Lunedì, 23 Dicembre 2024

Individual Soccer School - Daniela Turra: «Vogliamo dare a tutte le ragazze che amano il calcio gli strumenti per riuscire a realizzare il proprio sogno»

INTERVISTA - Parla la responsabile dell'ISS Women: «Le ragazze apprendono prima e hanno più grinta e voglia di emergere. Con la correzione analitica si ottengono risultati importanti in meno tempo, il nostro margine di intervento è maggiore, vedere i risultati è una soddisfazione per noi e per loro»


Il calcio femminile è l’unico settore del mondo del pallone che ha ancora ampi margini di crescita. Una considerazione che si riflette anche all’interno dell’Individual Soccer School, il centro di formazione sulla tecnica individuale che fa capo a Giordano Piras ed Enzo Friso. Lo sviluppo dell’ISS Women è affidato a Daniela Turra, veneta classe ‘77, che dalla provincia di Belluno ha il compito di gestire il settore femminile e ampliarlo a livello nazionale.

Daniela, raccontaci di te e del tuo percorso nel mondo del calcio.
«Ho sempre giocato a calcio, da quando avevo 7 anni. Ho giocato con i ragazzi fino a 14 anni, l’ultimo anno sono stata tesserata come “Daniele” in FIGC, perché le ragazze non potevano più giocare con i maschi... Altri tempi. Poi ho giocato con il Vittorio Veneto in serie B per 8 anni, dopo ho girato un po’: Verona e Milano avanti e indietro, Udine e ho finito a Venezia. Ho vinto due campionati di serie A, una Supercoppa e due Coppe Italia. Ho smesso con il calcio a 11 nel 2013 e, mentre continuavo con il calcio a 5, ho preso il patentino Uefa B e quello di match analyst. Ho fatto gavetta nella scuola calcio, finché ho scoperto il mondo della tecnica Individuale, tramite Silvia Marcolin che mi ha fatto conoscere l’ISS. Ho partecipato a un corso qui in Veneto, siamo entrate nell’organico dell’Individual Soccer School nel 2022, subito dopo il Covid».

Domanda personale. Come e perché hai iniziato a giocare a calcio?
«Ho accompagnato mio fratello a un allenamento, mia mamma mi ha chiesto se volevo provare anche io, è nato tutto da lì. Devo ringraziare mia mamma che ha avuto la mente più aperta di tutti. Giocare con i maschi è dura, per essere accettata dovevo far vedere che ero più forte di loro, altrimenti non mi sarei integrata. Ero un difensore centrale, picchiavo tutti, anche i maschetti… Poi, con lo sviluppo, a 13/14 anni le differenze a livello fisico diventano troppo importanti. In quel momento sono passata al calcio femminile».

Torniamo a oggi. Da quando sei entrata nell’ISS, non ne sei più uscita.
«Giordano Piras mi ha dato il compito di responsabile del femminile in Italia, ne sono davvero orgogliosa. Siamo partiti qui dal Veneto, dove conosciamo bene il territorio e le società, per una questione di comodità, ma con l’obiettivo di allargarci a tutta Italia, passo dopo passo. Vogliamo creare un modello da proporre nelle altre regioni».

L’Individual Soccer School era già operativo nel calcio femminile.
«Sì, il primo nucleo di ISS Women è nato a Torino con Tatiana Zorri, poi lei si è staccata perché allena e non ha il tempo di portare avanti il progetto. Io le ho dato il cambio. A Pianezza c’è ancora un bel giro di bambine, così come in altre regioni, per esempio in Sardegna».

Come lavorate in Veneto, e con che numeri?
«Al momento siamo tre allenatrici: io, Giada Bertelle e Melania Gabbiadini, che è un’icona del calcio femminile. E abbiamo 20 ragazze, la più piccola del 2015 e la più grande del 2006, cui facciamo allenamenti individuali. Inoltre, collaboriamo con la Lady Maerne, società della provincia di Venezia che ha ben 110 tesserate: una volta a settimana Melania va ad allenare la tecnica delle ragazze, con loro organizziamo anche due settimane di camp estivo. E diamo anche una mano a Saverio Trizio, responsabile ISS Veneto maschile».

E poi ci sono gli stages estivi.
«Ormai da tre anni, nel periodo estivo, facciamo delle settimane di formazione a numero chiuso a Varna, in provincia di Bolzano. Accettiamo un massimo 30 ragazze perché vogliamo che il livello sia alto: si lavora sulla tecnica con istruttori appositamente formati, in contesto impegnativo, che possa dare qualcosa in più alle ragazze. Per loro è importante vivere un’esperienza di gruppo lontano da casa, ma la base è sempre il lavoro individuale. Quest’anno lo stage si farà dall’8 al 12 luglio, per una fascia d’età compresa tra 11 a 16 anni».

Che differenze ci sono, secondo te, ad allenare un ragazzo e una ragazza?
«Le ragazze apprendono prima e hanno più grinta e voglia di emergere. Dipende dal fatto che il femminile inizia ora ad essere considerato, vedi queste ragazze che vogliono imparare, vogliono arrivare in alto, è uno stimolo continuo. Per esempio, noi abbiamo una 2008 del Cittadella, che ha già fatto due allenamenti con l’Inter, è l’unica convocata in nazionale Under 16 che non gioca nei top club. È fantastica, vederla in allenamento è uno spettacolo. Per quanto sia giovane, non ha avuto le stesse possibilità dei coetanei maschi, in termini di qualità di allenamento. Un ragazzo di 16 anni gioca già da 10 anni, una ragazza magari da 2 o 3 anni, non ha una memoria del gesto tecnico già definita. Con la correzione analitica si ottengono risultati importanti in meno tempo, il nostro margine di intervento è maggiore, la loro voglia di imparare è maggiore. Magari è faticoso dire alle ragazze come mettere il piede per migliorare il gesto tecnico, dirglielo mille volte finché il gesto non è perfetto, ma poi vedi che toccano palla in modo diverso. È una soddisfazione per noi e per loro».

Eppure, la materia dell’insegnamento è la stessa, ovvero la tecnica.
«Sì, la tecnica prima di tutto, la tattica individuale e di squadra vengono di conseguenza. Nelle prime sedute, con le ragazze più piccole, si fa tanto lavoro anche a livello coordinativo, ma sempre con la palla. Poi le vai a vedere in partita e la differenza salta all’occhio, ce lo dicono anche i genitori che vedono le loro figlie più sicure nel gesto. Per esempio, nel tiro in porta: colpiscono meglio, la palla viene fuori più tesa. È un percorso lungo, ma molto gratificante perché i risultati sono palesi».

L’investimento dell’ISS nel calcio femminile si inserisce in un percorso di crescita del calcio femminile a livello nazionale. Tu come la vedi?
«Io conosco bene la realtà del Veneto, qui da noi la crescita dell’attività di base è palpabile: una volta c’erano solo le prime squadre, adesso si fanno tanti investimenti sulle giovani, anche se non è facile trovare allenatori capaci. Non c’è solo il Lady Maerne: a Venezia, dove allena Tatiana Zorri, ci sono un centinaio di bambine tra scuola calcio e settore giovanile, sempre in provincia c’è un’altra società che ha 80 tesserate, vuol dire che ci sono quasi 300 bambine e ragazze che giocano a calcio, tanta roba. L’inserimento del professionismo nel calcio femminile ha sicuramente dato un’accelerata, anche se per fare calcio femminile ad alti livelli serve la spinta del movimento maschile, in questo la Juventus è un modello a livello nazionale. In Sardegna, per fare un altro esempio, va forte il calcio a 5, ci sono ben 9 squadre sarde tra serie A e A2. La mia impressione è che il movimento sia in crescita, ma non in modo strutturato, ci sono realtà forti che fanno da traino ma non un sistema consolidato come nel calcio maschile. Si può e si deve crescere ancora tanto, anche noi cerchiamo di dare il nostro contributo in tal senso».

Chiudiamo con una domanda “provocatoria”. Perché una ragazza dovrebbe fare calcio, invece di un altro sport?
«Non c’è nessun motivo specifico, il calcio femminile è uno sport come gli altri, con la stessa dignità. Semplicemente le ragazze devono avere la stessa possibilità di praticarlo, esattamente come gli altri sport, possibilità che non è sempre loro concessa. Se devo dire la verità, io sono un po’ invidiosa delle ragazze di oggi, mi piacerebbe avere 18 anni e iniziare la carriera in questo calcio femminile, che dà maggiori gratificazioni, dà la possibilità di giocare in stadi veri, magari di andare su Sky. Ai miei tempi gli allenamenti e le strutture erano peggiori, anche in serie A quasi tutte facevano, o meglio facevamo, un lavoro part time, per poi andare il pomeriggio agli allenamenti. Fare la professionista oggi è tutta un’altra cosa».

Il vostro lavoro è formare le professioniste di domani.
«Il nostro lavoro è dare a tutte le ragazze che amano il calcio gli strumenti per riuscire a realizzare il proprio sogno».

Ultima modifica il Martedì, 26 Marzo 2024 22:11

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