Lunedì, 25 Novembre 2024

Una domenica al parco

Per domenica mattina, ero stato invitato dalla redazione del giornale, a seguire la manifestazione che si è svolta nel centro di Torino “STRADACALCIANDO” organizzata dalla FIGC per celebrare il 120° anniversario della Federazione e per celebrare anche il “calcio di strada” vera e propria passione dei bambini. Una gran bella iniziativa per alimentare ed educare i più piccoli verso il mondo del calcio.

 

Così al mattino uggioso e piovigginoso, prendo la macchina e mi avvio verso Torino per seguire la manifestazione, convinto sempre più che bisognerebbe fare anche una manifestazione per i genitori per educarli nel mondo del calcio. Strada facendo passo davanti al “Parco Pertini” e con un rapido sguardo vedo un gruppo di bambini che stanno per iniziare una partita di pallone, nello spazio oramai delimitato a campo di calcio dalle innumerevoli partite giocate, con due grossi alberi a fare da porta e rami che sporgono ai lati forse per delimitare la larghezza. Qualcuno dietro di me suona il clacson per farmi andare avanti perché rimango fermo: Vado a Torino o mi fermo qui? E’ la domanda che mi rimbomba nella testa. Alla fine decido di fermarmi, tanto la manifestazione della FIGC sarà seguitissima e la mia presenza non sarebbe stata certo necessaria.

 

 

Scendo e mi avvio verso di loro. Il parco è deserto e a parte loro c’è qualcuno che porta il cane a fare una passeggiata. Sono una decina, quindi sarà una partita a cinque con il portiere che fa anche da difensore. Terreno di gioco fangoso e pesante, spettatori uno. Io. Le divise sono un pò alla meglio, qualcuno ha i pantaloncini, qualcuno i jeans, qualcuno una tuta, qualcuno ha le scarpette da calcio altri quelli da ginnastica, ma tutti con una sana voglia di fare la partita di pallone fango o non fango. Mi sistemo sulla panchina di fronte e accendendomi l’ennesima sigaretta del mattino inizio a seguirli. Dopo una lunga discussione a formare le due squadre, con qualche leggero spintone, il “capitano” (senza fascia) con il pallone sotto braccio da l’inizio alla partita che sarà “veramente” auto arbitrata. Naturalmente non essendoci allenatori gli schemi sono un po azzardati, ma tutto sommato il gioco c’è e la grinta pure, qualche tocco veramente di pregio e molti “lisci” per via del terreno di gioco pieno di buche e rami che cadono dagli alberi. I gol si sussegono uno dietro l’altro, qualche amichevole “scazzottata” quando il pallone entra nella “porta” che non avendo altezza è oggetto di recriminazioni e discussioni infinite. A un certo punto, un bambino viene “atterrato” in un’area di rigore immaginaria. Il capitano urla: E’ rigore! Apriti cielo. Spintoni e urla, discussioni e misurazioni della fantomatica area. Alla fine tutti accettano il calcio di rigore che viene trasformato proprio dal capitano (che comanda entrambe le squadre come sempre accade nelle partite al parco giochi), che urla di gioia facendo “l’aeroplanino” verso i compagni.

 

Mi accorgo che ogni tanto, i ragazzini guardano l’unico spettatore seduto sulla panchina che li segue e che si sta divertendo un mondo a guardarli. Iniziano a chiedersi: <<Ma quello li cosa vuole?>>

La partita si trascina avanti sempre con un numero impressionante di gol da una e dall’altra parte, le ali destre le più attive, mentre il centrocampo è terreno di vera e propria battaglia, tutti a inseguire il pallone fino a quando inizia a scendere una leggerissima pioggerellina che certo non spaventa i giocatori in campo. Sono affascinato e incantato nel vedere quei bambini giocare una “sana” partita di pallone, e faccio pure da raccattapalle visto che il pallone il più delle volte schizza via verso ignote destinazioni. Mi rivedo: a dieci anni che giocavo per strada con i miei compagni le partite di pallone interminabili e non importava il risultato finale, ma importava divertirmi con i miei amici e fare gol.

 

A un certo punto la pioggia diventa più forte e la partita si autosospende per “impraticabilità” del campo, decisa all’unanimità dei giocatori se no guai a ritornare a casa più infangati di quanto non lo fossero già. Così tutti i giocatori e l’unico spettatore, cioè io, ci ripariamo sotto una pensilina del chiosco del parco che naturalmente era chiuso per la brutta giornata. I bambini mi guardano che sorrido contento e si chiedono chi fosse questo “imbecille” che sta a guardare loro giocare sotto la pioggia la domenica mattina. A un certo punto, il capitano, inzaccherato e infangato, che è il più spigliato di tutti mi dice:

<<Ma tu volevi giocare con noi>>? No, rispondo.

<<Allora cosa guardavi>>?

<<Guardavo voi giocare perché mi piace. Sono un giornalista e dovevo andare a vedere una partita ma ho visto voi e così ho deciso di fermarmi a guardare>>.

<<Allora ci metterai sul giornale? Quale è ?>>

<<Certo che vi metterò sul giornale. Sono qui apposta. E’ un giornale che scrive le partite di calcio dei bambini>>.

<<Se vuoi vieni domenica prossima. Noi tutte le domeniche facciamo la partita di pallone>>.

 

Non c’è più tempo. Tutti decidono di correre verso casa perché la pioggia è diventata forte. E mentre li vedo correre verso l’uscita sento un ciao da parte loro. Li invidio quei bambini. Li invidio. Ma se avessi giocato anche io e sarei ritornato tutto infangato, cosa avrebbe detto mia moglie? Vi lascio immaginare.

Rimango solo in quel parco, sento la pioggia che scende tra i rami che battendo sulle foglie suona come una applauso da stadio per quei bambini che hanno dato spettacolo con la loro partita di pallone, i bambini non ci sono già più, la partita è durata circa una mezz’ora per la pioggia che mi ha inzaccherato tutto dai piedi alla testa. Guardo quel “campo di pallone” immaginario, senza “tribune” e senza “biglietteria a 5 Euro” con una stretta al cuore perché vorrei avere un pallone in quell’istante e mettermi a giocare come avevano fatto loro. Ho promesso a quei bambini che avrei scritto di loro, della loro partita e del loro divertimento.

 

Corro verso la macchina tanto oramai andare a Torino per la manifestazione non se ne parlava nemmeno. Mentre ritornavo verso casa, passo davanti a un campo, quello vero, dove si sta giocando una partita di campionato dei Pulcini con le loro divise, allenatori che li guidano e i dirigenti che si occupano di loro come fossero veri calciatori. Sento urla, imprecazioni e le immancabili parole offensive da parte dei genitori. Non fa per me. Ho scritto che avrei lasciato il calcio ufficiale e mi convinco sempre più che ho fatto bene. Mentre mi riavvio, con la mente ritorno alla partita del parco giochi e a quei bambini dagli occhi sorridenti e felici, a quella genuinità di emulare i più famosi calciatori con le loro prodezze, a quella sana è indiscussa voglia di divertirsi dietro a una palla e fare gol. E poco importa se si sono scazzottati, alla fine sono rimasti sempre amici proprio come il “calcio di strada”. Ci vediamo Domenica prossima!

 

La Redazione (AM)            

 

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