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Mercoledì, 31 Dicembre 2014 15:51

Roberto Ramacogi: "Vogliamo vincere con i nostri giovani"

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INTERVISTA - Il segretario generale a ruota libera sui colleghi “Mercuri, Gritti, Ada e Gardellini i migliori”, sul calcio piemontese “non da buttare, ma servono più formazione e controlli”, sulla sua società: “Quest'anno, con le quattro giovanili tutte ai regionali, possiamo arrivare fino alle finali regionali, cosa impesabile fino a qualche anno fa. E poi li portiamo in Prima squadra”.

Dietro le quinte delle società ci sono personaggi che magari parlano poco, ma lavorano tanto e portano grandi risultati. Come Roberto Ramacogi, segretario generale della Pro Settimo Eureka.

Roberto, è il tuo secondo anno alla Pro Settimo Eureka, dopo una vita al Chisola. Come ti trovi?
“Mi trovo bene, è una società ben organizzata, non che il Chisola non lo fosse sia chiaro, le metto sullo stesso livello, anche come numeri da gestire. Mi sono subito adattato al modo di lavorare e alle persone, insomma sto bene”.

Quali sono i tuoi compiti?
“Formalmente sono il segretario generale della società. Mi occupo nello specifico dell'organizzazione e della logistica di Prima squadra e Juniores, quindi tesseramenti, visite mediche, assicurazioni e quant'altro. Con la promozione dall'Eccellenza alla serie D, interagisco con il Dipartimento Interregionale, a Roma, e mi sono un po' staccato dal Comitato Piemonte e Valle d'Aosta. Partecipare a un campionato nazionale implica trasferte, pullman, contatti con le questure, un lavoro articolato e per me nuovo, ma molto stimolante, perché ti confronti con realtà sportive importanti e anche fuori regione”.

Niente giovanili?
“Non direttamente, perché ci sono Ivano Gritti ed Emiliano Damasio a gestire Settore giovanile e Scuola calcio. Lì faccio da supervisore, da coordinatore, ci confrontiamo quotidianamente, anche se a uno come Gritti, con la sua esperienza, non ho molto da insegnare... Diciamo che cerco di impostare lo stesso modello di lavoro per tutta la società, per esempio delle metodiche di divulgazione delle informazioni, sia dirigenti che alla stampa”.

Come si diventa segretario?
“Innanzitutto serve la passione per lo sport, per questo sport. Poi io sono stato agevolato dal fatto che nella mia attività lavorativa principale ho sempre svolto attività di segreteria. La mia avventura è nata per caso, ho portato mio figlio alla Scuola calcio del Caselle, è stata mia moglie che mi ha spronato a dare una mano, invece di stare lì seduto in tribuna. Mi sono appassionato, ho seguito tutti i corsi di aggiornamento che mi passavano sotto mano, per avere coscienza di quello che andavo a fare. Poi sono stato un anno a Borgaro e sette al Chisola, la mia vera scuola, perché con Gigi Calcia (il direttore generale, ndr) si lavora bene e con Franco Mercuri (il segretario “storico”, ndr) mi sono trovato a meraviglia. Per tornare alla tua domanda di partenza, per fare il segretario servono passione e tempo da dedicare. Un segretario non può più andare una volta o due a settimana, come succedeva una volta, in realtà grandi come la nostra di fatto è un lavoro che occupa 5 o 6 ore al giorno”.

Come mai sei passato alla Pro?
“La distanza pesava, visto che abito a Cirié, e poi professionalmente è stato un salto di qualità, visto che sono il responsabile dell'organizzazione di più di 500 persone, una sfida che ho accettato di buon grado. Quest'anno ho anche conseguito l'abilitazione da collaboratore della gestione sportiva di carattere amministrativo”.

Parliamo dei tuoi colleghi. Non ti chiedo i peggiori, tanto non me li diresti, ma un podio dei migliori sì.
“Allora, io distinguo i segretari sportivi in due categorie. Io sono della nuova leva, ho un'età ragionevolmente giovane, sono figlio dell'informatica e di nuove metodologie di lavoro. È la categoria che sta venendo fuori adesso. L'altra categoria è composta dai segretari storici, quelli che hanno fondato le società lavorando con la macchina da scrivere e la carta carbone. Sono ugualmente importanti, rappresentano la tradizione e un modo di lavorare che c'è ancora. Franco Mercuri, che magari non sa accendere un computer, è un maestro. Per fare altri nomi, direi la signora Ada del Lucento, anche se non ci siamo mai conosciuti personalmente. Ivano Gritti, che ha la sua età, è uno a metà tra i nuovi e i vecchi, se la cava anche con informativa, non tralascia mai nulla, ha grande spirito di organizzazione. Poi Gardellini del Chieri, l'ho conosciuto meglio quest'anno, il fatto che sia anche consigliere in Federazione fa sì che abbia un certo spessore anche politico”.

E dei giovani, non citi nessuno?
“Sicuramente ce ne sono di bravi, ma tante volte quelli della vechia guardia oscurano i giovani con la loro personalità, non per cattiveria, ma per uno stato di fatto delle cose. Quando chiami al Chisola chiedi di Mercuri, non di altri”.

Stai conoscendo la realtà della serie D. Prime impressioni?
“È interessante vedere come sono organizzate realtà come il Cuneo, che vengono dalla Lega Pro, offrono spunti per immagazzinare nozioni e piccole strategie”.

Per esempio?
“Magari è una banalità, ma molte società hanno un'area ospitality, quella del Cuneo mi ha colpito. La squadra e i dirigenti avversari vengono accolti in un salottino, c'è molta cordialità. Oppure la sala stampa fatta in un certo modo. Cerco di carpire queste informazioni e di metterle in pratica, con tutti i limiti del caso”.

Hai un punto di osservazione privilegiato, vista la frequentazione di realtà anche fuori regione, per dire la tua sullo stato di salute del calcio piemontese.
“Si sa che la Lombardia, un po' per organizzazione, un po' per numeri, un po' per risultati, ha più qualità. La Caronnese, prima nel girone A, è una squadra che punta molto sui giovani. Ma possono attingere a più serbatoi: Varese, Brescia, Atalanta e tante altre realtà. Qui, tolto Juve e Torino, non c'è un grande serbatoio, anche a causa delle distanze. È difficile prendere un ragazzo di Vercelli, Alessandria o Novara. In Lombardia è tutto più organizzato, non solo nel calcio. Comunque il nostro calcio non è da buttar via, anzi, anche se facciamo un po' fatica quando usciamo dai nostri confini, a parte la J Stars dell'anno scorso”.

In tanti se la prendono con l'organizzazione dei campionati giovanili.
“Ogni organizzazione ha i suoi difetti. La nostra è giusta per una questione di equità, chi merita va ai regionali. Il difetto è che le società cosiddette minori magari fanno un exploit con un gruppo, una meteora che dura due o tre stagioni, ma non riescono a dare continuità, perché alla fine emergono sempre le stesse. Per esempio nel Lazio, le giovanili sono organizzate con tre livelli di campionati: provinciale, regionale ed élite, per le semiprofessioniste e le dilettanti di un certi tipo, così i campionati sono più equilibrati e formativi. Ma in Piemonte sarebbe possibile? Inoltre, i difetti del calcio giovanile si traducono nel calcio dei grandi, dove si dà poco spazio ai giovani e si va sempre a caccia del vecchio bomber. Qualcosa sicuramente si può migliorare, dire cosa è molto, molto difficile... Partendo dalla considerazione che, comunque, il nostro calcio è da affinare, non da rifare”

Sei presidente della Federazione per un giorno, e hai una carta da giocare. Cosa fai?
“Formazione e controllo. Formazione obbligatoria, per allenatori, istruttori e dirigenti, soprattutto per quelli dell'Attività di base. Le società dovrebbero essere obbligate ad avere solo istruttori qualificati nella Scuola calcio, perché è facile lamentarsi, con spirito all'italiana, ma se non fai nulla per migliorare... Io partecipo a tutti i corsi di aggiornamento che posso, ma vedo sempre le stesse facce. E gli altri dove sono? Poi il controllo, perché è vero che c'è l'obbligo di stilare i programmi della stagione sportiva, ma chi ha mai controllato l'efficacia di questi programmi, o anche solo se vengono svolti? Comunque, presidente non lo diventerò mai...”

I giovani hanno difficoltà ad emergere, a tutti i livelli. Per esempio, il Chieri ha vinto il titolo nazionale Juniors, ma un solo ragazzo di quella squadra è nella rosa della serie D. Da voi forse c'è più spazio per i giovani, anche perché c'è un allenatore come Sandro Siciliano abituato a lavorare con i giovani.
“Quando sono arrivato qui, ho subito notato una tradizione, basti pensare che l'Eureka esiste dal '47 e ha sempre fatto solo calcio giovanile. Io mi domandavo come mai una città di 50mila abitanti e una società così numerosa non ottenessero quanto meritavano. La risposta di Miele e Ingegneri, i due responsabili dell'attività di giovanili e Scuola calcio, all'inizio mi ha spiazzato, ma adesso la capisco e condivido: noi non andiamo a prendere un ragazzo da altre società, anche per questione di soldi, ma soprattutto perché cerchiamo di lavorare bene sui nostri, che portiamo avanti dalla Scuola calcio, cerchiamo di valorizzarli e di vincere con le nostre forze. Quest'anno, con le quattro giovanili tutte ai regionali, se la fortuna e la bravura ci assistono possiamo arrivare fino alle finali regionali, cosa impesabile fino a qualche anno fa. Il titolo regionale dobbiamo essere bravi a conquistarlo con gli strumenti che abbiamo. Adesso, per di più, la società è unita e anche i “vecchi” dell'Eureka vedono come un punto di arrivo la nostra Prima squadra. Piotto, classe ' 95, è qui dagli Esordienti, in serie D giocano anche il '92 Marangone, il portiere Maia, tutti nostri, come la maggior parte dei '97 che fanno Juniores nazionale”.

In ottica titolo regionale, su che gruppo puntate in particolare?
“Allievi e Giovanissimi, le categorie piene, a livello di risultati stanno rispondendo bene. Sono due bei gruppi, per di più giocano bene. Ma in generale stiamo ottenendo ampie soddisfazioni da tutte le giovanili”.

Ultima modifica il Domenica, 08 Febbraio 2015 15:54

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