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Martedì, 07 Aprile 2020 14:33

Yobie Bassoule, dalla Juve alla Keeplay: ‘Allenarsi in quarantena? Siate creativi’

Scritto da Mattia Pintus

INTERVISTA - Il tecnico della scuola calcio individuale Keeplay ci ha raccontato la sua storia e svelato qualche trucchetto per passare il tempo in casa. Con l’augurio, ovviamente, di rivedersi tutti sul campo


Il tempo sembra scorrere più lentamente del solito, in queste lunghe giornate di quarantena. In tanti, appassionati di calcio e non solo, stanno guardando il sole farsi ogni giorno più caldo chiedendosi quando si potrà tornare a fare ciò che più piace. Tra questi, numerosissimi, c’è anche Yobi Bassoule, allenatore alla Keeplay (la scuola di perfezionamento individuale di Fabrizio Capodici) che ha colto l’occasione del tanto tempo libero per raccontarci qualcosa in più di lui e del suo lavoro.

Ciao Yobi, prima di raccontarci qualche trucchetto per passare il tempo durante la quarantena, raccontaci di te.

«Mi chiamo Yobie Bassoule, sono africano di origine, ma adottato da una famiglia italiana quando avevo tre anni. A cinque, ho cominciato a giocare nella Juventus, dove ho fatto tutta la trafila sino alla Primavera. Ho giocato due anni, un anno da aggregato con i più grandi, la classe ’87 di Marchisio e Giovinco. Poi, l’anno dopo ho fatto la seconda stagione con il mio gruppo ’88. Dopo le giovanili, ho firmato il mio primo contratto di quattro anni, in cui ho girato l’Europa, tra Belgio e Svizzera, in prestito».

Una carriera ricca di esperienze. Quali ricordi con più piacere?

«Ho avuto la fortuna di indossare la maglia della mia nazionale di origine, il Burkina Faso. Con la Nazionale ho fatto una Coppa d’Africa U21 e una Francofonia (una sorta di Olimpiade degli Stati francofoni) U23, e ancora un’altra Coppa d’Africa, sempre U23. Sono state bellissime esperienze».

E da allenatore, quando hai cominciato?

«Fin da ragazzino, quando giocavo, mi sono messo a disposizione. Ho cominciato al Barcanova, poi anche al Santhià, in Serie D, davo una mano ai gruppi giovanili. Sono passato anche dal Rangers Savonera, mentre sono ormai quattro anni che lavoro accanto a Fabrizio, con la Keeplay. Sto mettendo ogni anno una tacchetta, con la prospettiva di fare un passo avanti un po’ più in là. L’anno scorso, ad esempio, ho preso il patentino Uefa B».

Quanto ti ha aiutato aver imparato a giocare nella Juventus, quando poi hai cominciato ad allenare?

«Tantissimo, d’altronde parliamo di una delle migliori società del mondo. Ci sono tanti aspetti, specialmente quando insegni ai più piccoli, per cui “saper fare” le cose che insegni diventa fondamentale. Serve a far capire esattamente ciò che si richiede. E per me, aver passato tutta la parte giovanile di carriera alla Juve, ha aiutato parecchio. Non solo perché conosco come si insegna ad un certo livello, ma anche perché conosco cosa provi un ragazzo durante il suo percorso di crescita».

Il livello però, non deve pregiudicare l’impegno.

«Assolutamente. Di Dybala ne nascono pochi, ma questo non vuol dire che gli altri non possano raggiungere un ottimo livello. Quello che conta, è non lasciare indietro il potenziale che si possiede, ma sfruttarlo tutto senza guardare dove ti fa arrivare. E lo stesso devo fare io da allenatore. Un tecnico deve dare il massimo al ragazzo che allena, dal punto di vista tecnico, fisico, psicologico: dobbiamo dare tutti gli strumenti. Poi, tocca al calciatore farlo suo. Un aspetto che è più facile quando si è giovani, perché quando un giocatore diventa più grande fa fatica a togliersi la propria idea di calcio. Noi, alla Keeplay, puntiamo sull’autocorrezione. Non vogliamo indottrinare i nostri ragazzi, ma fargli capire e riconoscere l’errore, cosicché siano i primi a volerlo correggere».

E ora che è tutto fermo, come si fa? Come lo stai passando questo periodo?

«Ora siamo tutti fermi… La mia vita è completamente stravolta, ero uno abituato a stare sempre fuori, anche solo per fare una corsa. Mi preoccupa un po’ di più per i ragazzi, che davvero si trovano senza i loro appuntamenti fissi, come la scuola e il calcio, per chi gioca. Cerchiamo di rimanere in contatto, il nostro consiglio è di non stare fermi sul divano tutto il giorno e di fare qualche esercizio di attività fisica. Quello che serve però, è la creatività».

Come quando, da bambini, si giocava in cameretta.

«Non so quante parti della casa ho distrutto in quel periodo. Però sì, è quella l’essenza. Da bambino non so quanti dribbling al vento abbia fatto, finte ai mobili, scartare le sedie… Sono tutti aspetti che ti formano anche come calciatore, perché sottolineano tutta la passione. E, in questo momento, possono essere anche utili. Penso a fare qualche esercizio di conduzione palla in poco spazio, magari con palle di forma diversa. Io giocavo con le calze arrotolate, con le palline da tennis, da ping pong».

Un esercizio utile da “cameretta”?

«Deve vincere la fantasia… Si può fare due o tre tocchi di conduzione, passare la palla contro il muro di destro e sinistro e aggiungerci due piegamenti in mezzo. Però, vale tutto».

Anche la PlayStation?

«Mi prenderai per pazzo, ma credo che sia molto utile giocare a calcio alla Play. Serve tantissimo perché puoi capire tante cose, come i movimenti, ma soprattutto aiuta a far salire la curiosità verso questo sport. Altrimenti, un’altra cosa utile, può essere guardare vecchie partite. Ora come ora, ne sto guardando parecchie, c’è sempre qualcosa da imparare».

Sperando di rivedersi presto in campo.

«Assolutamente, noi alla Keeplay non vediamo l’ora. Vi aspettiamo!».

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