Tutti noi abbiamo letto e sentito, come ha riportato il giornale “La Stampa” Domenica 8 Aprile, di quanto è successo sabato scorso a Venaus nella partita di campionato degli Esordienti 2006 tra i locali e la squadra del Lascaris, per colpa delle intemperanze (!!??) di un Papà, offese anche verso il proprio figlio, verso l’arbitro e sfiorando la rissa, la partita è stata sospesa e il Mister del Venaus che ritira la squadra dal campo.
Bene hanno fatto le due società nell’agire così e nel denunciare pubblicamente questo grave episodio che ha fatto il “Giro D’Italia”.
Il più grande dolore lo avranno provato quei bambini in campo, dove ancora per colpa di un genitore, è stato tolto loro l’unico divertimento e la gioia di giocare una partita di pallone al di là del risultato. Non voglio entrare nello specifico, già ampiamente se ne è discusso, ma voi sapete quanto io abbia denunciato il comportamento violento dei genitori, del loro modo di fare, della gioia che viene tolta ai bambini per via delle urla dalle gradinate e dall’eccessiva esasperazione che c’è nel calcio giovanile, raccontando le domeniche sui campi di periferia delle scuole calcio. Così come ho raccontato il comportamento “sano” ed esemplare di tanti e tanti Papà, vedendoli di persona èenon inventati, parlando con loro e cercando di narrare un calcio, quello dei bambini, diverso, più sano senza scorie di esasperazione delle società, dei tecnici e addetti ai lavori.
Ciò che mi ha sorpreso, invece, è stato il commento di alcuni tra giornali sportivi è addetti ai lavori:
<<Si è da condannare. Ma è un gesto isolato che non deve fare di tutta un’erba un fascio>>.
Ah si. Non si deve fare tutto un fascio d’erba? Ancora sul giornale “La Stampa” di Martedì 10 Aprile, si legge che un arbitro durante una partita nel campionato di Terza Categoria in provincia di Alessandria è stato preso a pugni da un giocatore che aveva espulso poco prima. Un caso isolato lo chiamano loro!
Uno strano paese il nostro. Se si potesse fare la rassegna stampa di tutti i giornali locali e di periferia da Agrigento sino a Trieste, leggeremmo che episodi del genere succedono tutte le domeniche. Solo che pochi finiscono nelle cronache nazionali. E allora si cerca sempre di minimizzare perchè il “baraccone” del calcio giovanile deve andare avanti, l’industria nazionale del pallone dei bambini deve essere superiore alle risse, feriti, offese, il togliere dal campo una squadra e via discorrendo. Fino a quando non ci scapperà il morto e allora apriti cielo: denunce attorno a tavoli quadrati e ovali, esperti di calcio e di educazione nelle TV a sciorinare teorie e soluzioni.
Oramai le gradinate dei campi sono diventati dei “Colossei” dove ognuno, pagando naturalmente 5 Euro, può diventare una belva con diritto di offendere chiunque, bambini compresi, e fare a pugni per un rigore non dato, per ritornare poi “normale” appena l’arbitro, se ancora è sopravvissuto, fischia il triplice fischio finale ponendo fine allo sfogo domenicale dei genitori.
Davvero uno strano paese il nostro, dove non importa se ancora non c’è un Governo, se milioni di disoccupati non riescono a sfamare le proprie famiglie e devono fare i salti triplici mortali per pagare la rette del calcio al proprio bambino, dove il lavoro è diventato il miraggio in un deserto di promesse, dove la criminalità spicciola la fa da padrone e ci costringe a rinchiuderci, dove la tensione sociale è talmente alta che le lampadine si potrebbero accendere da sole, dove le famiglie sono stritolate da un costo della vita sempre più inaccessibile per tanti e i sacrifici non bastano più. No! Il calcio non si tocca. Non si deve toccare. E’ il motore dell’Italia, lo sfogo dei disoccupati e delle famiglie in difficoltà.
Lasciamoli sfogare sulle tribune così dimenticano le promesse non mantenute, il lavoro che non c’è e poco importa se i bambini non si divertono più: l’importante è far credere e incassare la retta della scuola calcio.
Io appartengo ad un’altra generazione, quelli degli anni sessanta, dove si giocava al pallone ci si divertiva senza borsoni, scuole calcio, allenatori e giornali che parlavano di noi, ma soprattutto senza questa pressione di eccessivo protagonismo, del troppo denaro che gira intorno e dei risultati che oggi si chiedono ai bambini che si vogliono solo divertire.
Allora dico: Fermiamo questo calcio giovanile. Questo modello non va.
Troppi interessi economici, sponsor che vogliono i risultati così come le vogliono le scuole calcio, troppa esasperazione che toglie il divertimento, troppe partite dove ai “campionati” si aggiungono gli infiniti tornei, dove anche lì gira parecchio denaro tra società, quadrangolari, rettangolari e rotondi, facendo giocare fino a quattro partite in due giorni a bambini stanchi e arrabbiandosi se poi non portano il risultato a casa. Troppi interessi che girano sulle ignare spalline di questi bambini è troppi arricchimenti, tante prese in giro e promesse di un futuro campione, costi esorbitanti per le famiglie già in forte difficoltà.
Basta con le riunioni tecniche i primi e i secondi gruppi nelle scuole calcio, che già dividono i bravi e i meno bravi, alimentando così le urla dei genitori e le risse domenicali. E potrei andare avanti così ad elencare i troppi e tanti mali che giustificherebbero lo “stop” di questo insostenibile mondo del calcio giovanile.
Purtroppo la Federazione Dilettanti, seppur apprezzando qualche iniziativa lodevole, appare sorda e rivolta ad altri problemi interni a loro stessi, che sono poi sempre problemi economici, politici e di comando in uno sport che sempre più vede allontanare le famiglie. Per questo io ho deciso di non seguire più il calcio ufficiale e andare in giro nei parchi e nei cortili a vedere il “vero” calcio dei ragazzini. Il vero divertimento.
A contraltare a tutto questo, leggo sempre sul quotidiano “La Stampa” di Lunedì 9 Aprile, che a Lecco c’è una squadra di ragazzini e bambini che gioca solo amichevoli! Una iniziativa presa da un Papà, Dario Bolis di 48 anni, stanco anche lui di tutto questo pazzo mondo privo di divertimento, che ha raccolto con l’approvazione dei genitori anche loro stanchi di questa esasperazione calcistica, un gruppo di ragazzini adolescenti formando una squadra di calcio, telefonando alle squadre giovanili del territorio e chiedendo se vogliono fare una amichevole con loro:
<Vi va di giocare una partita con noi>>?
Naturalmente nel loro campo perché privi di attrezzature tanto gli allenamenti non servono, muovendosi con le macchine dei genitori nei campi altrui. Le maglie non servono ci si cerca di vestire simili allo stesso colore scelto il Bordò. La foto di rito è sempre diversa perché la formazione è soggetta alla disponibilità del momento. Giocano e si divertono. Non serve il risultato ma è calcio vero. Il divertimento consiste nel giocare una partita di calcio senza classifiche, articoli di giornali che parlino di loro, dove le convocazioni sono le più democratiche esistenti: Chi c’è oggi?
La redazione (AM)