la parte atletica è preponderante, la tecnica non associata a una fisicità non adeguata alla categoria non permette di poterne fare parte. I ritmi di gioco sono notevolmente aumentati, di conseguenza anche la velocità di valutazione dell’arbitro è maggiore. Ad alti livelli, in una frazione di secondo, si possono decidere le sorti di una gara».

Domanda da un milione di dollari: il VAR, quanto e come arriva in vostro soccorso?
«Il Var ha un protocollo chiaro di intervento su specifiche casistiche: per noi arbitri è sicuramente un grandissimo aiuto che permette, nella maggioranza dei casi, di sanare errori incisivi sul risultato. Basti pensare agli errori sul fuorigioco o sulle simulazioni che sono pressoché scomparsi. Rispetto agli anni in cui il Var è stato introdotto, si è fatto un importante percorso di crescita: la sinergia tra arbitro e sala VAR è ormai consolidata, si cerca di restituire in caso di grave errore la verità del campo».

Quanto è affascinante dirigere una partita di cartello? Quali responsabilità ti senti addosso?
«Dirigere in stadi pieni e respirare quell’atmosfera è bellissimo. Oltre ad aumentare la concentrazione e la voglia di far bene, dirigere quelle gare è motivo di orgoglio. Tutti noi lavoriamo per migliorarci sempre e confrontarsi in determinati palcoscenici è sempre stimolante. La responsabilità è tanta, inutile negare che determinate partite cambino anche le sorti “economiche” di una società, ma non si può scendere in campo con questi pensieri, bisogna essere liberi mentalmente per essere il più precisi ed equilibrati possibile in modo da offrire il miglior servizio. Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi.

Quali dettagli ci sono dietro alla preparazione di una gara di Serie A? Studiate le caratteristiche dei calciatori che “incontrerete” la domenica?
«Ogni gara è preparata meticolosamente. Oltre alla conoscenza delle caratteristiche dei calciatori (maturata anche con l’esperienza) prima di ogni gara facciamo un briefing con due Match Analyst che ci forniscono i dettagli tattici e le situazioni più particolari da affrontare, in modo da non farci cogliere impreparati ed anticipare spostamento e lettura calcistica».

Quali sono i particolari sui quali ti alleni durante gli allenamenti? Cambiano in relazione al match che andrai ad arbitrare?
«Sicuramente la settimana della gara affronto allenamenti differenti rispetto alle settimane di “scarico”. Siamo supportati da un modulo di preparazione atletica che definisce i rispettivi programmi. Con il mio preparatore atletico li moduliamo in base alle mie condizioni fisiche. La capacità di ripetere gli sprint (RSA) e una buona base aerobica, ti rende adeguato a svolgere il tuo ruolo. Durante l’anno svolgiamo sessioni di testi atletici per valutare la nostra condizione».

Il direttore di gara ha l'obbligo di mantenere sempre altissimo il livello di attenzione durante i 90': in che modo è possibile? È un aspetto allenabile? Se sì, come?
«Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi. Un mio “maestro” sintetizzava così la difficoltà di mantenere l’attenzione: se in Serie D ti puoi distrarre cinque volte in totale durante la gara probabilmente sei adeguato alla categoria, in Serie A scordatelo! L’attenzione si prepara prima della gara, non durante. Abbandonare pensieri e focalizzarsi esclusivamente ai 90’ di gioco è la chiave. Entrare in partita è come leggere un libro, la differenza però è che non puoi permetterti di rileggere la pagina. Bisogna avere il focus esclusivo e costante. L’attenzione si accresce con il tempo, con la dedizione, con piccoli giochi anche quotidiani. Per esempio, mi viene in mente il semaforo, cercare di capire ed essere immediatamente reattivi quando scatta il verde è una cosa che ogni tanto faccio per gioco ma è finalizzato a curare l’aspetto mentale».

Ti sei mai sentito in difficoltà durante una partita?
«Ci sono state gare assai complesse, che sicuramente mi hanno messo in difficoltà. In questi casi l’unica cosa da fare e stringere ancora di più i denti e svolgere il proprio compito nel miglior modo possibile mantenendo sotto controllo le proprie emozioni. Il bravo arbitro è colui che infonde tranquillità e fermezza al tempo stesso, senza esasperare i toni della contesa e senza essere dittatoriale. Una cosa che aiuta è pensare che alla fine si tratta sempre di un gioco e siamo fortunati a farne parte».

Ora qualche piccola curiosità: quali sono stati il giocatore più corretto, quello con più personalità e quello più forte (ovviamente a tuo parere) che hai arbitrato fino ad ora?
«Il calcio è pieno di persone per bene, tanti capitani si sono comportati come tali, in tutte le categorie ne ho incontrati diversi. Persone che fanno bene al calcio, che mantengono i compagni sotto controllo, che accettano l’errore ed anzi ti rincuorano. Io ho esordito in Chievo-Inter ed il capitano era Zanetti, mi ricordo che fin dal tunnel spese belle parole nei miei confronti e mi mise in condizione di concentrarmi solo sulla gara senza avere “disturbi” da comportamenti impropri da parte dei suoi compagni. Personalità è semplice. Ci sono calciatori che senza parlare fanno la differenza sono con la presenza, Ibrahimovic ne è l’esempio. Il più forte cito sempre Edin Dzeko ma potrei dirne molti. Ero giovane ed arbitrai Roma-Crotone, mi impressionò, faceva quello che voleva con una tecnica sopraffina unita a una potenza atletica disarmante».

Ultima domanda: Gianluca, hai un sogno?
«Cercare di essere sempre adeguato per arbitrare il più possibile ancora. Ho 42 anni ma ancora tanta voglia, anche perché, quando non potrò più scendere in campo, andrà via un pezzo della mia vita e probabilmente mi mancherà tantissimo».

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Maggio 2024 13:00

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