Andrea, partiamo dalla domanda che in questo momento vorrebbero farti tutti. Come mai la scelta di lasciare il Chisola per il Chieri, come mai adesso?
“Nel mio percorso da istruttore, per una crescita professionale, era necessario confrontarmi con un’altra società. Non è stata una scelta semplice, anzi, ma rimanere legato al Chisola, dove sono stato per tanti anni e comunque per tutta la mia carriera, non mi poteva portare ulteriori miglioramenti. Non è ricerca di nuovi stimoli, non è mancanza di motivazioni, è una scelta fisiologica. Anni fa ho cambiato lavoro, ci sta nel percorso di vita: sono sempre scelte difficili, ma ognuno cerca di farle per mettersi in gioco e migliorarsi”.
Lasciare il Chisola non dev’essere stato semplice…
“Il Chisola è e rimane la mia famiglia, sono sempre stato bene, mi hanno sempre trattato bene. Sarebbe stato più facile rimanere lì, ma a livello tecnico ho fatto tutto, le categorie e i bienni, e poi di nuovo, non avevo più nulla da chiedere. A Chieri invece ricomincio da zero, devo lavorare, farmi conoscere e dimostrare”.
Ma da quanti anni sei al Chisola?
“Allora, nel ’96 giocavo e facevo l’istruttore, ho smesso nel 2000 a 25 anni, o forse era il ’99… Diciamo vent’anni, non sono bravo in queste cose… (risata)”
Almeno i titoli regionali te li ricordi? Sette se non sbaglio…
“No, sei titoli, non esageriamo… Vincere fa piacere, ma la cosa più importante è la voglia di andare in campo e trasmettere ai ragazzi le mie conoscenze, per fortuna quella non manca”.
Tante vittorie, sei l’allenatore più vincente del dilettantismo piemontese. Qualche rimpianto?
“Solo uno. Il mio grosso rammarico è non aver mai avuto una chiamata dal professionismo. È vero che fino a qualche anno fa ero legato a orari fissi al lavoro, mentre adesso sono indipendente e non avrei problemi. Ma il rammarico c’è, perché nonostante l’impegno e la passione che ho messo in questi anni, nessuno si è mai accorto di me. E non parlo solo dei titoli, penso di avere sempre offerto un calcio propositivo e allenamenti di un certo spessore. Probabilmente non hanno mai individuato in me un profilo adeguato, lo dico senza polemica”.
Non è mai troppo tardi…
“Ho quasi 44 anni, è giusto che le professioniste puntino su allenatori giovani, dico anche questo senza polemica. Ma attenzione, io sono contentissimo del mio percorso da allenatore e continuo ad affrontarlo con grande entusiasmo, mi aggiorno continuamente per poter offrire sempre contenuti interessanti e attuali ai ragazzi che alleno, studio e vado a vedere allenamenti che ritengo interessanti”.
Chi vai a vedere, per esempio?
“Le professioniste, Juventus e Torino sono chiaramente il riferimento principale da queste parti, sono società all’avanguardia che lavorano bene da tutti i punti di vista, non solo tecnico ma gestionale a 360 gradi. Tutti i loro allenatori sono da studiare, come Christian Fioratti, che è forse quello che conosco meglio. Ma anche Corrado Buonagrazia a Vercelli è un profilo molto interessante. Tutte persone preparate, molto preparate”.
E Alberto Lampo, che andrà alla Juve?
“Molto bravo, ho avuto la fortuna di lavorarci insieme ed è un professionista vero, che si è dedicato completamente al calcio. A differenza mia: il calcio non è la mia professione, è la mia passione. È un hobby e tale rimane, anche se cerco di farlo in modo professionale”.
Torniamo a noi. Avresti voluto lasciare con lo Scudetto…
“Questo sì, sicuramente. Ma devo fare un plauso ai ragazzi che ritroverò da avversari, anche se qualcuno andrà a giocare in palcoscenici più importanti. Senza falsa modestia, lo Scudetto era l’obiettivo di inizio stagione, ho capito subito che questa squadra poteva arrivare fino in fondo. Poi arrivarci davvero è dura… Nella partita decisiva ci è mancato il gol, peccato, ma diamo merito agli avversari, che hanno fatto meglio di noi e alla fine hanno vinto lo Scudetto. Il campo ha sempre ragione”.
La stagione grandiosa rimane.
“Merito di tutti, a partire dalla società, dallo staff, dai dirigenti, e ovviamente i giocatori, in 20 anni di carriera… non voglio fare torto agli altri, tutti mi hanno dato soddisfazioni, ma questi ragazzi li ricorderò per sempre. Tutti presenti, tutti partecipi fino alla fine, anche chi ha giocato meno, una professionalità magnifica, una simbiosi eccezionale, li porterò nel mio cuore per tutta la vita”.
Andrea, una domanda cattiva ti tocca. Le tempistiche del tuo addio hanno oggettivamente messo in difficoltà il Chisola. Potevi fare qualcosa di diverso, potevi dirlo prima?
“Capisco le loro difficoltà, è chiaro che ci sono, ma il Chisola è una grande società, fatta da persone preparate e capaci, hanno già messo un allenatore bravo in una squadra di livello. I tempi sono derivati dal fatto che la stagione termina 30 giugno. Penso che nel nostro modo dilettante si ha troppa fretta nel programmare la gestione sportiva per l’anno dopo, ma capisco che le esigenze sono diverse rispetto alle professioniste, che ufficializzano gli allenatori a luglio, bisogna fare mercato e tesserare i ragazzi. Io comunque ho lavorato per il Chisola fino al 30 giugno, l’ultima partita l’abbiamo giocata pochi giorni prima, mi sono preso un paio di giorni di riflessione e poi ho comunicato la mia decisione alla società. Una decisione difficile, questo l’hanno riconosciuto tutti. Ma in questi 20 anni ho sempre dimostrato il mio attaccamento alla società del Chisola, che rimane la mia famiglia. Sono dispiaciuto io come sono dispiaciuti loro. Ma ci tengo a dirlo, ho onorato il mio impegno fino alla fine, senza mai distrarmi dall’obiettivo”.
Ma quando hai deciso veramente? In che momento ti sei detto: sì, lo faccio…
“Sono anni che ragiono, è una scelta che matura da diversi anni. Io mi auguro di allenare per altri 20 anni, è ovvio che un allenatore possa decidere di cambiare, prima o poi, lo sapevano tutti. Comunque, per risponderti, la decisione definitiva l’ho presa solo dopo l’ultima partita”.
Eri l’ultima bandiera, un po’ come Totti…
“Con i giocatori è diverso, dimmi un allenatore che è rimasto vent’anni nella stessa società…”
L’unico che mi viene in mente è Ferguson.
“Non facciamo confronti blasfemi… (risata)”.
In Italia non esiste, questo è vero. Senti, come ha fatto Bellotto a convincerti, qual è stata la chiave?
“Davide lo conosco da anni, mi corteggia dai tempi della J Stars, come anche Carrain. La chiave è stata semplicemente il progetto tecnico: al Chisola ho fatto tutto quello che c’era da fare, nel Settore giovanile. Ho voglia di misurarmi con altre persone, con un altro ambiente”.
E non hai mai avuto voglia di misurarti con una Prima squadra?
“Nessuno me l’ha mai proposta”.
Nessuna proposta dalle professioniste, nessuna proposta dalle Prime squadre… non è che sei poco mediatico?
“Può essere, non mi piace apparire. Ma ho dei contenuti, ho capacità dialettica, ho i miei pregi e i miei difetti ma sono una persona per bene, non ho scheletri nell’armadio”.
Ultime domande, Andrea. Con che obiettivo vai a Chieri?
“Rimettermi in gioco, lavorare tanto e fare bene”.
Titolo? Scudetto?
“Nessun proclama, i risultati importanti derivano sempre dal lavoro. Qui a Chieri ci sono tutti i presupposti per fare bene”.
Meglio un titolo o un ragazzo mandato nel professionismo?
“Meglio un giocatore nel professionismo, tutta la vita”.
E allora, chiudiamo con i migliori che hai allenato in carriera.
“Di Renzo, parla il campo. Poi dico Davide Mazza dei ’95, Capuano dei ’97. E Alfiero, un giocatore che ha fatto del lavoro la sua cultura”.
Dei tuoi 2002?
“Li potrei citare tutti, o farei torto a qualcuno... Uno per tutti il capitano, Germinario, l’anima di questo Chisola, il leader assoluto. Nell’ultima partita era infortunato, ma si è rimesso in piedi e ha giocato, con la forza e la voglia che sono stati il simbolo di tutta la stagione della squadra”.