INTERVISTA - Il neo tecnico dell'Under 15 del Leinì si presenta. Porta la sua grande esperienza al servizio della nuova società, con cui si è creata subito un'ottima intesa.
Un nome importante quello di Fabio Francisca. L'allenatore 63enne vanta un curriculum da calciatore di tutto rispetto: partito dalle giovanili della Juventus, dove esordì niente meno che a Milano contro l'Inter in Coppa Italia, in una stagione che lo vide mettere a segno anche una rete contro il Vicenza, respirò anche l'aria della Coppa Campioni. In quell'annata 77'/78' il sodalizio bianconero si fermò in semifinale dopo aver eliminato l'Ajax, e in panchina sedeva anche Fabio Francisca, che dopo il battesimo con l'Omonia Nicosia vide i suoi da vicino affrontare i Lancieri all'andata e al ritorno e la futura finalista Bruges. Lunga fu poi la militanza tra C1 e C2, con le maglie di Modena, Casale, Mestre e Teramo, prima di approdare alla Biellese. La sua avventura nei dilettanti si concluse nella Sangiustese, in Eccellenza, dove a causa di un infortunio dovette lasciare, passando però a dirigere la squadra dalla panchina. Seguirono poi le vittorie in 1^ categoria con Strambino e Rondissone, quest'ultima storica per il club. La prima esperienza nelle giovanili fu a Volpiano, per poi passare ad Orizzonti United, Rivarolo, Banchette ed infine Torinese, sfortunato epilogo concluso anzitempo a causa della pandemia. Ora il ritorno a casa, per lui che è di Leinì, dove inizia la sua nuova avventura nel campionato Provinciale.
"E' un piacere lavorare a casa, per me che ho girovagato tanto è la prima esperienza nel mio paese. Sono molto contento perché ho trovato un bell'ambiente, una società che sta rinascendo affidandosi a persone di grande esperienza come Roberto Virardi. Hanno costruito una rosa di ottimi allenatori qualificati, sono sicuro che daremo tutto il massimo e spero che nel corso dei mesi si possano ottenere i giusti riconoscimenti per il lavoro svolto. Sono convinto sia il posto ideale per costruire qualcosa di buono, da parte mia cercherò di trasmettere ai ragazzi tutto ciò che ho imparato. Per ora però non facciamo proclami, la squadra ha iniziato la preparazione e stiamo valutando le qualità dei ragazzi".
Quali sono i punti fermi su cui lavorerai?
"Essendo cresciuto nella Juventus, la ricerca della vittoria è una prerogativa. Ottenuta attraverso un calcio propositivo se possibile, ma adeguandosi ai giocatori che hai e aiutandoli a migliorarsi. Quello che più mi preme però è che i ragazzi si divertano. Questo deve essere alla base del calcio, a qualsiasi livello, senza non ha senso proseguire e credo sia uno dei motivi principali per cui tanti lasciano presto".
Quali fattori portano un ragazzo a perdere interesse secondo te?
"Oggi rispetto ad un tempo un giovane ha molte più alternative per divertirsi, può capitare quindi che alla prima difficoltà molli tutto per cercare altro. Questo perché c'è meno spirito di sacrifico, causato anche da aspettative esagerate, create magari da modelli sbagliati, società che non lavorano bene o da genitori troppo esigenti. Persone presuntuose ed incompetenti causano questo allontanamento, spesso mal consigliando. Ciò che deve contare per loro è avere l'opportunità di giocare, crescendo e continuando a studiare, non devono avere fretta di arrivare subito. Non buttarsi giù alla prima difficoltà, se magari il loro impegno o le loro qualità non vengono riconosciute immediatamente. E' vero che alle volte non dipende solo da loro, ci sono aspetti che spesso non sono chiari, ma non devono buttare via tutto perché magari non giocano nei Regionali o perché una grande squadra li ha scartati. A questi livelli non deve essere una questione di prestigio, io ritengo sia molto meglio giocare nei Provinciali, piuttosto che finire in un club di livello che fa i Regionali o Nazionali e magari non vedere mai il campo. Per non parlare del professionismo, dove una dignitosa carriera non vuol dire necessariamente arrivare in Serie A. Purtroppo i modelli odierni non aiutano, si guadagna troppo e a certi livelli tratti il giocatore come fosse una divinità, così si perde il senso, venendo rimarcato solo l'aspetto del profitto e spesso a questi elementi manca umiltà".
Le società cosa possono fare per arginare il problema?
"Io credo che nel calcio con la buona volontà può essere più semplice risolvere i problemi, che sono poi specchio della nostra società. Una società di calcio dovrebbe agevolare il più possibile i suoi ragazzi ed investire il più possibile sui maestri. La dirigenza è importante, ma alla base di tutto c'è l'istruttore che lavora con il gruppo, è su di lui che bisogna puntare in primis. Vedo tante squadre che si concentrano principalmente sulla prima squadra, che è la parte più in vista, oppure quelle che considerano i giovani calciatori solo come quote da riscuotere. Questo è triste, perché contribuisci solo a perdere i ragazzi. Investire su bravi allenatori nelle giovanili vuol dire oltretutto preparare calciatori che possano far parte poi della prima squadra, che ci tengano. E un bravo allenatore deve metterci del suo, cercando di far giocare tutti. E' inutile avere una rosa di 20 giocatori se poi fai entrare sempre gli stessi, è normale che poi gli altri perdano interesse".
Seguire la crescita di questi ragazzi sembra qualcosa che ti entusiasma.
"Un tempo non pensavo che sarei passato al settore giovanile. Allenare mi è sempre interessato, anche se dovetti iniziare anzitempo e quasi costretto, visto che l'infortunio che mi fermò mi faceva stare troppo male. Provai a proseguire, ma quando vidi che era impossibile andare avanti passai alla panchina. Come detto, non pensavo di allenare i ragazzi, anche se spesso mi veniva riconosciuto che avevo ottime qualità comunicative mentre interagivo con loro. Quando c'è stata la possibilità, andando al Volpiano, ho scoperto il piacere di lavorare in queste categorie. La loro freschezza, l'entusiasmo, la possibilità di applicarsi e trasmettere concetti che un calciatore formato difficilmente recepirà. Per non parlare della riconoscenza, che altresì nel calcio adulto non hai allo stesso modo. Non dico di non esser più interessato ad allenare gli adulti, ma ho imparato che entrambe le esperienze sono piacevoli, a patto che ti sia data la possibilità di lavorare".
Cosa intendi?
"Come dicevo prima, certe volte ci sono intoppi o problemi di vario genere che non dipendono da te, e alle volte non sai neanche il perché di certe cose. Mi capitò alla Juventus, quando un anno finii in Seconda Categoria, mentre l'anno dopo giocai a San Siro, non sapendo il perché di questo sali scendi. Episodi spiacevoli che accadono a tutti i livelli, mi capitò anche da allenatore qualcosa di poco simpatico senza capirne il motivo, ma son cose che non devono frenarti. Io tenni duro e stringendo i denti non mi lasciai abbattere e volli restare in bianconero, togliendomi poi le mie soddisfazioni".
Passare dalla Juventus alle serie inferiori però non deve essere stato facile.
"Un aspetto che manca spesso ai modelli calcistici moderni è l'umiltà. Sia chiaro, passare dal professionismo al dilettantismo non è facile, anzi, il calcio nelle categorie inferiori è più complicato. Bisogna avere pazienza e accettare di calarsi appieno nella nuova realtà. Da parte mia cercai di mettere l'esperienza al servizio della squadra, non fu semplice, ma credo cose simili possano aiutare i giovani che crescono in quei contesti".
Un ringraziamento speciale?
"Nella mia carriera di allenatore tutti coloro che mi hanno seguito mi hanno lasciato qualcosa. E guardando ai personaggi famosi è semplice indicare Trapattoni come simbolo e modello. Chi mi sento di celebrare in particolar modo è Mario Pedrale. Persona straordinaria, a cui tra l'altro è intitolato il campo sportivo del Junior Torrazza, è sicuramente colui che posso indicare come mio mentore, avendomi influenzato enormemente con il suo grande spessore umano e sportivo".