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Mercoledì, 29 Giugno 2016 13:06

Genitori in tribuna/capitolo 3

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Sono tanti gli aspetti che riguardano un genitore tifoso, che tutte le domeniche si confronta con sui 'colleghi' per discutere dell'educazione spotiva del figlio e delle sue capacità sportive, come singolo e come squadra. A parlarne è, per esempio, Angelo Tripepi, padre con un figlio in età Pulcini: 
«Premettendo che la Scuola Calcio è un percorso di crescita che non va precluso a nessuno, è altrettando ovvio che considerati i costi, tutti i genitori pretendano una tangibile crescita dei loro “campioncini”, ma questo è l’aspetto meno spinoso».
 
I genitori chiedono molto? «Se parliamo di crescita, è scontato che ogni bambino ha i suoi tempi di apprendimento, per cui la pretesa da parte di qualche genitore di vedere il proprio bambino sempre titolare, e soprattutto volere da quest’ultimo cose che vanno ben oltre il semplice impegno in campo, è eccessiva. I limiti spesso sono natural: quando parliamo di grinta, di fisico, di classe, di velocità, parliamo spesso di doti naturali difficilmente acquisibili in un corso. E’ vero che il risultato non “conta”, ma non ho ancora conosciuto un solo addetto ai lavori - allenatore, dirigente, giocatori...genitori - che non voglia vincere».
 

 
Vincere è più importante che divertirsi: «E’ giusto che i bambini giochino divertendosi, ma quando si perde spesso scappano le lacrime, e purtroppo, ancor prima che il mister e i genitori possano confortarli, fra di loro comunque cercano i colpevoli, additandoli come responsabili della sconfitta, perché i bambini sanno prima di noi chi ha sbagliato in campo, anzi spesso è lo stesso compagno a rattristarsi da solo sentendosi colpevole».
 
Come si insegna ad un bambino anche a perdere? «E’ ovviamente un compito molto arduo riuscire a spiegare ai bambini che il calcio è uno sport di squadra, che si perde e si vince tutti insieme, che non è giusto mortificare un compagno, e che purtroppo non tutti sono portati a giocare al calcio, e soprattutto che non è importante vincere. Nel frattempo però, facendo appelloall’intelligenza dei genitore, sarebbe opportuno trovare il coraggio, e sottolineo coraggio, per far capire al proprio figliolo che forse farebbe meglio a praticare un altro sport, che probabilmente il calcio non è uno sport adatto a lui, che il calcio (anche a questi livelli) gli riserverà poche soddisfazioni, anzi sarà sempre più spesso fonte di mortificazione, piuttosto che esporlo tutte le partite a critiche e pianti e umiliazioni che secondo me lo faranno divertire pochissimo».

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