Categoria nuova, vita nuova, cinque gol in sette partite per Federico Nacci, 18 anni il prossimo 5 aprile, nella sua fresca avventura col Chieri; un talentino ben presto scoperto dalla Juventus ma che non è mai sbocciato in maniera totale, per molti motivi. Nonostante questo, dopo aver provato più squadre e più ruoli, qui con Beppe Bosticco allenatore si sta rimettendo in discussione, come lui stesso ammette, e sta trovando la sua giusta dimensione.
Federico, presentati ai nostri lettori, raccontaci la tua carriera.
"Non avevo ancora quattro anni quando iniziai, ero all’Olympic Collegno. Dopo due anni ho smesso e sono stato un anno senza giocare, per poi andare alla Pro Collegno. A maggio del 2007 vengo chiamato dalla Juve nei Pulcini e de lì la mia avventura è durata sette anni, fino ad arrivare agli Allievi regionali; inizialmente giocavo spesso, ma dai Giovanissimi Nazionali in poi ho giocato sempre meno. Dopo sette anni in bianconero sono passato alla sponda granata negli Allievi Nazionali di Andrea Menghini, ma sono stato solo un anno. Sono passato in estate all’Alessandria Berretti e ci sono stato fino a gennaio scorso, quando sono venuto a Chieri".
Come mai hai scelto proprio il Chieri?
"C’è da dire che ad Alessandria ho giocato due sole partite da titolare e due da subentrato, arrivavo da anni in cui avevo giocato poco e volevo ripartire. Il Chieri mi aveva già cercato in estate, ma inizialmente avevo rifiutato in quanto avevo dato priorità all’Alessandria che aveva anticipato proprio il Chieri nei tempi dei contatti promettendomi di giocare e tante altre cose che alla fine non sono state mantenute; a gennaio ho parlato con la società di cui faccio parte ed era presente anche Bosticco: loro hanno detto che già mi seguivano e come giocatore mi conoscevano molto bene, hanno avuto parole sicuramente incoraggianti nei miei confronti che mi hanno per certi versi spinto a venire qui, ma in prevalenza mi sono voluto fare un esame di coscienza, sapevo che Chieri è una società seria con ambizioni serie, ero a conoscenza di come lavoravano e l’ho individuata come piazza giusta per ripartire per dimostrare e meritarmi il posto; delle parole non mi fido più dopo quello che mi è stato detto ad Alessandria".
Tu a oggi sei un trequartista, hai sperimentato altri ruoli nel tuo passato?
"Alla Juve facevo il regista, o comunque interpretavo altri ruoli del centrocampo, ma quando mi hanno provato trequartista lì mi sono davvero sentito a mio agio, nonostante questo ho anche provato i ruoli anche dell’attacco, ma sulla tre quarti è dove sto meglio".
E in questa avventura come ti stai trovando col tuo nuovo tecnico?
"Il mister è una persona molto umile, allena qui da 11 anni e ho sempre sentito parlare bene di lui, si dimostra una persona molto intelligente, ma soprattutto è un grande uomo a livello umano, ed è questo che conta per me, riesco ad avere molta intesa con lui, con questa sintonia potrei anche andare sempre in tribuna ma in allenamento darei sempre il 100%".
Hai giocato sempre in società di livello in categorie diverse dalla Juniores; trovi molte differenze?
"Diciamo di sì, soprattutto nei ritmi di allenamento che qui sono leggermente inferiori, ma tra la Juniores e la Berretti a livello di partite trovo poca differenza, quella sostanziale è che in questa categoria si trovano più facilmente delle “squadre cuscinetto”, in Berretti c’è più equilibrio tra le squadre, almeno così mi pare di notare sinora".
In tutta la tua esperienza calcistica hai trovato un giocatore nel tuo ruolo che ti abbia particolarmente sorpreso?
"Qui in Juniores non conosco molto il territorio, ma sono curioso di vedere i giocatori della Virtus Bergamo che notoriamente hanno un reparto offensivo fortissimo. Mi era capitato in Berretti di avere a che fare con il numero 10 della Pro Piacenza, un trequartista molto interessante. Inoltre in squadra giocavo con Simone Turato, che è un classe ’97 ma che già allora era un giocatore molto promettente, infatti arrivava dalla Primavera della Pro Vercelli nonostante fosse un fuori quota perché troppo piccolo".
Quale partita ricordi ancora oggi con piacere e perché?
"Indubbiamente il primo derby vinto con la Juve con i Giovanissimi regionali; erano circa 5 anni che non vincevamo a causa di tanti cambi di allenatori e quindi di sistemi di gioco e di allenamento, loro erano ormai consolidati avendo sempre gli stessi giocatori. Allora non segnai, ma la partita di squadra era stata fantastica".
E la sconfitta che ancora oggi ti brucia?
"In un torneo di Roma, lo stesso anno del derby, perdemmo 6-0 contro il Milan, fu una bella batosta, ma loro erano un altro pianeta, ai tempi con loro giocava anche Mastour".
Il gol più bello, secondo te, della tua carriera, invece?
"Un gol su calcio di punizione in una semifinale di un torneo in Sardegna contro la Roma".
C’è un allenatore del tuo passato che ricordi con affetto particolare?
"Con Ivano Della Morte stavo benissimo, mi ha insegnato molto nonostante lui allenasse i Pulcini con una mentalità più da grandi. Mi sono trovato bene anche con Galetta, in me lui vedeva un talento, mi stimava molto e me lo diceva speso, mi spiegava che l’unico motivo per cui non giocavo era la mia stazza fisica piccola. Ricordo anche Menghini, ma in maniera non molto positiva in quanto lui è un grandissimo allenatore a livello tecnico-tattico, ma non ci siamo trovati a livello umano".
Hai un giocatore tra i professionisti al quale ti ispiravi o a cui tutt’oggi ti ispiri?
"Da piccolo, essendo da sempre juventino, Del Piero era la mia leggenda, poi col tempo, crescendo, ho iniziato a seguire più da vicino i giocatori del mio ruolo, non ne ho uno preferito, ma prediligo molto giocatori con la tecnica di Lamela o David Silva, anche perché sono mancini, ma mi piace moltissimo anche Oscar, cerco di prendere qualcosa da tutti quanti".
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