Ciao Max, la tua ultima partita è stata Pro Vercelli-Ternana del 5 dicembre, quanto ti manca il campo?
Si, è vero. Ma nel momento in cui io la disputavo quella partita non ero consapevole del fatto che fosse la mia ultima, perché dopo quella partita, avevo dei problemini al ginocchio, e mi sono fermato, poi c’è stata la pausa natalizia e nell’aria ha cominciato a girare l’ipotesi che io potessi fermarmi definitivamente. Questa ipotesi poi si è concretizzata. Le prime due settimane senza campo sono state una malattia, una sofferenza. Non me ne rendevo conto, vivevo dei momenti abbastanza difficili da gestire. Ancora mi rendo conto che il sabato quando c’è la partita, e mi presento allo stadio, vivo una sensazione strana, però sono contento di questa nuova avventura, comincia veramente a piacermi e questo è importante.
Immagino tu sia molto legato alla Pro Vercelli, hai lasciato da capitano dopo 579 presenze nei professionisti, e ti sei calato subito nel nuovo ruolo, come è nata l’idea? Era quello che volevi fare?
Nell’ultimo periodo con la società decidevamo anno per anno cosa avessi piacere di fare. Due anni fa ho fatto il corso da allenatore, e la società mi chiese se volevo intraprendere questa strada, ma in realtà non è un ruolo che sento mio. Ho sempre pensato che il ruolo più adatto alle mie caratteristiche fosse quello di direttore, organizzatore, nell’ambito giovanile, lo sento più appropriato a me.
Nella tua lunghissima carriera hai conosciuto e lavorato con tanti allenatori e compagni di squadra, a quali sei più legato? Hai giocato tanti anni tra serie B e lega Pro, l’avversario più forte che ha sfidato?
Sì ho avuto tantissimi allenatori e tanti compagni, onestamente adesso su due piedi non c’è un nome che mi venga in mente in maniera particolare. Io ho un carattere per il quale mi è sempre piaciuto entrare nella testa delle persone, conoscerle meglio. Degli ‘ultimi’ compagni sono rimasto legato con un paio, soprattutto con Ettore Marchi. Ettore è uno dei calciatori che oltre al calcio ha una mentalità e una filosofia come la mia. L’avversario più forte sicuramente la Juve dell’anno della serie B, tra i quali: Del Piero, Trezeguet e Camoranesi.
Tuo hai iniziato nel settore giovanile del Lascaris, quali sono i tuoi ricordi di allora?
Ho fatto un percorsodalla Scuola calcio alla Prima squadra, è la squadra del mio paese. Il presidente Trabucco - ancora oggi in carica - trattava tutti come dei figli, dove c’era la serenità di affrontare un percorso calcistico di divertimento, crescita e regole. La mia famiglia è stata fondamentale nel mio cammino per diventare un calciatore professionista e mi sono reso conto che avrei potuto farcela quando ero all’Alessandria, a 16 o 17 anni, fino ad allora era puro divertimento.
Quale consiglio ti senti di dare ai giovani ragazzi che sognano di diventare calciatori?
Che il sogno rimanga un sogno e non diventi un’ossessione, perché sto notando adesso negli atteggiamenti dei genitori e degli stessi ragazzi che, per quanto sia il sogno di tutti, diventata spesso un’ossessione. Uno dei primi colloqui che ho fatto con i ragazzi che vivono in convitto, che fanno più sacrifici, vivendo lontano dai loro cari, è stato presentare a loro delle statistiche reali e non delle mie idee, dove si evince che solo lo 0,001% arriva a farlo diventare un lavoro.
Si parla tanto di crisi dei Settori giovanili, o meglio, escono sempre meno ragazzi dal vivaio per le Prime squadre. Secondo te perché questo accade?
Io credo che sia legato all’ossessione, il sistema funziona in modo tale da creare troppe aspettative nei ragazzi e nelle famiglie. Io mi ricordo che avevo delle buone qualità che mi riconoscevano, ma non ero molto dotato fisicamente, e non ho mai fatto un provino nella mia carriera per una squadra professionistica (Torino, Juve, ecc.). Io vedo che adesso, per necessità lavorative, ogni settimana convoco dei ragazzi dai 2002 ai 1999 ad allenarsi con noi, per poterli inserire nel nostro contesto. Lo faccio perché ormai funziona così, ma ai miei tempi non si usava.
Torniamo a parlare del tuo ruolo come RSG, in questi due mesi come valuti la tua esperienza? Quali sono le tue prime impressioni?
A parte il trauma iniziale del distacco dal campo, mi sono abituato ed ho imparato le dinamiche. Mi sto appassionando molto al mio nuovo ruolo, ho tanto da imparare ma credo anche di avere molto da dare, e questo mix di cose mi genera grande entusiasmo.
Secondo te servono delle riforme sostanziali da parte della Federazione per valorizzare meglio e di più i nostri settori giovanili?
Credo che le regole che permettano ai giovani di giocare obbligatoriamente non servano a valorizzare i giovani stessi ma solo a far cassa alle società. Creando troppe aspettative nei ragazzi che poi non si concretizzano, perché dopo uno o due anni che giocano diventano vecchi, anche se hanno 23 anni. E penso che quelli bravi giochino a prescindere. Avere le seconde squadre, o squadre B che si parla tanto, se utilizzate nel modo giusto e se non diventano un presupposto per fare business possono diventare un veicolo importante. Credo anche che, e questa è una mia idea, non ne ho mai sentito parlare, sarebbe opportuno creare una normativa in modo che i ragazzi non siano legati a dei vincoli contrattuali ancor prima di aver giocato a certi livelli, quando ancora non hanno disputato neanche un campionato, con dei contratti che li fanno sentire già calciatori professionisti. Adesso il calciatore arriva al primo anno di carriera, già con sponsor, procuratore, curriculum fatto di squadre di appartenenza ma di poche partite giocate.
In conclusione Max, cosa dobbiamo aspettarci per il futuro nei Settori giovanili? Ci puoi anticipare un’idea che porterai nel vivaio delle bianche casacche?
La mia idea è di creare un senso di appartenenza, la Pro Vercelli non può permettersi di cambiare 100 giocatori all’anno, non sarà mai nella mia filosofia: l’idea è quella di puntare su dei ragazzi e, una volta scelti, provare a fargli fare un percorso accettando che possano avere delle pause, o momenti di difficoltà, e consapevoli di superarli e farli crescere fino all’obiettivo di poter portare qualche ragazzo sino alle soglie della Prima squadra.