Lunedì, 25 Novembre 2024
Individual soccer school

Individual soccer school (29)

INTERVISTA - Il centrocampista classe 2004, che oggi gioca al Fiorenzuola in serie D, si racconta: «Nel calcio moderno bisogna essere duttili: il mio ruolo è il trequartista, ora faccio l’esterno a tutta fascia e mi trovo bene. Christian Viola, Marco Didu e Gennaro Ruotolo sono gli allenatori a cui devo di più. Mi alleno con Giordano Piras da quando avevo 6 anni e torno da lui ogni volta che posso, mi aiuta dal punto di vista tecnico e per visualizzare la giocata più velocemente».


Jacopo, raccontaci il tuo percorso calcistico fin dall’inizio.
«I primi calci al pallone li ho dati al Lascaris, quando avevo 5/6 anni. A 7 anni mi ha preso la Juve e sono rimasto lì fino a 14 anni. Poi sono andato al Chieri, dove ho giocato per tre stagioni in Under 16, poi direttamente in Juniores nazionale e in Prima squadra. Da lì sono tornato nel professionismo, al Genoa, un anno in Under 18 con mister Gennaro Ruotolo, il secondo in Primavera prima con Alberto Gilardino, poi con Alessandro Agostini: abbiamo vinto il campionato e siamo saliti in Primavera 1. Nella scorsa stagione ho giocato a Forlì in prestito, un bel campionato in cui abbiamo sfiorato i playoff, e adesso sono al Fiorenzuola, sempre in serie D».

Avanti e indietro con il professionismo.
«Quando la Juve non mi ha confermato ero ancora piccolo, sono andato a Chieri con lo stimolo di tornare nei professionisti, l’ho presa nel modo giusto e ci sono riuscito. L’anno scorso passare dal Genoa a Forlì non è stato facile, ma trovo che la serie D è molto formativa, è un campionato più difficile rispetto alla Primavera: fin dall’esperienza a Chieri, trovo che in Prima squadra cambia il ritmo, c’è più intensità. L’obiettivo ora è salire di una categoria, possibilmente con la squadra, altrimenti da solo, ma vorrei misurarmi con la serie C».

Come sta andando la stagione?
«Mi trovo bene, sto giocando tutte le partite. Faccio il quinto a sinistra nel 3-5-2, mi tocca correre tanto ma ho già fatto due assist».

L’esterno non è il tuo ruolo naturale, giusto? Anche se nel calcio moderno bisogna essere duttili e versatili.
«Da piccolo ho iniziato come esterno offensivo, ma poi ho sempre fatto il play. Negli anni ho cambiato molto: a Chieri facevo principalmente la mezzala, al Genoa ho fatto il trequartista con Ruotolo, poi l’esterno del 4-3-3 in Primavera, ruolo che ho ricoperto anche l’anno scorso. Adesso faccio il quinto, mi adatto alle esigenze del mister».

Ma a te cosa piace di più?
«Forse il mio ruolo naturale è il trequartista, ma mi sto divertendo anche a tutta fascia».

Facciamo un passo indietro: nella tua crescita come giocatore, ti sei formato nei contesti migliori, a partire dalla Juventus.
«Molto importante soprattutto a livello di esperienze: tante trasferte lontano da casa, grandi tornei all’estero, ho giocato contro le società più importanti del mondo, come Chelsea e Manchester City. Ma per capire come funziona il calcio “vero”, niente vale come l’esperienza in prima squadra».

Parallelamente al lavoro con le squadre, ti sei sempre allenato con l’Individual Soccer School.
«Sì, mi alleno con Giordano Piras da quando ho sei anni e continuo ancora oggi. Ho saltato solo i periodi in cui ero troppo lontano da casa, Genova e Forlì, ma nei giorni liberi andavo sempre. È un aiuto fondamentale dal punto di vista tecnico, e anche per visualizzare la giocata più velocemente rispetto alle situazioni: come dice lui, è la tecnica applicata alla partita».

Quindi ritrovi in partita le situazioni che prepari in allenamento.
«Sì, non devo neanche pensarci, perché sono giocate che, a forza di prepararle, mi vengono spontanee. Non va a intaccare il lavoro fatto con la squadra, per esempio dal punto di vista tattico, è un input in più che si affianca perfettamente al lavoro di gruppo».

Gli allenatori più importanti che hai avuto?
«Cristian Viola e Marco Didu, di sicuro, che mi hanno dato fiducia in prima squadra a Chieri. Poi dico Ruotolo, quella con il Genoa Under 18 è stata forse la mia stagione migliore, anche a livello realizzativo».

I compagni più forti con cui hai giocato?
«Il più forte è Luis Hasa negli anni della Juve, ora gioca a Lecce. Come intesa in campo Matteo Manfredonia e Federico Accornero, tutti e due del Genoa».

Con chi ti piacerebbe giocare?
«Ce ne sono mille… Il mio idolo è Cristiano Ronaldo, modello di mentalità. Come giocatore, mi sono sempre ispirato a Iniesta. Adesso che faccio l’esterno, mi piace Di Marco, guardo i suoi video».

Prossimi obiettivi della tua carriera?
«Come dicevo prima, quest’anno l’obiettivo è far bene e salire di categoria. Prima o poi, mi piacerebbe un’esperienza all’estero, dove c’è maggiore fiducia nei giovani, ma non dipende troppo da me».

Ultima domanda. Quando non giochi a pallone, cosa ti piace fare?
«Faccio una vita molto regolare, ci alleniamo tutti i pomeriggi, di solito la sera sto a casa con i compagni di squadra con cui convivo. Al mattino studio, faccio l’università online, scienze della comunicazione e organizzazione con indirizzo calcistico. Un’alternativa, ma sempre nel mondo del pallone».

 

 

A SCUOLA DI CALCIO - La sequenza di sei immagini rappresenta l’esecuzione di un controllo di esterno controbalzo a seguire. Disegno: C.B


Il controllo di esterno-controbalzo, in qualsiasi zona del campo o situazione, può essere scomposta in tre fasi.

VALUTAZIONE TRAIETTORIA-PREPARAZIONE

Per controllare una palla alta è fondamentale la capacità di valutare la traiettoria. Durante la fase di volo il giocatore valuta sia la traiettoria (il punto in cui cadrà il pallone) sia la successiva scelta (in base al posizionamento dei compagni, alla presenza di un eventuale avversario o di uno spazio libero). Una volta scelto il tipo di controllo da effettuare inizia la vera e propria fase di preparazione.

Lo sguardo è fisso sul pallone; il braccio opposto alla direzione di provenienza dello stesso è largo e fornisce protezione. Il corpo e le spalle ruotano frapponendosi tra la palla e un eventuale avversario.

CONTROLLO

Nel momento appena precedente al rimbalzo, lo sguardo è ancora fisso sul pallone e il braccio opposto (in questo caso il sinistro) rimane in protezione; il corpo e il ginocchio si abbassano sopra l’asse del pallone.

Subito dopo il rimbalzo l’esterno del piede (con la punta rivolta verso l’alto e con la parte anteriore) impatta la parte superiore del pallone; al momento del contatto il ginocchio, le spalle e il busto si orientano verso la direzione in cui si desidera indirizzare il controllo mentre la testa e lo sguardo si alzano.

PROSECUZIONE

Dopo il controllo il pallone rimane a disposizione e la gamba opposta (sinistra) si posiziona immediatamente in copertura. In questo modo sarà possibile proseguire la corsa con una conduzione o eseguire un qualsiasi gesto tecnico.

 

PRESENTAZIONE - Il presidente: «Ognuno secondo il suo livello, chi in serie A e chi in Promozione, ma formiamo i ragazzi come professionisti, non solo nella tecnica e nella tattica individuale, ma anche a livello umano e caratteriale. Come? Un istruttore per un allievo, scomposizione del gesto tecnico, correzione analitica, sempre con l'obiettivo della partita, sempre rispettando l'unicità di ogni ragazzo»


Un istruttore per un allievo, scomposizione del gesto tecnico, correzione analitica: le tre regole auree scolpite sulle tavole della legge dell’ISS - Individual Soccer School- sono le stesse ormai da 14 anni, ma si evolvono ogni giorno, si adeguano alle dinamiche di un calcio sempre più fisico e veloce, ai cambiamenti di una società che forma ragazzi (e genitori) con aspettative sempre crescenti. L’obiettivo finale rimane la partita: non il gesto tecnico fine a se stesso bensì la capacità di riproporre quella giocata nel contesto di gioco. E, soprattutto quando si parla di ragazzi e ragazze, aspetti fondamentali sono la sicurezza, l’autostima e la crescita non solo nel calcio, ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Senza mai dimenticare il divertimento: alla fine, parliamo di calcio, il gioco più bello del mondo.

I NUMERI DELL’ISS

Riassumere in poche parole il mondo ISS è difficile, quasi impossibile. Lo dicono i numeri: «Oggi abbiamo circa 20 strutture in Italia e qualche altra all'estero, in Francia, Repubblica Ceca e Romania, che collaborano con noi. Un centinaio di istruttori, tutti formati nella nostra accademia, che utilizzano il nostro metodo e con cui ci confrontiamo di frequente. E indicativamente almeno tremila ragazzi e ragazze all’anno. In tutto, tra allenamenti e stage estivi, hanno conosciuto il mondo ISS quasi 30mila atleti, di questi un buon numero ha fatto una carriera nel professionismo, dalla Lega Pro alla serie A» racconta Giordano Piras, che gestisce l’Individual Soccer School insieme ad Enzo Friso. 

Il campo centrale rimane quello del “Nuovo Musinè Sport Village” di Pianezza, dove si svolgono anche i corsi di formazione per gli istruttori: «Non bastano mai, chi vuole provare ci contatti». In Piemonte c’è anche San Francesco al Campo, poi Charvensod e Saint Christophe in Valle d’Aosta, quattro strutture in Lombardia, tre in Veneto di cui una dedicata al femminile, due in Trentino, due in Alto Adige, una in Emilia-Romagna, in Liguria e in Valle d’Aosta, poi due in Sardegna e altre quattro in Sicilia.

CENTRO DI FORMAZIONE

Come si spiega un successo del genere in un mondo calcistico nel quale le scuole “individuali” spuntano come funghi in autunno? La risposta di Giordano Piras: «Il concetto di individual, che 14 anni fa era rivoluzionario, oggi non è sufficiente a spiegare tutto il lavoro che viene fatto all’ISS. Noi siamo un vero e proprio centro di formazione, nel senso che formiamo il ragazzo non solo a livello di tecnica e tattica individuale, ma anche a livello umano, come professionista. Sia chiaro, non vuol dire che chi si allena con noi giocherà nel calcio professionistico. Noi formiamo i nostri allievi così come si formano i calciatori professionisti. I nostri ragazzi diventano calciatori, a prescindere dal livello che raggiungeranno, che dipende da numerosi altri aspetti e ovviamente dalle doti naturali: chi in serie A, chi in serie D, chi in Promozione. Come una scuola di formazione, noi prepariamo i ragazzi a entrare nel mondo del lavoro, che in questo caso è lo sport. E quando abbiamo a che fare con atleti più grandi, cerchiamo di perfezionarli».

IL METODO DI LAVORO

Provare per credere. Il metodo di lavoro dell’ISS, che emerge evidente in campo, è ben più difficile da spiegare a parole. «Noi insegniamo - ci prova Giordano Piras - la gestualità tecnica in una progressione che ti porta fino alla partita. Il nostro metodo non è fine a sé stesso, ma sempre in funzione di qualcosa che succederà successivamente, come un passaggio, un dribbling, un tiro o un movimento di un compagno o di un avversario. Insegniamo il gesto tecnico in rapporto alle situazioni che si possono creare in partita: se l' avversario ti attacca da una parte o dall’altra, se vieni spinto o se giochi su un terreno sintetico o in erba naturale…»

Il dettaglio: «Non si tratta solamente di scomporre il gesto tecnico per insegnarlo e perfezionarlo, dall’inizio alla fine; noi viaggiamo al contrario, partiamo dalla fine, dalla partita. Osserviamo il gesto visto in partita e lo scomponiamo fino alla base. Questo è il dogma della nostra metodologia. Utilizziamo il metodo un istruttore per un allievo, ma il nostro segno distintivo è la correzione analitica del gesto portata all’esasperazione, fino al minimo dettaglio: come toccare la palla, come mettere il piede, il movimento del corpo, delle braccia, la gestualità e anche l’espressione, sempre - ripeto - in rapporto alla partita. A conferma della bontà del nostro metodo, durante i nostri corsi di formazione, i partecipanti già arricchiti da altre esperienze apprezzano la qualità della nostra metodologia, riconoscendo la diversità dei lavori proposti. Fondamentale è anche la dimostrazione del gesto da parte degli istruttori, perché l'esperienza insegna che un allievo apprenda più velocemente se vede eseguito correttamente il gesto tecnico e a sua volta lo ripete all'infinito, inizialmente a velocità ridotta, poi a intensità sempre più alta, fino a raggiungere i ritmi che dovrà sopportare durante una gara».

I RAGAZZI AL CENTRO DEL VILLAGGIO

Al centro di ogni discorso ci sono loro, le ragazze e i ragazzi: «Anni fa ci frequentavano per imparare a giocare a calcio - conclude Giordano Piras -, adesso ci cercano perché vogliono ampliare il loro bagaglio tecnico e migliorare e perfezionare le loro qualità, per sognare il grande salto verso il professionismo. Ma non bisogna mai dimenticare che la media nazionale rivela che un calciatore su tredicimila riesce a trasformare il sogno in realtà. ISS garantisce il miglioramento dei suoi allievi, non certo che diventino calciatori professionisti. Migliorare dà sicurezza, autostima, aiuta nei rapporti con i compagni di squadra, fa crescere non solo nel calcio, ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Nei nostri allenamenti il cervello lavora velocemente, sei sempre messo in difficoltà e devi ricordare gesti e movimenti. E infine devi credere in te stesso. Ogni ragazzo è una storia a sé, una sua eccezionalità e come tale la trattiamo. Se ogni nostro allievo non si sentisse unico, non potremmo mai avere questi risultati».

INTERVISTA - Conclusa un’altra settimana di formazione tecnico-calcistica a Vahrn, l’istruttore (che vanta un’importante carriera tra serie C e serie D) racconta: «Non è un camp estivo basato sul divertimento, qui si lavora, si rispettano le regole, ci si impegna. I ragazzi migliorano grazie a un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza. Io ho imparato tanto dall’ISS, ora cerco di trasmettere ai giovani le mie conoscenze»


È finita un’altra settimana di formazione tecnico-calcistica a Vahrn, provincia di Bolzano, in Trentino-Alto Adige: è in questa splendida location che, ormai da 15 anni, Individual Soccer School organizza dei veri e propri ritiri estivi, riservati a giocatori dall’Under 12 all’Under 16, cui nel corso degli anni hanno partecipato numerosi allievi che poi sono diventati calciatori professionisti.

«È il quarto anno che vengo qui ad allenare, per me è una passione che affianco all’attività agonistica. È come un ciclo, una ruota: io ho imparato tantissimo allenandomi con ISS, poi vengo qui in montagna e cerco di trasmettere ai più giovani tutto quello che so». A raccontare “dal di dentro” l’esperienza estiva proposta dall’Individual Soccer School - centro di formazione individuale con sede centrale a Pianezza e poli dislocati in tutta Italia e in Europa - è Federico Nacci. Centrocampista classe ’98 cresciuto nelle giovanili della Juventus (più un anno al Torino), protagonista di una importante carriera tra la serie C e la serie D con le maglie di Pisa, Paganese, Lecco, Bisceglie, Campobasso, Chisola e Vastese: «In questi anni - racconta – mi sono divertito molto e ho vissuto tante esperienze. Nella scorsa stagione ho giocato ad Aosta, l’anno prossimo mi trasferirò in Lombardia, in una società importante di serie D, con l’obiettivo di salire di categoria».

Nella carriera di Federico Nacci, l’ISS è una costante: «Con Giordano Piras ed Enzo Friso mi sono allenato e ancora adesso mi alleno con loro, quando posso. Ho fatto il corso da istruttore e partecipo ai corsi di aggiornamento, in modo da essere sempre informato sulle nuove metodologie e da arricchire il mio bagaglio. Mi sarà utile per il futuro, anche se adesso penso solo a giocare. Però d’estate, ormai da quattro anni, partecipo alle settimane di formazione tecnico-calcistica: è una passione, perché starei tutto il giorno con il pallone, e mi piace trasmettere qualche concetto ai giovani, spero di poter essere utile alla loro crescita e alla loro carriera».

Ma come funziona? «La prima cosa che è importante chiarire - spiega Nacci - è che questi non sono camp estivi per divertirsi e passare il tempo, i ragazzi che partecipano sanno di non andare all’oratorio, ovviamente con tutto il rispetto per chi propone attività ludica. Qui si lavora, si rispettano le regole, ci si impegna. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa».

Le settimane di formazione targate ISS seguono un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza diviso in 5 categorie: dominio palla e sviluppo coordinativo; cambi di direzione, frenate e ripartenze; tecnica di base, trasmissione e ricezione della palla; finte e dribbling, tecnica estrosa; tattica individuale, in situazioni di gioco. All’interno di ciascuna categoria, ogni giorno vengono individuati alcuni obiettivi da raggiungere, che cambiano di volta in volta.

«Due ore e mezza di allenamento al mattino, pausa per il pranzo e il riposo, altre due ore e mezzo in campo al pomeriggio. Iniziamo con il riscaldamento, per esempio nella lezione dedicata ai dribbling si fanno i movimenti sul posto. È il nostro metodo, basato sull’analisi e la scomposizione del gesto: in un doppio passo - che in gergo chiamiamo “avvolgo e sposto” - non sono coinvolti solo piedi e gambe, ma le spalle, le braccia, lo sguardo, tutto il corpo. Per farlo bene, bisogna curare ogni minimo dettaglio e correggere analiticamente ogni passaggio in cui è scomposto il gesto tecnico. Poi, nel corso della seduta, quel gesto viene fatto in movimento, poi in situazioni di gioco tramite apposite esercitazioni, poi in situazioni di squadra, e nel pomeriggio riproposto negli 1 contro 1, con i tiri in porta, nelle partitelle che chiudono la giornata. È difficile da spiegare, molto meglio vederlo sul campo, anche attraverso la dimostrazione che noi istruttori proponiamo. Con le inevitabili semplificazioni, è così che si svolge la nostra giornata di allenamento, sempre con il metodo ISS, obiettivi specifici e istruttori formati».

E come rispondono i ragazzi? «Noi cerchiamo di proporre una settimana che sia veramente formativa, affinché i ragazzi tornino a casa con qualcosa in più. Loro rispondono alla grande: il livello è medio/alto, per quanto ci siano differenze di età e di preparazione tra i 40 partecipanti, ma a tutti non mancano curiosità, impegno e concentrazione. In campo cercano di trarre il massimo da ogni seduta, fuori dal campo sono davvero educati e ordinati, ma qui siamo vicini all’Austria e la mentalità è quella… Insomma, viviamo tutti insieme un vero e proprio ritiro con il calciatore al 'centro del villaggio'».

ESTATE - Sono dei veri e propri ritiri calcistici quelli organizzati da ISS: programma tecnico, obiettivi giornalieri, regole e disciplina. «Poi i ragazzi e le ragazze si divertono, perché giocare a calcio è la cosa più bella del mondo - spiegano Giordano Piras ed Enzo Friso - ma non vengono da noi per divertirsi. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa»


Non chiamateli camp estivi. Sono settimane di formazione tecnico-calcistica, organizzate come dei veri e propri ritiri, quelle organizzate dall’Individual Soccer School, centro di formazione individuale con sede centrale a Pianezza e poli dislocati in tutta Italia e in Europa. «Poi i ragazzi e le ragazze si divertono, perché giocare a calcio è la cosa più bella del mondo - spiegano Giordano Piras ed Enzo Friso - ma non vengono da noi per divertirsi. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa».

PROGRAMMA TECNICO E OBIETTIVI GIORNALIERI

Le settimane di formazione targate ISS seguono un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza diviso in 5 categorie: dominio palla e sviluppo coordinativo; cambi di direzione e frenate; tecnica di base; finte e dribbling; tattica individuale. All’interno di ciascuna categoria, ogni giorno vengono individuati alcuni obiettivi da raggiungere, che cambiano di volta in volta. «Se un allievo vuole partecipare a più di una settimana - spiegano gli organizzatori - affronterà allenamenti sempre diversi, perché cambiano gli obiettivi specifici di ogni seduta, ma all’interno dello stesso programma, che è lo stesso in tutta Italia. Lavoriamo con il metodo ISS, in campo ci sono solo istruttori formati da noi e chi sceglie la nostra proposta pretende un livello di qualità altissimo ed è nostro compito garantirlo».

Per i ragazzi e le ragazze che partecipano è come vivere un vero e proprio ritiro estivo di una società professionistica: «Non facciamo passeggiate, non andiamo in piscina, solo calcio ad alto livello. Il programma della giornata - continuano Giordano Piras ed Enzo Friso - prevede due ore e mezza di allenamento al mattino, un’ora al pomeriggio e poi un’altra ora di partite; una parte a tema rispetto agli obiettivi di giornata e un’altra in cui lasciamo libertà all’estro e alla fantasia dei ragazzi. Il pranzo si consuma tutti insieme con menù concordati con la nutrizionista sportiva; i momenti di riposo e le pause sono prestabiliti. A fine giornata analizziamo, all' interno di una riunione tecnica, la seduta di allenamento appena terminata con una finestra su quella del giorno successivo. Dopo cena, un’ora di svago e alle 22 si spengono le luci. Orari rigidi e regole da rispettare: un vero e proprio ritiro con il calciatore al 'centro del villaggio'».

DATE E LUOGHI

Vahrn (Varna, in italiano), provincia di Bolzano, in Trentino-Alto Adige, vicino alla città di Bressanone: è in questa splendida location che, ormai da 15 anni, Individual Soccer School organizza le due settimane di alta formazione tecnico-calcistica di riferimento; nel corso degli anni hanno partecipato a questa esperienza numerosi allievi che poi sono diventati calciatori professionisti. Una settimana (dal 30 giugno al 6 luglio) è dedicata al calcio maschile: 60 giocatori ammessi, dall’Under 12 all’Under 16, divisi per gruppi in base all’età e al livello di preparazione, seguiti da 6 istruttori tra cui Giordano Piras ed Enzo Friso, i fondatori dell’ISS. E una settimana (dal 7 luglio al 13 luglio), dedicata alle ragazze; non più di 25/30 partecipanti, con Melania Gabbiadini - 121 presenze e 51 gol in nazionale, in bacheca 5 scudetti e tanto altro - tra le istruttrici. Naturalmente sono ammessi sia i giocatori di movimento che i portieri. «Il livello è alto - spiegano gli organizzatori - e parteciperanno molti atleti che già giocano nel professionismo insieme ad altri dilettanti di società importanti in arrivo da tutta Italia».

La proposta estiva di ISS non si limita alle due settimane “top” di Vahrn (qui tutti gli appuntamenti). Nella sede centrale di Pianezza, le settimane di formazione tecnico-calcistica sono fissate dal 17 al 21 giugno e dal 1° al 5 luglio; a San Francesco al Campo dal 10 al 14 giugno e dal 17 al 21 giugno. Con le stesse modalità organizzative e lo stesso programma tecnico, altri appuntamenti sono fissati in Lombardia, Veneto, Trentino, Liguria, Sicilia, Sardegna e anche in Francia. Inoltre, da metà luglio, a Pianezza inizieranno le giornate di pre-ritiro per giocatori che militano in prime squadre, in particolare serie D, con un focus per i professionisti ancora in attesa di collocazione.

Ultima “chicca”: dal 5 al 9 giugno Giordano Piras ed Enzo Friso saranno in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto (in provincia di Messina) ospiti di uno stage estivo con 50 partecipanti, insieme a Stefano Sorrentino, il portiere che ha parato un rigore a Cristiano Ronaldo in una delle oltre 600 presenze da professionista con le maglie di Torino, Chievo, Palermo, Aek Atene e Recreativo Huelva.

INTERVISTA - Il direttore di gara di Pinerolo (che va verso le 100 presenze in serie A) consiglia «ai calciatori in erba di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza»


Gianluca Manganiello (Pinerolo, 28 novembre 1981) è un arbitro di calcio italiano. Vanta 293 gare arbitrate tra i professionisti, di cui 88 in serie A.

Dalla Can D nel 2007, attraverso la Can Pro e la Can B fino all’esordio nella massima Serie nel 2014 e alla consacrazione in Can A nel 2017; infine anche addetto alla Sala VAR. Quanto è difficile diventare un arbitro del tuo livello?
«Il percorso di maturazione è lungo e tortuoso: passa attraverso errori e la costante formazione. La parte più complessa è quella di mantenere l’equilibrio mentale, non scoraggiarsi davanti a prestazioni negative né esaltarsi davanti a ottime performance. Un altro aspetto fondamentale è la cura del proprio fisico e la costanza negli allenamenti poiché si arriva ai massimi livelli a un’età più avanzata rispetto ad altri atleti. Il percorso di crescita di un arbitro è solitario, perciò imparare ad accettare una sana competizione e saper lavorare sui propri limiti è la chiave per ottenere le proprie gratificazioni».

È più difficile dirigere una gara di campionati minori o di Serie A?
«La difficoltà è di pari livello perché l’esperienza e l’età sono chiaramente differenti. L’adattamento alla nuova categoria non è mai semplice, ma crescere da un punto di vista tecnico-tattico risulta determinante. Le categorie inferiori sono una palestra fondamentale dove sbagliare per imparare è ancora concesso; ai massimi livelli è richiesto un servizio al calcio di alta qualità».

Quale è stata la tua formazione?
«Per i giovani arbitri la sezione di appartenenza è il vero punto di riferimento: anziani, arbitri in categorie superiori sono i nostri formatori. Un continuo confronto e saper accettare le critiche costruttive determinano la crescita dell’arbitro. Risulta altresì importante la visione di partite proprie e altrui per riflettere su episodi e assimilare esperienze che arricchiscono il proprio bagaglio personale».

ISS è un centro di formazione tecnico calcistico nel quale l’allievo è al centro dell'attenzione; esiste qualcosa di analogo per la classe arbitrale? Come viene formato un giovane ragazzo che sogna di diventare arbitro?
«Come detto prima, nella fase iniziale la sezione; successivamente le varie Commissioni Nazionali che con periodici meeting uniscono giovani arbitri per impartire lezioni tecniche».

A proposito di questo argomento, cosa ci consigli di inserire nella formazione dei nostri allievi in rapporto alla relazione con il direttore di gara? E cosa ti senti di dire ai calciatori in erba che ogni domenica si trovano a contatto con gli arbitri?
«Consiglierei di inserire dei corsi specifici sulla conoscenza del regolamento del Gioco del Calcio, questo limiterebbe inutili proteste a fronte di decisioni corrette e potrebbe, inoltre, fornire strumenti per migliorare la squadra stessa. Ai calciatori in erba mi sento di consigliare di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza».

Entriamo nel dettaglio, come è cambiato il calcio dai tuoi esordi?
«Rispetto a 25 anni fa la parte atletica è preponderante, la tecnica non associata a una fisicità non adeguata alla categoria non permette di poterne fare parte. I ritmi di gioco sono notevolmente aumentati, di conseguenza anche la velocità di valutazione dell’arbitro è maggiore. Ad alti livelli, in una frazione di secondo, si possono decidere le sorti di una gara».

Domanda da un milione di dollari: il VAR, quanto e come arriva in vostro soccorso?
«Il Var ha un protocollo chiaro di intervento su specifiche casistiche: per noi arbitri è sicuramente un grandissimo aiuto che permette, nella maggioranza dei casi, di sanare errori incisivi sul risultato. Basti pensare agli errori sul fuorigioco o sulle simulazioni che sono pressoché scomparsi. Rispetto agli anni in cui il Var è stato introdotto, si è fatto un importante percorso di crescita: la sinergia tra arbitro e sala VAR è ormai consolidata, si cerca di restituire in caso di grave errore la verità del campo».

Quanto è affascinante dirigere una partita di cartello? Quali responsabilità ti senti addosso?
«Dirigere in stadi pieni e respirare quell’atmosfera è bellissimo. Oltre ad aumentare la concentrazione e la voglia di far bene, dirigere quelle gare è motivo di orgoglio. Tutti noi lavoriamo per migliorarci sempre e confrontarsi in determinati palcoscenici è sempre stimolante. La responsabilità è tanta, inutile negare che determinate partite cambino anche le sorti “economiche” di una società, ma non si può scendere in campo con questi pensieri, bisogna essere liberi mentalmente per essere il più precisi ed equilibrati possibile in modo da offrire il miglior servizio. Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi.

Quali dettagli ci sono dietro alla preparazione di una gara di Serie A? Studiate le caratteristiche dei calciatori che “incontrerete” la domenica?
«Ogni gara è preparata meticolosamente. Oltre alla conoscenza delle caratteristiche dei calciatori (maturata anche con l’esperienza) prima di ogni gara facciamo un briefing con due Match Analyst che ci forniscono i dettagli tattici e le situazioni più particolari da affrontare, in modo da non farci cogliere impreparati ed anticipare spostamento e lettura calcistica».

Quali sono i particolari sui quali ti alleni durante gli allenamenti? Cambiano in relazione al match che andrai ad arbitrare?
«Sicuramente la settimana della gara affronto allenamenti differenti rispetto alle settimane di “scarico”. Siamo supportati da un modulo di preparazione atletica che definisce i rispettivi programmi. Con il mio preparatore atletico li moduliamo in base alle mie condizioni fisiche. La capacità di ripetere gli sprint (RSA) e una buona base aerobica, ti rende adeguato a svolgere il tuo ruolo. Durante l’anno svolgiamo sessioni di testi atletici per valutare la nostra condizione».

Il direttore di gara ha l'obbligo di mantenere sempre altissimo il livello di attenzione durante i 90': in che modo è possibile? È un aspetto allenabile? Se sì, come?
«Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi. Un mio “maestro” sintetizzava così la difficoltà di mantenere l’attenzione: se in Serie D ti puoi distrarre cinque volte in totale durante la gara probabilmente sei adeguato alla categoria, in Serie A scordatelo! L’attenzione si prepara prima della gara, non durante. Abbandonare pensieri e focalizzarsi esclusivamente ai 90’ di gioco è la chiave. Entrare in partita è come leggere un libro, la differenza però è che non puoi permetterti di rileggere la pagina. Bisogna avere il focus esclusivo e costante. L’attenzione si accresce con il tempo, con la dedizione, con piccoli giochi anche quotidiani. Per esempio, mi viene in mente il semaforo, cercare di capire ed essere immediatamente reattivi quando scatta il verde è una cosa che ogni tanto faccio per gioco ma è finalizzato a curare l’aspetto mentale».

Ti sei mai sentito in difficoltà durante una partita?
«Ci sono state gare assai complesse, che sicuramente mi hanno messo in difficoltà. In questi casi l’unica cosa da fare e stringere ancora di più i denti e svolgere il proprio compito nel miglior modo possibile mantenendo sotto controllo le proprie emozioni. Il bravo arbitro è colui che infonde tranquillità e fermezza al tempo stesso, senza esasperare i toni della contesa e senza essere dittatoriale. Una cosa che aiuta è pensare che alla fine si tratta sempre di un gioco e siamo fortunati a farne parte».

Ora qualche piccola curiosità: quali sono stati il giocatore più corretto, quello con più personalità e quello più forte (ovviamente a tuo parere) che hai arbitrato fino ad ora?
«Il calcio è pieno di persone per bene, tanti capitani si sono comportati come tali, in tutte le categorie ne ho incontrati diversi. Persone che fanno bene al calcio, che mantengono i compagni sotto controllo, che accettano l’errore ed anzi ti rincuorano. Io ho esordito in Chievo-Inter ed il capitano era Zanetti, mi ricordo che fin dal tunnel spese belle parole nei miei confronti e mi mise in condizione di concentrarmi solo sulla gara senza avere “disturbi” da comportamenti impropri da parte dei suoi compagni. Personalità è semplice. Ci sono calciatori che senza parlare fanno la differenza sono con la presenza, Ibrahimovic ne è l’esempio. Il più forte cito sempre Edin Dzeko ma potrei dirne molti. Ero giovane ed arbitrai Roma-Crotone, mi impressionò, faceva quello che voleva con una tecnica sopraffina unita a una potenza atletica disarmante».

Ultima domanda: Gianluca, hai un sogno?
«Cercare di essere sempre adeguato per arbitrare il più possibile ancora. Ho 42 anni ma ancora tanta voglia, anche perché, quando non potrò più scendere in campo, andrà via un pezzo della mia vita e probabilmente mi mancherà tantissimo».

INTERVISTE - Giordano Piras ed Enzo Friso spiegano: «Siamo entusiasti di portare all’estero il nostro metodo di lavoro, perché notiamo un interesse e una partecipazione maggiore di quanto riscontriamo in Italia. Qui si sottovaluta la tecnica individuale, le conseguenze le vediamo anche in Nazionale…»


La scorsa settimana Giordano Piras ed Enzo Friso, fondatori e responsabili dell’Individual Soccer School, hanno passato quattro giorni a Bucarest, per fare un corso di formazione con 10 istruttori locali che gestiranno la nuova sede dell’ISS nella capitale della Romania. «Non è solo questione di aprire una nuova filiale - spiegano - del nostro centro di formazione sulla tecnica individuale, non sarebbe una novità e non è quello che ci interessa. Siamo entusiasti, invece, di portare all’estero il nostro metodo di lavoro, perché notiamo un interesse e una partecipazione maggiore di quanto riscontriamo in Italia».

Ma come è nata la possibilità di esportare ISS in Romania? «Un nostro ex allievo rumeno, che era in Italia con la famiglia, è tornato a vivere a Bucarest e allena nell’accademia di una società di serie A. È lui che ha organizzato questo stage e che gestirà l’accademia, in una struttura davvero all’avanguardia, organizzando allenamenti individuali esattamente come facciamo a Pianezza e nelle nostre altre sedi in Italia e all’estero. Sono state giornate molto ricche e interessanti, viaggiare e conoscere realtà diverse arricchisce il nostro bagaglio di conoscenze: per esempio, in Romania i genitori non pagano il biglietto, ma la terna arbitrale, che c’è in tutte le partite fin dalla scuola calcio. Gli istruttori con cui abbiamo lavorato, una decina in tutto di cui due collaborano anche con la Federazione, sono molto preparati a livello teorico, ma dimostrano un forte desiderio di imparare e di crescere. Le sedute di allenamento e le discussioni alla fine erano sempre molto accese, e dal giorno dopo ci stanno mandando video di esercitazioni. Anche i genitori dei bambini coinvolti erano entusiasti, non avevano mai visto niente del genere».

Quello rumeno sarà il terzo punto “fisso” di ISS all’estero, dopo quelli di Brno, in Repubblica Ceca, e Quimper, in Bretagna: «La dinamica di apertura sono simili, nostri ex allievi che vivono lì ci hanno chiesto di aprire un centro di formazione ISS. In Francia partecipa una quarantina di ragazzi, non di più perché la vera difficoltà che incontriamo è trovare istruttori all’altezza e prepararli secondo il nostro metodo».

Romania, Repubblica Ceca, Francia ma non solo. «La prossima sede, è una questione di giorni, aprirà a Innsbruck. Lì è facile perché alcuni nostri istruttori del centro ISS di Varna, a Bressanone, studiano all’università in Austria, per loro è più comodo allenare direttamente lì».

E non è finita qui, perché la diffusione del metodo ISS non si limita ai confini europei. «Abbiamo fatto per tanti anni dei campus in Australia, duravano un paio di mesi, ogni settimana in una zona diversa, ma purtroppo il Covid ha bloccato tutto e non siamo più partiti. La prossima apertura, però, sarà negli Stati Uniti, precisamente a Nashville, in Tennessee. Qui il contatto è un papà americano che si era trasferito con la famiglia in Lombardia, per lavoro: il figlio ha frequentato i nostri corsi, lui ci ha messo in contatto con un importante personaggio del mondo sportivo con il quale abbiamo definito quasi tutto. E ci hanno chiesto informazioni anche dagli Emirati Arabi. La carne al fuoco è tanta, vedremo».

Ma come mai questa attenzione “mondiale” per l’Individual Soccer School? La risposta, ancora una volta, a Giordano Piras ed Enzo Friso: «Noi ci concentriamo sulla tecnica, per creare giocatori che abbiano una conoscenza profonda dei fondamentali: il resto si forma con il tempo, su quella base imprescindibile. Lo dice Maurizio Viscidi, responsabile delle nazionali giovanili, lo dicono Capello, Gasperini e tanti altri, ma qui in Italia si continua a fare selezione sugli aspetti fisici e strutturali, e la parte tattica rimane preponderante. Guarda, per esempio, che percorso lungo ha dovuto fare Alessandro Bianco per sfondare: scartato dal Toro, è dovuto ripartire dai dilettanti e quest’anno è tra i migliori centrocampisti della serie B… Eppure la scuola italiana, quella tecnica, attira in tutto il mondo, dall'estero abbiamo una richiesta continua. Qui da noi sono i privati che vogliono puntare sulla tecnica. Invece alle società, soprattutto alle big, non interessa, al massimo fanno gli individual interni per fare cassa. Ci deve essere una spiegazione per cui la Nazionale è così in difficoltà a trovare piedi buoni. E, permetteteci la provocazione, ci deve essere un motivo per cui tanti giocatori arrivano dall’estero: sarà una moda, costeranno di meno, ma non è che sono più bravi perché lavorano di più sulla tecnica?»

INTERVISTA - Parla la responsabile dell'ISS Women: «Le ragazze apprendono prima e hanno più grinta e voglia di emergere. Con la correzione analitica si ottengono risultati importanti in meno tempo, il nostro margine di intervento è maggiore, vedere i risultati è una soddisfazione per noi e per loro»


Il calcio femminile è l’unico settore del mondo del pallone che ha ancora ampi margini di crescita. Una considerazione che si riflette anche all’interno dell’Individual Soccer School, il centro di formazione sulla tecnica individuale che fa capo a Giordano Piras ed Enzo Friso. Lo sviluppo dell’ISS Women è affidato a Daniela Turra, veneta classe ‘77, che dalla provincia di Belluno ha il compito di gestire il settore femminile e ampliarlo a livello nazionale.

Daniela, raccontaci di te e del tuo percorso nel mondo del calcio.
«Ho sempre giocato a calcio, da quando avevo 7 anni. Ho giocato con i ragazzi fino a 14 anni, l’ultimo anno sono stata tesserata come “Daniele” in FIGC, perché le ragazze non potevano più giocare con i maschi... Altri tempi. Poi ho giocato con il Vittorio Veneto in serie B per 8 anni, dopo ho girato un po’: Verona e Milano avanti e indietro, Udine e ho finito a Venezia. Ho vinto due campionati di serie A, una Supercoppa e due Coppe Italia. Ho smesso con il calcio a 11 nel 2013 e, mentre continuavo con il calcio a 5, ho preso il patentino Uefa B e quello di match analyst. Ho fatto gavetta nella scuola calcio, finché ho scoperto il mondo della tecnica Individuale, tramite Silvia Marcolin che mi ha fatto conoscere l’ISS. Ho partecipato a un corso qui in Veneto, siamo entrate nell’organico dell’Individual Soccer School nel 2022, subito dopo il Covid».

Domanda personale. Come e perché hai iniziato a giocare a calcio?
«Ho accompagnato mio fratello a un allenamento, mia mamma mi ha chiesto se volevo provare anche io, è nato tutto da lì. Devo ringraziare mia mamma che ha avuto la mente più aperta di tutti. Giocare con i maschi è dura, per essere accettata dovevo far vedere che ero più forte di loro, altrimenti non mi sarei integrata. Ero un difensore centrale, picchiavo tutti, anche i maschetti… Poi, con lo sviluppo, a 13/14 anni le differenze a livello fisico diventano troppo importanti. In quel momento sono passata al calcio femminile».

Torniamo a oggi. Da quando sei entrata nell’ISS, non ne sei più uscita.
«Giordano Piras mi ha dato il compito di responsabile del femminile in Italia, ne sono davvero orgogliosa. Siamo partiti qui dal Veneto, dove conosciamo bene il territorio e le società, per una questione di comodità, ma con l’obiettivo di allargarci a tutta Italia, passo dopo passo. Vogliamo creare un modello da proporre nelle altre regioni».

L’Individual Soccer School era già operativo nel calcio femminile.
«Sì, il primo nucleo di ISS Women è nato a Torino con Tatiana Zorri, poi lei si è staccata perché allena e non ha il tempo di portare avanti il progetto. Io le ho dato il cambio. A Pianezza c’è ancora un bel giro di bambine, così come in altre regioni, per esempio in Sardegna».

Come lavorate in Veneto, e con che numeri?
«Al momento siamo tre allenatrici: io, Giada Bertelle e Melania Gabbiadini, che è un’icona del calcio femminile. E abbiamo 20 ragazze, la più piccola del 2015 e la più grande del 2006, cui facciamo allenamenti individuali. Inoltre, collaboriamo con la Lady Maerne, società della provincia di Venezia che ha ben 110 tesserate: una volta a settimana Melania va ad allenare la tecnica delle ragazze, con loro organizziamo anche due settimane di camp estivo. E diamo anche una mano a Saverio Trizio, responsabile ISS Veneto maschile».

E poi ci sono gli stages estivi.
«Ormai da tre anni, nel periodo estivo, facciamo delle settimane di formazione a numero chiuso a Varna, in provincia di Bolzano. Accettiamo un massimo 30 ragazze perché vogliamo che il livello sia alto: si lavora sulla tecnica con istruttori appositamente formati, in contesto impegnativo, che possa dare qualcosa in più alle ragazze. Per loro è importante vivere un’esperienza di gruppo lontano da casa, ma la base è sempre il lavoro individuale. Quest’anno lo stage si farà dall’8 al 12 luglio, per una fascia d’età compresa tra 11 a 16 anni».

Che differenze ci sono, secondo te, ad allenare un ragazzo e una ragazza?
«Le ragazze apprendono prima e hanno più grinta e voglia di emergere. Dipende dal fatto che il femminile inizia ora ad essere considerato, vedi queste ragazze che vogliono imparare, vogliono arrivare in alto, è uno stimolo continuo. Per esempio, noi abbiamo una 2008 del Cittadella, che ha già fatto due allenamenti con l’Inter, è l’unica convocata in nazionale Under 16 che non gioca nei top club. È fantastica, vederla in allenamento è uno spettacolo. Per quanto sia giovane, non ha avuto le stesse possibilità dei coetanei maschi, in termini di qualità di allenamento. Un ragazzo di 16 anni gioca già da 10 anni, una ragazza magari da 2 o 3 anni, non ha una memoria del gesto tecnico già definita. Con la correzione analitica si ottengono risultati importanti in meno tempo, il nostro margine di intervento è maggiore, la loro voglia di imparare è maggiore. Magari è faticoso dire alle ragazze come mettere il piede per migliorare il gesto tecnico, dirglielo mille volte finché il gesto non è perfetto, ma poi vedi che toccano palla in modo diverso. È una soddisfazione per noi e per loro».

Eppure, la materia dell’insegnamento è la stessa, ovvero la tecnica.
«Sì, la tecnica prima di tutto, la tattica individuale e di squadra vengono di conseguenza. Nelle prime sedute, con le ragazze più piccole, si fa tanto lavoro anche a livello coordinativo, ma sempre con la palla. Poi le vai a vedere in partita e la differenza salta all’occhio, ce lo dicono anche i genitori che vedono le loro figlie più sicure nel gesto. Per esempio, nel tiro in porta: colpiscono meglio, la palla viene fuori più tesa. È un percorso lungo, ma molto gratificante perché i risultati sono palesi».

L’investimento dell’ISS nel calcio femminile si inserisce in un percorso di crescita del calcio femminile a livello nazionale. Tu come la vedi?
«Io conosco bene la realtà del Veneto, qui da noi la crescita dell’attività di base è palpabile: una volta c’erano solo le prime squadre, adesso si fanno tanti investimenti sulle giovani, anche se non è facile trovare allenatori capaci. Non c’è solo il Lady Maerne: a Venezia, dove allena Tatiana Zorri, ci sono un centinaio di bambine tra scuola calcio e settore giovanile, sempre in provincia c’è un’altra società che ha 80 tesserate, vuol dire che ci sono quasi 300 bambine e ragazze che giocano a calcio, tanta roba. L’inserimento del professionismo nel calcio femminile ha sicuramente dato un’accelerata, anche se per fare calcio femminile ad alti livelli serve la spinta del movimento maschile, in questo la Juventus è un modello a livello nazionale. In Sardegna, per fare un altro esempio, va forte il calcio a 5, ci sono ben 9 squadre sarde tra serie A e A2. La mia impressione è che il movimento sia in crescita, ma non in modo strutturato, ci sono realtà forti che fanno da traino ma non un sistema consolidato come nel calcio maschile. Si può e si deve crescere ancora tanto, anche noi cerchiamo di dare il nostro contributo in tal senso».

Chiudiamo con una domanda “provocatoria”. Perché una ragazza dovrebbe fare calcio, invece di un altro sport?
«Non c’è nessun motivo specifico, il calcio femminile è uno sport come gli altri, con la stessa dignità. Semplicemente le ragazze devono avere la stessa possibilità di praticarlo, esattamente come gli altri sport, possibilità che non è sempre loro concessa. Se devo dire la verità, io sono un po’ invidiosa delle ragazze di oggi, mi piacerebbe avere 18 anni e iniziare la carriera in questo calcio femminile, che dà maggiori gratificazioni, dà la possibilità di giocare in stadi veri, magari di andare su Sky. Ai miei tempi gli allenamenti e le strutture erano peggiori, anche in serie A quasi tutte facevano, o meglio facevamo, un lavoro part time, per poi andare il pomeriggio agli allenamenti. Fare la professionista oggi è tutta un’altra cosa».

Il vostro lavoro è formare le professioniste di domani.
«Il nostro lavoro è dare a tutte le ragazze che amano il calcio gli strumenti per riuscire a realizzare il proprio sogno».

INTERVISTA - Esploso in Lega Pro l’attaccante cresciuto anche grazie all’ISS: «Avere una completa padronanza del pallone consente di essere più incisivi in tutte le zone di campo, specialmente nel mio ruolo. La continuità in allenamento è decisiva. Ogni singolo movimento, ogni controllo, ogni giocata, allenamento dopo allenamento devono essere costantemente replicati per ricercare la perfezione. Ora sogno la promozione in serie B».


Lorenzo Sgarbi: un bolzanino che fa innamorare Avellino! Parlaci della tua esperienza con la casacca bianco verde e del tuo rapporto con la tifoseria, notoriamente calda e appassionata.
«Quando sono arrivato in Campania ero talmente entusiasta che fremevo dal desiderio di iniziare la mia esperienza in terra irpina e di giocare per una casacca così importante e gloriosa come quella dell'Avellino. La mia speranza era di ambientarmi nel minor tempo possibile e di partire con il piede giusto nella nuova avventura e fortunatamente così è stato. In questo momento, a pochissime giornate dalla fine del girone di andata, occupiamo le prime posizioni della classifica; il campionato è ancora molto lungo, ma noi fino a maggio cercheremo di lottare per ottenere il massimo possibile. Sicuramente l'Avellino sarà sempre in alto per giocarsi qualcosa di importante. Il calore e la passione di questa tifoseria? Non ci sono parole, sono incredibili! Domenica dopo domenica sono pronti a sostenerci diventando, come si dice, il dodicesimo uomo in campo!»

Che tipo di giocatore sei? Quali sono le tue qualità migliori? Dove invece puoi lavorare e migliorare ancora?
«Sono un giocatore offensivo; tra le mie doti principali spiccano l'attacco alla profondità (mi piace andare negli spazi per poi ricevere palla ed essere sempre il più pericoloso possibile) e la qualità tecnica (a detta di coloro che mi vedono giornalmente) che mi dà la possibilità di puntare continuamente il diretto avversario. Per quanto riguarda gli aspetti da migliorare, la prima cosa che mi viene in mente, è di sicuro il colpo di testa. Il miglioramento di questo fondamentale mi permetterebbe di essere un calciatore più completo».

Sei arrivato a inizio stagione carico di buoni propositi e nell'arco di un girone sei diventato un autentico spauracchio per le difese avversarie. Quanto impegno e sudore ci sono dietro alla tua affermazione?
«Tantissimi. Un mio tatuaggio recita che dietro ad ogni risultato c'è sempre e solo tanto sacrificio. È il mio dogma, il mio credo. Dal primo giorno di preparazione estiva non c’è stato un momento in cui io abbia abbassato l’attenzione. Impegno, sudore, dedizione e desiderio costante di migliorare mi stanno permettendo finalmente di togliermi qualche soddisfazione. Ma è solo l'inizio di un lungo percorso...»

Sei un giocatore dotato di un’ottima qualità: quanto reputi sia importante l'aspetto tecnico nel gioco del calcio moderno? E quanto consideri importante l'allenamento della tecnica, anche individuale, per un calciatore professionista?
«Sicuramente la consapevolezza tecnica è molto importante. Avere una completa padronanza del pallone consente di essere più incisivi in tutte le zone di campo, specialmente nel mio ruolo. Ho conosciuto tanti ragazzi che inizialmente facevano un po’ di fatica dal punto di vista tecnico, con il tempo e il duro lavoro sono riusciti a migliorare in maniera esponenziale».

17 partite compresa la Coppa Italia, 6 gol e 5 assist: decisivo è sicuramente l'aggettivo che più ti si addice. In questo momento quali sono, a tuo modo di vedere, le attitudini fondamentali negli ultimi venticinque metri? Come alleni questi aspetti durante la settimana?
«In un calcio che si sta livellando in tutte le categorie credo che gli ultimi 25 metri siano decisivi. Io li chiamo i metri della giocata individuale! È una zona in cui l'estro, la fantasia e la personalità di un calciatore vengono fuori e fanno la differenza. Poi l'uno contro uno, il duello con il diretto avversario sono lo spettacolo che ogni tifoso allo stadio vuole vedere. Ad ogni modo la continuità in allenamento è decisiva. Ogni singolo movimento, ogni controllo, ogni giocata, allenamento dopo allenamento devono essere costantemente replicati per ricercare la perfezione».

Pochi giorni fa Luis Alberto ha rilasciato dichiarazioni pesanti sulla mancanza di talento nel calcio: “È sempre più difficile vedere oggi un Del Piero, un Iniesta o uno Zidane”. Cosa ne pensi? Appurato che il talento è qualcosa di innato, un'impronta più tecnica e meno tattica nei primi anni di attività dei giovani calciatori potrebbe essere una soluzione?
«La questione è delicata, io sono giovane e credo che quello fosse un calcio diverso; i ritmi erano diversi così come tempi delle giocate. Era, a mio avviso, un calcio completamente differente. Voglio credere che l'Italia sia ancora una fucina di talenti e che con il tempo e soprattutto con pazienza riusciranno a sbocciare e ad affermarsi».

Durante la tua esperienza tra le fila della Primavera del Napoli hai condiviso il terreno di gioco con grandi giocatori. Qual è, secondo te, la differenza principale tra la Lega Pro e la serie A? Cosa manca al giocatore Lorenzo Sgarbi per raggiungere un grande palcoscenico?
«La velocità di esecuzione, la velocità di scelta, pensare in maniera diversa e più repentina quando sta per arrivarti il pallone. Adeguarsi il più velocemente possibile a un qualcosa che non ti aspetti. Ecco, queste a mio parere sono le differenze più evidenti tra le categorie. In molti credono che il 'calcio vero' sia un calcio irraggiungibile e impensabile, ma sono convinto che non sia così. Ho avuto compagni di squadra che hanno giocato e lottato per salvarsi su campi difficilissimi di Lega Pro e che dopo pochi anni hanno calcato il terreno del tempio del calcio, del Santiago Bernabeu».

Ad Avellino hai avuto un incremento di rendimento sotto tutti i punti di vista tanto è vero che diverse squadre di livello hanno iniziato a prendere informazioni su di te. Augurandoti di sbarcare a breve nel calcio che conta ti facciamo una domanda: cosa deve avere oggi un ragazzo di 22 anni per giocare ad altissimi livelli in Italia?
«Confermo quello che ho detto in precedenza: mi piace parlare di percorsi. Percorsi di crescita che ti permettono di formarti, prepararti ed essere pronto al momento giusto. Non tutti hanno gli stessi tempi, c'è chi arriva prima, c'è chi arriva dopo e c'è chi, nonostante abbia messo sul piatto tutti i suoi ingredienti, non arriva mai. Gli aspetti che incidono sulla carriera di un giovane calciatore sono molteplici e alla fine la componente fortuna può essere decisiva».

Ultima domanda! 1987-1988 ultima stagione dell’Avellino in Serie A. 2017-2018 ultima apparizione dell'Avellino in serie B. Ci pensi mai alla doppia promozione?
«Sarebbe un vero e proprio sogno! In questo momento mi “accontenterei” di una promozione in serie B. In una piazza come quella di Avellino si ricorderebbe per sempre! E per il resto... tempo al tempo».

LORENZO SGARBI

“Se compagni e tifosi iniziano a soprannominarti “l’uragano”, un motivo serio deve esserci”. Incomincia così il ritratto che la Gazzetta dello Sport ha dedicato a Lorenzo Sgarbi, attaccante classe 2001 che, nonostante sia alto 1.89 m, non è una classica prima punta, ma può giocare anche come trequartista ed esterno sinistro.

Nato a Bolzano e cresciuto nella Virtus Don Bosco, passa al Sudtirol in Under 16 e da lì al Napoli, nel 2017, scoperto nientemeno che da Cristiano Giuntoli. Gli azzurri lo mandano in prestito a Legnago, Renate e Pro Sesto, prima dell’esplosione con la maglia dell’Avellino, dove ha conquistato una maglia da titolare e segnato 6 gol in 17 presenze.

INTERVISTA - Il responsabile dell’area portieri: «Piedi buoni e tattica sono importanti nel calcio di oggi, ma il portiere prima di tutto deve parare. Sono il più anziano all’ISS, lavoro qui da 13 anni con passione e umiltà: per la crescita dei ragazzi è determinante essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, ognuno ha un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».


Chi è Gigi Casula: raccontaci la tua storia nel calcio.
«È una lunga storia… Sono nato in provincia di Sassari, ma mi sono trasferito a Torino nei primi anni Settanta. Giocavo ala destra, poi in una partita di allenamento mancava il portiere, sono andato io tra i pali e non sono più uscito. Dopo la trafila nelle giovanili ho esordito appena maggiorenne in Eccellenza. Purtroppo, prima di trasferirmi in una società più importante, ho subito il distacco della retina, che mi ha costretto a smettere di giocare. Era il 1979, da lì ho iniziato la mia carriera da allenatore, che mi ha portato fino in C1 con il Piemonte Calcio a 5, che all’epoca era una società importantissima, e il Torino Calcio a 5. Nel frattempo, ho iniziato come preparatore dei portieri nelle scuole calcio, ma allenando 7/8 ragazzi contemporaneamente non riuscivo ad instaurare con loro un rapporto diretto, non era il mio mondo. Poi il mio vecchio amico Giordano Piras mi ha coinvolto nell’Individual Soccer School, ho iniziato come istruttore di tecnica individuale e nel corso degli anni ne sono diventato il responsabile dell’area portieri».

Cos’è, per te, l’Individual Soccer School?
«Innanzitutto, è un gruppo di amici. Un ambiente in cui si respira allo stesso tempo leggerezza e serietà, gioia e professionalità. Credo che questo sia il giusto mix che ci ha permesso di diventare la scuola di allenamento individuale migliore in Italia».

Da quando lavori con l’ISS?
«Sono il più anziano, sia di età che di militanza. Ormai sono tredici anni che lavoro con passione e umiltà, mettendomi ogni giorno a disposizione dei nostri ragazzi».

Qual è il tuo ruolo?
«Sono diventato, come detto, il responsabile e il coordinatore di tutte le attività riguardanti i portieri. Cerco di trasmettere ai colleghi più giovani il desiderio di essere sempre utile al bambino, con voglia, dedizione, passione e umiltà, giorno dopo giorno».

Quanto è importante l’ISS per la crescita di un portiere?
«Ho appurato negli anni che ISS è determinante per la crescita dei portieri, in quanto i nostri iscritti hanno il privilegio di essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, a differenza delle società di appartenenza, dove invece si allenano in gruppetti di varia natura. In questo modo i nostri istruttori riescono ad avere una comunicazione immediata e diretta con gli allievi. Bisogna fare in modo che parlino, che si sfoghino, che si confrontino… oltre che preparatori, siamo anche degli amici per loro».

Diamo i numeri: quanti istruttori siete, con quanti portieri lavorate, quali sono le fasce d’età.
«Mi riferisco solo al centro sportivo di Pianezza, in provincia di Torino, dove lavoro quotidianamente: il nostro staff è composto da 5 istruttori, tutti molto bravi e con importanti esperienze alle spalle. In questo momento i portieri iscritti ai percorsi ISS sono 38, abbiamo piccolissimi, adolescenti e anche adulti che vogliono arricchire il loro bagaglio tecnico».

Quali sono le linee guida del tuo lavoro? Non vogliamo svelare i tuoi segreti, ma esiste un metodo?
«Sì, esiste un metodo di lavoro, univoco per tutti gli istruttori, che ci ha dato finora ottimi risultati. Abbiamo cercato di racchiudere all’interno di questo metodo tutte o quasi le nostre esperienze passate, in modo da non lasciare nulla al caso. Senza entrare nei dettagli, la nostra attenzione è sempre rivolta al rapporto con l’allievo, fin dal primo allenamento conoscitivo: cerchiamo di scoprirlo sotto tutti i punti di vista, tecnici e non solo. Ogni nostro portiere ha una sua scheda, un vestito su misura, come facevano i sarti di una volta, un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».

Come ti poni verso l’idea, oggi di gran moda, che vuole i portieri preparatissimi tecnicamente, in modo da utilizzare i piedi in fase di costruzione dell’azione? C’è un modo per allenare questo aspetto?
«Io vado un po’ controcorrente, sono vecchio stampo. Il vero portiere al giorno d’oggi è una categoria in via di estinzione. Secondo me, il portiere prima di ogni cosa deve essere in grado di parare, con tutte le parti del corpo… ma deve saper parare. Io ho avuto la fortuna di lavorare insieme a Claudio Garella, portiere che vinse lo Scudetto prima a Verona, poi con il Napoli di Maradona. Ricordo che mi diceva sempre: “Torniamo a insegnare a questi ragazzi la parata”. Questo non vuol dire che tralasciamo la parte di lavoro che vede interessati i piedi. Anzi, gli ultimi dieci minuti dei nostri allenamenti sono dedicati proprio a questo tipo di principio: il rinvio da fondo, il rinvio di drop, la trasmissione al compagno o la parabola, per esempio. Ma, ripeto, è una questione di priorità: quella del portiere, ovviamente, è parare».

Come si fa ad allenare la testa di un portiere?
«Domanda molto complicata. Noi numeri 1 spesso ci sentiamo da soli per ampi tratti della gara e poi improvvisamente siamo chiamati in causa: se non siamo super concentrati e sempre dentro la partita è un grande problema. Per prima cosa, pretendo che il mio staff parli con l’allievo, per mantenere alta la concentrazione per tutta la durata dell’allenamento attraverso la comunicazione. Cerco di aiutare i ragazzi a vincere la timidezza, a crescere sotto il profilo della fiducia e della consapevolezza. Seguire le loro partite mi aiuta a intervenire anche sulla parte mentale che in gara non mi ha soddisfatto. E qualche piccola malizia da insegnare non mi manca…»

C’è qualche portiere che hai allenato che adesso gioca nel calcio che conta?
«Abbiamo diversi portieri giovani che giocano in squadre professioniste e che avranno le loro chances quando saranno adulti. Tra i volti noti, invece, Alessandro Zanellati del Padova, Alberto Savini che ha una lunga militanza in Lega Pro con Albinoleffe e Fidelis Andria».

Quali sono le virtù che non possono mancare a un portiere professionista?
«Serietà, disponibilità, umiltà, desiderio di lavorare e di fare sacrifici. Passione e amore per questo sport e per questo ruolo. E un pizzico di pazzia».

Chiudiamo con una curiosità. I tre portieri più forti al mondo, secondo te, e i tre giovani su cui scommetteresti per il futuro.
«Neuer, nonostante gli infortuni. Maignan, anche per la mia fede rossonera. E Szczesny, che è quasi sempre puntuale e preciso. Tra i giovani dico tre italiani, che sono già affermati: Vicario, Provedel e Carnesecchi».