INTERVISTA - Il responsabile dell’area portieri: «Piedi buoni e tattica sono importanti nel calcio di oggi, ma il portiere prima di tutto deve parare. Sono il più anziano all’ISS, lavoro qui da 13 anni con passione e umiltà: per la crescita dei ragazzi è determinante essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, ognuno ha un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».
Chi è Gigi Casula: raccontaci la tua storia nel calcio.
«È una lunga storia… Sono nato in provincia di Sassari, ma mi sono trasferito a Torino nei primi anni Settanta. Giocavo ala destra, poi in una partita di allenamento mancava il portiere, sono andato io tra i pali e non sono più uscito. Dopo la trafila nelle giovanili ho esordito appena maggiorenne in Eccellenza. Purtroppo, prima di trasferirmi in una società più importante, ho subito il distacco della retina, che mi ha costretto a smettere di giocare. Era il 1979, da lì ho iniziato la mia carriera da allenatore, che mi ha portato fino in C1 con il Piemonte Calcio a 5, che all’epoca era una società importantissima, e il Torino Calcio a 5. Nel frattempo, ho iniziato come preparatore dei portieri nelle scuole calcio, ma allenando 7/8 ragazzi contemporaneamente non riuscivo ad instaurare con loro un rapporto diretto, non era il mio mondo. Poi il mio vecchio amico Giordano Piras mi ha coinvolto nell’Individual Soccer School, ho iniziato come istruttore di tecnica individuale e nel corso degli anni ne sono diventato il responsabile dell’area portieri».
Cos’è, per te, l’Individual Soccer School?
«Innanzitutto, è un gruppo di amici. Un ambiente in cui si respira allo stesso tempo leggerezza e serietà, gioia e professionalità. Credo che questo sia il giusto mix che ci ha permesso di diventare la scuola di allenamento individuale migliore in Italia».
Da quando lavori con l’ISS?
«Sono il più anziano, sia di età che di militanza. Ormai sono tredici anni che lavoro con passione e umiltà, mettendomi ogni giorno a disposizione dei nostri ragazzi».
Qual è il tuo ruolo?
«Sono diventato, come detto, il responsabile e il coordinatore di tutte le attività riguardanti i portieri. Cerco di trasmettere ai colleghi più giovani il desiderio di essere sempre utile al bambino, con voglia, dedizione, passione e umiltà, giorno dopo giorno».
Quanto è importante l’ISS per la crescita di un portiere?
«Ho appurato negli anni che ISS è determinante per la crescita dei portieri, in quanto i nostri iscritti hanno il privilegio di essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, a differenza delle società di appartenenza, dove invece si allenano in gruppetti di varia natura. In questo modo i nostri istruttori riescono ad avere una comunicazione immediata e diretta con gli allievi. Bisogna fare in modo che parlino, che si sfoghino, che si confrontino… oltre che preparatori, siamo anche degli amici per loro».
Diamo i numeri: quanti istruttori siete, con quanti portieri lavorate, quali sono le fasce d’età.
«Mi riferisco solo al centro sportivo di Pianezza, in provincia di Torino, dove lavoro quotidianamente: il nostro staff è composto da 5 istruttori, tutti molto bravi e con importanti esperienze alle spalle. In questo momento i portieri iscritti ai percorsi ISS sono 38, abbiamo piccolissimi, adolescenti e anche adulti che vogliono arricchire il loro bagaglio tecnico».
Quali sono le linee guida del tuo lavoro? Non vogliamo svelare i tuoi segreti, ma esiste un metodo?
«Sì, esiste un metodo di lavoro, univoco per tutti gli istruttori, che ci ha dato finora ottimi risultati. Abbiamo cercato di racchiudere all’interno di questo metodo tutte o quasi le nostre esperienze passate, in modo da non lasciare nulla al caso. Senza entrare nei dettagli, la nostra attenzione è sempre rivolta al rapporto con l’allievo, fin dal primo allenamento conoscitivo: cerchiamo di scoprirlo sotto tutti i punti di vista, tecnici e non solo. Ogni nostro portiere ha una sua scheda, un vestito su misura, come facevano i sarti di una volta, un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».
Come ti poni verso l’idea, oggi di gran moda, che vuole i portieri preparatissimi tecnicamente, in modo da utilizzare i piedi in fase di costruzione dell’azione? C’è un modo per allenare questo aspetto?
«Io vado un po’ controcorrente, sono vecchio stampo. Il vero portiere al giorno d’oggi è una categoria in via di estinzione. Secondo me, il portiere prima di ogni cosa deve essere in grado di parare, con tutte le parti del corpo… ma deve saper parare. Io ho avuto la fortuna di lavorare insieme a Claudio Garella, portiere che vinse lo Scudetto prima a Verona, poi con il Napoli di Maradona. Ricordo che mi diceva sempre: “Torniamo a insegnare a questi ragazzi la parata”. Questo non vuol dire che tralasciamo la parte di lavoro che vede interessati i piedi. Anzi, gli ultimi dieci minuti dei nostri allenamenti sono dedicati proprio a questo tipo di principio: il rinvio da fondo, il rinvio di drop, la trasmissione al compagno o la parabola, per esempio. Ma, ripeto, è una questione di priorità: quella del portiere, ovviamente, è parare».
Come si fa ad allenare la testa di un portiere?
«Domanda molto complicata. Noi numeri 1 spesso ci sentiamo da soli per ampi tratti della gara e poi improvvisamente siamo chiamati in causa: se non siamo super concentrati e sempre dentro la partita è un grande problema. Per prima cosa, pretendo che il mio staff parli con l’allievo, per mantenere alta la concentrazione per tutta la durata dell’allenamento attraverso la comunicazione. Cerco di aiutare i ragazzi a vincere la timidezza, a crescere sotto il profilo della fiducia e della consapevolezza. Seguire le loro partite mi aiuta a intervenire anche sulla parte mentale che in gara non mi ha soddisfatto. E qualche piccola malizia da insegnare non mi manca…»
C’è qualche portiere che hai allenato che adesso gioca nel calcio che conta?
«Abbiamo diversi portieri giovani che giocano in squadre professioniste e che avranno le loro chances quando saranno adulti. Tra i volti noti, invece, Alessandro Zanellati del Padova, Alberto Savini che ha una lunga militanza in Lega Pro con Albinoleffe e Fidelis Andria».
Quali sono le virtù che non possono mancare a un portiere professionista?
«Serietà, disponibilità, umiltà, desiderio di lavorare e di fare sacrifici. Passione e amore per questo sport e per questo ruolo. E un pizzico di pazzia».
Chiudiamo con una curiosità. I tre portieri più forti al mondo, secondo te, e i tre giovani su cui scommetteresti per il futuro.
«Neuer, nonostante gli infortuni. Maignan, anche per la mia fede rossonera. E Szczesny, che è quasi sempre puntuale e preciso. Tra i giovani dico tre italiani, che sono già affermati: Vicario, Provedel e Carnesecchi».
ALLA SCOPERTA DEI TALENTI ISS - «Gioco sempre per la squadra, sono veloce e duttile, con ISS sto migliorando nella tecnica e nella personalità» racconta il centrocampista biancoazzurro. La jolly delle Cervotte: «Il mio punto di forza è il dribbling, devo crescere nel carattere. Il mio obiettivo è diventare una calciatrice professionista»
CHRISTIAN CANNILLO: «SOGNO DI GIOCARE NEL REAL MADRID»
Presentati: nome, cognome, annata, ruolo.
«Mi chiamo Christian Cannillo, sono nato il 31 agosto 2010, gioco come centrocampista nell’Atletico Alpignano».
Raccontaci brevemente la tua carriera.
«Ho iniziato a 7 anni al Pozzomaina, dove sono rimasto per una sola stagione, poi ho fatto 5 anni al Lascaris. Quest’estate sono passato al Lucento, ma dopo 6 mesi ho cambiato ancora e ora sono ad Alpignano».
Che tipo di giocatore sei?
«Penso di essere un giocatore generoso e altruista: cerco sempre di aiutare i miei compagni, cerco di fare sempre il meglio per la squadra».
C'è un professionista a cui ti ispiri?
«Vinicius Junior».
I tuoi punti di forza e punti deboli.
«Sono molto veloce e duttile, faccio tanti ruoli, questi i miei punti di forza. Il difetto è che gioco troppo per la squadra e spesso rinuncio alle giocate individuali».
Secondo te qual è la componente più importante per sfondare nel calcio: il fisico, la tecnica, le giuste occasioni o la fortuna?
«La fortuna ci vuole sempre, ma ovviamente conta tutto: fisico, tecnica e personalità».
Chi sono gli allenatori più importanti che hai avuto e perché.
«L’allenatore più bravo che ho avuto è Walter Barbarello, ha insegnato a me e ai miei compagni a ricoprire diversi ruoli in campo».
Perché hai scelto di frequentare l'ISS?
«Me lo ha consigliato il mio primo mister, ho provato e mi è piaciuto molto. Voglio imparare tanto e questo è il posto giusto per farlo».
Da quanto tempo ti alleni con l’ISS e su quali aspetti ti stai concentrando?
«Da 4 anni, mi sto concentrando sulla tecnica».
Trovi di essere migliorato? In cosa?
«Sì, sono migliorato tecnicamente e ho più personalità in mezzo al campo».
Ultima domanda, i tuoi obiettivi nel mondo del calcio.
«Vorrei esaudire i miei sogni: arrivare in serie A e giocare per mia squadra del cuore, il Real Madrid».
REBECCA VULLO: «MI ISPIRO A MESSI E CHIESA»
Presentati: nome, cognome, annata, ruolo.
«Sono Rebecca Vullo, nata il 7 giugno 2013, sono il jolly del Venaria».
Che tipo di giocatore sei?
«Non lo so, faccio un po’ di tutto».
C'è un professionista a cui ti ispiri?
«Messi e Chiesa».
I tuoi punti di forza e punti deboli.
«Il mio punto di forza è il dribbling, il punto debole… magari il carattere».
Secondo te qual è la componente più importante per sfondare nel calcio: il fisico, la tecnica, le giuste occasioni o la fortuna?
«Tutti».
Chi sono gli allenatori più importanti che hai avuto e perché.
«Quello di adesso, Matteo».
Perché hai scelto di frequentare l'ISS?
«Per migliorare la mia tecnica».
Da quanto tempo ti alleni con l’ISS e su quali aspetti ti stai concentrando?
«Da due anni, lavoro per migliorare tutte le componenti che servono per giocare a calcio».
Trovi di essere migliorata? In cosa?
«Sì, sono migliorata nella velocità delle giocate. E anche nel tiro, almeno un po’».
Ultima domanda, i tuoi obiettivi nel mondo del calcio.
«Vorrei arrivare un ottimo livello e giocare come calciatrice professionista. Usando la testa e il carattere, posso le mie compagne e migliorare tutte insieme».
ALLA SCOPERTA DEI TALENTI ISS - Il centrocampista bianconero: «Con l’ISS mi sto concentrando sulla gestione della palla in mezzo al campo. Enzo Friso e Roberto Cellerino i miei allenatori più importanti». Il mancino delle violette: «Con l’ISS sono migliorato in tutto: nel controllo di palla, negli stop, nel tiro, anche nelle rovesciate»
MICHAEL SCHOPFER: «IL MIO PUNTO DI FORZA È GIOCARE A UN TOCCO»
Presentati: nome, cognome, annata, ruolo.
«Michael Schopfer, nato il 25 giugno del 2009, gioco centrocampista al Lascaris».
Raccontaci brevemente la tua carriera.
«Ho iniziato a giocare all’Ivrea all’età di 8 anni, dopo due anni sono passato al Lascaris, dove sono rimasto tre stagioni, due giocando a 9 e una giocando a 11. Quest’anno sono passato alla Strambinese, ma dopo mezza stagione sono tornato al Lascaris».
Che tipo di giocatore sei?
«Mi piace gestire il centrocampo, inventare e organizzare il gioco della squadra».
C'è un professionista a cui ti ispiri?
«Del Piero».
I tuoi punti di forza e punti deboli.
«Il mio punto di forza è giocare a un tocco, per riuscirci devo usare la testa, essere sempre lucido. Devo migliorare nel breve, perché quando mi trovo davanti un avversario rapido faccio fatica a mettere il piede e prendere la palla».
Secondo te qual è la componente più importante per sfondare nel calcio: il fisico, la tecnica, le giuste occasioni o la fortuna?
«Serve tutto».
Chi sono gli allenatori più importanti che hai avuto.
«Enzo Friso e Roberto Cellerino».
Perché hai scelto di frequentare l'ISS?
«Per migliorarmi tecnicamente».
Da quanto tempo ti alleni con l’ISS e su quali aspetti ti stai concentrando?
«Da tre anni, ho lavorato e sono migliorato su tutti gli aspetti del calcio. Ora ci stiamo concentrando sulla gestione della palla a centrocampo».
Trovi di essere migliorato? In cosa?
«Sì, in tutto».
Ultima domanda, i tuoi obiettivi nel mondo del calcio.
«Mi piacerebbe giocare nel professionismo, anche se ci sono tanti ragazzi che pensano la stessa cosa. Vorrei raggiungere l’obiettivo di sfondare, per poi darmene un altro e migliorami sempre».
GIORGIO MICARI: «MI ISPIRO A MESSI, VOGLIO VINCERE ALMENO DUE PALLONI D’ORO»
Presentati: nome, cognome, annata, ruolo.
«Giorgio Micari, sono nato il 25 marzo 2011, faccio l’attaccante».
Raccontaci brevemente la tua carriera.
«A 5 anni ho iniziato a giocare a calcio nell’Auxilium Valdocco, società oratoriale, poi sono stato due stagioni allo Spazio Talent Soccer, una al Lascaris e ora gioco al Cenisia».
Che tipo di giocatore sei?
«Sono veloce, bravo a dribblare. E sono mancino».
C'è un professionista a cui ti ispiri?
«Messi, perché ha le mie qualità. Mi piacerebbe diventare come lui».
I tuoi punti di forza e punti deboli.
«Punti di forza, come dicevo, la velocità e il dribbling. Aggiungo il tiro in porta e la cattiveria agonistica. Punti deboli… ogni tanto forzo le giocate ed esagero».
Secondo te qual è la componente più importante per sfondare nel calcio: il fisico, la tecnica, le giuste occasioni o la fortuna?
«Tutte».
Chi sono gli allenatori più importanti che hai avuto e perché.
«Mio padre, quando mi allenava all’Auxilium mi ha insegnato tutte le basi del gioco del calcio E poi Roberto Virga, che mi ha allenato all’STS, e Mattia Rossi, il mio mister del Cenisia. E ovviamente tutti gli istruttori dell’Individual Soccer School».
Perché hai scelto di frequentare l'ISS?
«Per migliorare».
Da quanto tempo ti alleni con l’ISS e su quali aspetti ti stai concentrando?
«Da due anni, lavoriamo sulla tecnica: stop e ripartenza, la gestione delle palle alte, ora mi sto concentrando sulle finte».
Trovi di essere migliorato? In cosa?
«Si, nel controllo di palla, negli stop, nel tiro, in tutto. Anche nelle rovesciate».
Ultima domanda, i tuoi obiettivi nel mondo del calcio.
«Vorrei giocare per la Nazionale e vincere un Europeo e un Mondiale. Vorrei vincere almeno due Palloni d’oro, e anche la Scarpa d’oro naturalmente».
INTERVISTA - Allenatore e docente del corso su stadi dell’apprendimento e sviluppo coordinativo, Fava racconta il metodo ISS applicato alla scuola calcio: «La tecnica è la componente fondamentale nel calcio, nelle società non si può curare con l’attenzione che ci mettiamo noi. Gli esercizi variano secondo età e capacità, ripetiamo il gesto tecnico con intensità crescente e correzione analitica. Sempre con il sorriso»
Rapporto 1 a 1, ovvero un istruttore per un bambino. Conoscenza approfondita degli allievi stessi, anche dal punto di vista caratteriale. Scomposizione di ogni singolo gesto tecnico, ripetizione con intensità crescente e correzione analitica. Tutto finalizzato alla partita, ma sempre con il sorriso. I dogmi dell’Individual Soccer School, che valgono per tutte le età, vengono però declinati in modo diverso rispetto all’età dell’allievo. Delle annate della scuola calcio si occupa, in particolare, lo “storico” istruttore Federico Fava: a lui abbiamo chiesto come funziona il metodo ISS applicato a quelli che lui stesso definisce i “nanerottoli”.
Federico, inizia a raccontarci di te.
«Mi sono laureato in Scienze motorie, con specialistica sulla gestione tecnico-tattica dell’allenamento, nel lontano 2003. Ho il patentino Uefa C e quello Uefa B, anche se a me non interessa allenare i “grandi”, non mi piace tutto quello che ruota intorno: obbligo del risultato, pressione dei genitori, non fa per me. Preferisco lavorare con la scuola calcio, con i piccoli riesco a creare un rapporto empatico. Sono papà di una bimba di sei anni, mi diverto con i nanerottoli».
Come allenatore hai una lunga carriera.
«Ho iniziato ad allenare a 19 anni, oggi ne ho 45, quindi un po’ di esperienza ce l’ho. La mia carriera è partita dal Borgaro e poi ho allenato in giro per il circondario: Gassino, San Mauro, Settimo, Caselle, Cirié, San Francesco, Mathi, Venaria, Lucento, mi manca solo il Lascaris del mio amico Denis Sanseverino. Ho smesso di lavorare nelle società con il Covid, e mi sono sposato con Giordano Piras ed Enzo Friso (i due responsabili dell’ISS, ndr), con cui collaboravo già prima: ormai per me il calcio è solo Individual Soccer School. Ho iniziato 12 anni fa, facendo il corso di cui adesso sono docente, insegno ai nuovi istruttori gli stadi dell’apprendimento e lo sviluppo coordinativo. Sono uno dei responsabili del centro sportivo di Pianezza e alleno i piccoli, dai 2017 fino ai 2012».
Come mai questa scelta di abbandonare le società e concentrarti solo sull’ISS?
«La mia specializzazione è la tecnica, che ritengo la parte fondamentale del calcio. Ho lasciato le società perché in un’ora e mezza di allenamento è difficile, anzi impossibile correggere singolarmente una decina di ragazzi, in modo da incidere davvero sulla loro crescita. Lo puoi fare, ma non in modo viscerale come nell’ISS. Durante le nostre sedute un ragazzo tocca il pallone tra le cinquemila e le seimila volte e poi calcia in porta per 15 minuti, è tutta un’altra cosa. Da noi si fa quello che purtroppo non si riesce a fare nelle società, a volte per conoscenza e applicazione, in generale per una semplice mancanza di tempo. ISS, nel mondo del calcio, compensa le società in quello che non possono fare».
La tecnica viene prima di tutto, dicevi.
«Il calcio è vario, una squadra si costituisce di elementi molto diversi tra loro. Diciamo che, se non c’è un Gattuso che recupera il pallone, difficilmente Messi o Cristiano Ronaldo farà gol. Ma in generale io sono dell’opinione che almeno il 50 per cento di un giocatore professionista sia fatto dalla tecnica, 25 per cento da altre attitudini come le capacità motorie, fisiche e intellettive, e un altro 25 per cento dalla fortuna. Certo, i Gattuso compensano una percentuale minore di tecnica con altre caratteristiche, ma se non hai confidenza con il pallone, difficilmente giocherai ad alti livelli. Questo è il ragionamento che sta dietro alla scelta di ISS di mettere la tecnica al primo posto nella formazione dei giovani calciatori».
Il tuo corso ai nuovi istruttori, dicevi, si concentra sugli “stadi di apprendimento”. Spiegaci.
«Nel corso di formazione spiego che in base alla “materia prima”, cioè alle capacità e all’età dell’allievo, ci sono diversi stadi di apprendimento. Per prima cosa, dobbiamo mettere l’allievo a suo agio, in modo che abbia un’attitudine all’apprendimento più alta rispetto a quella di un ragazzo stufo, annoiato, spaventato. Il secondo passo è conoscere la “materia prima”: abbiamo una serie di esercizi di prova che toccano le parti principali del calcio, a partire dal dominio palla, che significa avere la capacità muovere l'attrezzo come e dove voglio io. Solo successivamente parliamo con il ragazzo e con il genitore proponendo un percorso personalizzato che si sviluppa in diversi stadi di apprendimento».
Come le classi della scuola, per capirci.
«Esatto. Quando in prima elementare i bimbi imparano a scrivere la lettera A, riempiono le pagine. Se tocchi il pallone un milione di volte, impari a muoverlo come vuoi tu. Non solo: migliore è la correzione, più veloce sarà l’apprendimento del gesto tecnico corretto. Per esempio, frenate e ripartenze vengono proposte con diversi obiettivi: proteggere il possesso della palla, effettuare una giocata, oppure puntare l’uomo. I cambi di direzione, in modo rapido e utile. E ancora la parte estrosa, la materia in cui Giodano è il maestro assoluto. Poi, con la crescita, aumentano le varianti, ad esempio la lettura della traiettoria della palla. Si passa poi dalla tecnica di base all’inizio della tattica individuale, ovvero cosa devo fare per raggiungere un determinato obiettivo. Se voglio andare a destra, il controllo sarà aperto a destra. Ma se c’è un avversario, prima devo fare la finta a sinistra. In base allo spazio e al tempo, decido cosa fare e come muovere il corpo. Gli stadi dell’apprendimento riguardano, da un lato, l’aumento delle variabili e delle difficoltà dell’esercizio; dall’altro, l’aumento dell’intensità, della velocità di esecuzione».
A questo si associa la seconda parte del tuo corso, ovvero lo “sviluppo coordinativo”.
«L’aspetto coordinativo è fondamentale con i bambini piccoli, visto che ormai a scuola ormai è un aspetto che latita. Esistono innumerevoli esercitazioni riguardanti lo sviluppo coordinativo, a partire dal riscaldamento. Una palla in mezzo ai piedi, con tocchi interno-interno, e un’altra palla che gira dietro la schiena come i giocatori di basket. Oppure la scaletta, uno strumento ormai caduto nel dimenticatoio, che noi usiamo per gli esercizi di coordinazione. Anche in questo caso, le proposte cambiano e diventano più complesse con il crescere dell’età e delle capacità. Ai miei tempi, lo sviluppo coordinativo era giocare con gli amici alla tedesca - ve lo ricordate? - che si imparava a calciare al volo. Ora non si fa più, né ai giardinetti né nelle società: per questo motivo è nato l’ISS, fa quelle stesse cose, ma in modo molto, molto più professionale, grazie a un’esperienza ormai di tredici anni».
Per concludere, ti chiederei di raccontarci come funziona una seduta di allenamento.
«Un’ora alla massima intensità possibile. Si parte dall’attivazione, il riscaldamento coordinativo con due attrezzi, sempre diversi. Per esempio, due palloni, così dimostriamo che anche noi uomini sappiamo fare due cose contemporaneamente: è una battuta, durante l’allenamento ne faccio tante, perché il sorriso non deve mai mancare. Poi ci si concentra sull’obiettivo della seduta, per esempio frenata e trasmissione della palla, con un esercizio breve ma ripetuto: conduco il pallone, freno alla prima asta, scarico il pallone, andando avanti così finché non risulti pressoché perfetto. Perché ISS ricerca la perfezione e chi frequenta ISS pretende la perfezione. A quel punto, aggiungiamo un elemento: conduzione, frenata e passaggio, come prima, ma poi vado incontro al mister che mi restituisce il pallone, lo faccio passare in mezzo alle gambe e lo arresto subito. In termini tecnici, passiamo da “frenata in conduzione” con palla conosciuta, a “frenata con passaggio” con palla sconosciuta, perché è il mister a gestire la velocità e la direzione del passaggio. Poi, aggiungiamo un elemento estroso, una finta, perché è giusto che i bambini conoscano anche la parte fantasiosa del calcio. Così si compone l’esercizio con il procedere la seduta. Gli ultimi 15 minuti sono dedicati al tiro in porta a conclusione dell’esercitazione fino ad allora impostata: corsa, frenata, passaggio, vengo incontro, tunnel e calcio in porta. E qui si ricomincia, perché un’alta percentuale del cervello sarà concentrata sul tiro e l’esercizio verrà fatto peggio: quindi correzione analitica per migliorare di nuovo, con concentrazione massima, quanto basta finché diventi perfetto. Solo durante gli ultimi 2/3 minuti scarichiamo la tensione e la fatica accumulate, propiniamo una sfida, calciamo al volo, ma sempre con attenzione al gesto tecnico: anche la parte ludica è sempre formativa, educativa».
Un metodo che piace.
«Sicuramente è un metodo che ci rende unici: non solo rispetto alle società, ma anche alle altre scuole individuali nate negli ultimi anni. Siamo qualcosa di unico e diverso. Se piace, lo dicono i numeri: l’80 per cento dei nostri allievi entra e rimane nella famiglia dell’Individual Soccer School per anni: questo sì, ci rende orgogliosi».
INTERVISTA - Ex istruttore ISS, segue la parte atletica e motoria delle categorie dall'Under 9 all'Under 15: «C'è tanta attenzione per gli aspetti difensivi e la riconquista del pallone, l'intensità e la fisicità sono molto alte, ma l'aspetto tecnico è visto come l'arma in più, la chiave per fare un ulteriore salto di qualità»
Luca, raccontaci di te.
«Sono nato e cresciuto nella provincia di Trento, ho studiato scienze motorie a Verona e attualmente svolgo il ruolo di allenatore e preparatore atletico nel settore giovanile del FSV Mainz 05, in Germania».
Cosa spinge un giovane a fare le valigie, cambiare nazione, cultura e abitudini e a tuffarsi in una nuova avventura?
«Principalmente la curiosità. Nel corso dell’ultimo anno di università è maturata in me la necessità di fare un'esperienza diversa, che in altre circostanze forse non avrei più fatto, e ho colto al volo la possibilità di studiare all'estero. Da qui la volontà di tuffarmi in un’avventura che mi portasse a contatto stretto con le mie passioni, il calcio e la preparazione atletica».
Al netto del comprensibile entusiasmo che hai provato nel passaggio dall'Italia alla Germania, quali sono state le difficoltà nel trovarti in una differente cultura sportiva?
«La lingua è stata sicuramente un ostacolo importante. L'incapacità iniziale di esprimermi appieno, con facilità e scioltezza, mi ha messo alla prova e portato ad adottare nuove strategie comunicative. L'approccio a un diverso modo di organizzare e pianificare le sedute di allenamento mi ha costretto a rivedere alcuni schemi codificati che avevo imparato in Italia, e ad adattarmi in fretta, anche in maniera positiva».
Quali le differenze più significative che hai riscontrato tra il calcio giovanile italiano e quello tedesco?
«La prima riguarda l'organizzazione: c'è un programma molto strutturato e rigoroso dell'allenamento, con una suddivisione coerente delle competenze e degli incarichi in ogni momento dell'allenamento: cosa fa e cosa corregge il preparatore atletico, l'allenatore in seconda, eccetera. Questo è molto in linea con una cultura dell'ordine e della disciplina tipica dei tedeschi. La suddivisione dei ruoli dà a ogni membro dello staff un suo spazio e una sua responsabilità, permettendo di avere un approccio globale alla seduta. Dal punto di vista calcistico, ho riscontrato una forte attenzione agli aspetti difensivi, che vengono allenati con una forte componente emozionale. Tutta la squadra è coinvolta nella fase di non possesso e le esercitazioni sono orientate a questo aspetto di lavoro collettivo. Il tema della ri-aggressione dopo la perdita del pallone costituisce un momento chiave - la cosiddetta transizione - che, se ben sfruttato, può generare un’interessante situazione offensiva. L'intensità è molto alta, il contatto fisico ricercato, la fisicità e l'atletismo delle qualità che il giocatore deve avere per poter giocare ad alti livelli».
Hai qualche consiglio da proporre per i vivai italiani?
«Non sono così preparato sul tema, per poter dare dei consigli esaustivi. Credo sia fondamentale partire dalle strutture, investire sulle strutture è un fattore imprescindibile per alzare la qualità del prodotto. A questo va aggiunta la necessità di investire sul personale, credendo nella competenza delle diverse figure professionali che ruotano nel mondo del calcio giovanile (allenatori, preparatori, fisioterapisti, psicologi dello sport, eccetera) e tutelandole a livello lavorativo ed economico».
La tecnica individuale trova spazio negli allenamenti di una società come il FSV Mainz 05? In caso positivo, come viene affrontata?
«La tecnica individuale è parte integrante dell'allenamento e costituisce una fetta importante della programmazione annuale. Per ogni categoria di età vengono stabiliti degli obiettivi tecnici da raggiungere e per questo viene dedicato uno spazio pari a circa il 25 % dell'allenamento totale settimanale. Il lavoro sugli obiettivi viene eseguito sia a livello collettivo, analitico e in piccole situazioni, ma anche a livello del singolo. Nell'allenamento individuale, spesso svolto prima dell'allenamento di squadra, il focus si incentra maggiormente sulle lacune del singolo giocatore. Non è inusuale, però, lavorare per migliorare anche qualità già presenti e consolidate, per affinarle maggiormente».
Negli ultimi anni la Nazionale maggiore tedesca ha visto un profondo rinnovamento, dando spazio a giovani di talento dotati di ottima tecnica. Come e avvenuto questo passaggio e quanto è stato difficile attuarlo?
«È un processo in evoluzione da molti anni. La federazione tedesca si è resa conto che una maggiore attenzione su aspetti fisici-atletici non era pensabile. Il livello di intensità si è alzato così tanto negli ultimi dieci anni che un ulteriore step non sarebbe stato più pensabile. L'aspetto tecnico è stato visto come quell'arma in più, quella chiave per fare quell'ulteriore salto di qualità. Infatti, a parità di condizione e prestanza atletica, chi meglio sa gestire gli aspetti tecnici (quindi minimizzare gli errori, soprattutto ad alta velocità di esecuzione) ha più probabilità di aver successo».
Pensi sia possibile nel nostro paese proporre e affrontare un cambiamento così radicale?
«Credo che siamo nel momento storico giusto per pensare di rivedere alcuni processi e capire quali siano gli ingranaggi da riparare, o quali da sostituire completamene. Un cambio radicale non è mai facile, ma una bella opera di revisione è più che necessaria».
Infine, parlaci del tuo futuro: sempre in terra tedesca oppure prevedi un ritorno in patria?
«La Germania mi ha dato la possibilità di fare della mia passione il mio lavoro. Mi trovo bene, ho creato un legame forte con la società, i colleghi e la città. La mia figura professionale è tutelata e valorizzata, e questi sono presupposti che l'Italia al momento non riesce a garantirmi. Il mio obiettivo è comunque quello di tornare in patria prima o poi e aiutare, con l'esperienza maturata, il movimento del nostro paese a crescere».
CHI E' LUCA SALTUARI
Luca Saltuari ha giocato a livello dilettantistico fino all'età di 23 anni, allenando parallelamente la scuola calcio del Lavis (suo paese di nascita, a 12 chilometri da Trento). Nel 2015 ha conseguito la laurea in Scienze motorie all'Università di Verona. A seguito di una borsa di studio Erasmus in Germania, è entrato in contatto con la prima squadra del Fürth (serie B tedesca). Successivamente, è stato chiamato dal Mainz per seguire la parte atletica e motoria delle categorie dall'Under 9 all'Under 15, incarico che ricopre tuttora. Prima di trasferirsi all'estero, Luca è stato un istruttore ISS.
INTERVISTA - Il metodo ISS spiegato nel dettaglio: «Partiamo dalla conoscenza del giocatore e arriviamo fino alle situazioni di gioco. Non promettiamo la Serie A, ma formiamo calciatori completi sotto tutti i punti di vista. Sempre con il sorriso»
«Qualche anno fa abbiamo allenato un ragazzo con disprassia, una condizione che causa difficoltà nelle capacità motorie e nella coordinazione, in buona sostanza faceva fatica a combinare più gesti contemporaneamente. A lui piaceva giocare a calcio, ci aveva contattato la sua psicologa che aveva visionato alcuni nostri video. Noi abbiamo studiato, ci siamo aggiornati per essere all’altezza e per fornirgli un aiuto. Insieme abbiamo fatto un percorso di più di due anni: oggi questo ragazzo gioca in Eccellenza, ha fatto anche il professionista in serie C. Il papà ci ha girato, qualche tempo dopo, una lettera del figlio, Tommaso: gli scriveva che, avendolo affidato a noi, gli aveva ridato la vita. Mamma mia che emozione…»
Vincenzo Friso ha lo sguardo fiero quando racconta questo aneddoto. È una delle tantissime storie, per quanto particolarmente significativa, che hanno caratterizzato i 13 anni dell’Individual Soccer School, il centro di formazione e perfezionamento tecnico calcistico che dirige insieme a Giordano Piras (qui la sua intervista). Oggi la ISS ha 20 sedi in tutta Italia e tre poli oltre i confini nazionali, si avvale di 80 istruttori e allena almeno tremila ragazzi e ragazze ogni anno. «Sono numeri molto importanti, che speravamo un giorno di raggiungere - continua Friso - ma non è questo l’aspetto principiale. Ogni ragazzo è una storia a sé, una sua eccezionalità e come tale la trattiamo. Se ogni nostro allievo non si sentisse unico, non potremmo mai avere questi risultati».
Enzo, raccontaci come funziona il metodo dell’Individual Soccer School.
«Alla base del nostro metodo c’è il rapporto 1 a 1, ovvero un istruttore per un allievo. Rispetto a tutte le altre realtà, individuali e non, ci differenziamo per la scomposizione e per la correzione analitica di ogni singolo gesto tecnico: si va dall’aspetto coordinativo al dominio della palla, alla sensibilità del piede e della caviglia, transitando attraverso tutto ciò che comprende la tecnica di base. Tutto, sempre e comunque, in funzione delle situazioni che gli allievi ritroveranno in partita: non formiamo freestyler, ma giocatori di calcio completi. Alleniamo i nostri piccoli e grandi calciatori e calciatrici affinché acquisiscano alla perfezione quel determinato gesto tecnico da riproporre in gara sotto pressione, in uno stadio colmo di gente, con l’avversario che ti attacca e ti tira la maglia e cerca in tutti i modi di rubarti la palla, su un terreno di gioco sintetico o in erba, eccetera».
Sempre rapportandovi alla singolarità dell’allievo.
«Quello è il punto da cui un istruttore formato ISS parte; noi abbiamo il compito di riconoscere i nostri allievi il meglio possibile, nel minor tempo possibile e sotto tutti i punti di vista: caratteriale, fisico e tecnico, ovviamente, ma anche sociale per esempio. Dobbiamo saper dimostrare tutte le gestualità tecniche e infine dobbiamo saper correggere e trasmettere la correzione all’allievo. Questo aspetto, insieme alla scomposizione del gesto, ci ha permesso di creare un notevole gap tra ISS e tutte le altre scuole di tecnica individuale. Nel percorso di formazione cui devono sottoporsi tutti i nostri istruttori, l’approccio psicologico è fondamentale, perché bisogna trovare la chiave giusta per entrare in contatto con ogni ragazza e ogni ragazzo. Per semplificare, c’è chi ha bisogno di essere gratificato, chi ha bisogno di essere stimolato attraverso un rimbrotto, chi invece ha bisogno semplicemente di leggerezza. Gli psicologi sostengono che un allenamento individuale, non solo di calcio ovviamente, ma di uno sport di cui si è appassionati, aiuta per esempio bambini con il disturbo dell’attenzione, o con balbuzie e altre difficoltà; ne abbiamo avuto numerose prove pratiche in questi anni. Noi comunque insegniamo calcio ed è questo che facciamo sei giorni su sette a settimana e dodici mesi all’anno».
Il lavoro, quindi, parte dallo scouting.
«Esatto, prima di tutto facciamo un attento scouting del ragazzo per valutare le principali lacune su cui intervenire. L’aspetto coordinativo viene prima di tutto: movimento, corsa, postura e gestualità sono fondamentali per la crescita di un bambino che si affaccia al calcio. Immediatamente dopo curiamo la tecnica analitica, il nostro dogma: per l’ISS la tecnica viene prima di tutto. Chiunque frequenti i nostri corsi mette in pratica tutto ciò che apprende dalla dimostrazione dell’istruttore, inizialmente a velocità ridotta; dopo aver ripetuto più e più volte il gesto tecnico e averlo acquisito lo ripeterà a più alta intensità fino a sfiorare o a raggiungere i ritmi che dovrà reggere durante una gara. Dopodiché, magari mesi o anche anni dopo, c’è il grande passaggio, che conoscono in pochi, alla tecnica di ruolo e alla tattica individuale, ovvero tutte quelle esercitazioni tecniche sviluppate individualmente in funzione del ruolo o della zona di campo che il calciatore ricopre nel proprio club di appartenenza».
Spiegaci meglio.
«Oramai la maggior parte degli addetti ai lavori scompone il gesto tecnico per insegnarlo e perfezionarlo, dall’inizio alla fine. Noi invece eseguiamo il percorso inverso, partendo dalla fine, dalla partita, per poi tornare indietro e scomporlo fino all’ultimo elemento, fino a quando non è più scomponibile. Prendiamo il gesto visto fare in partita da un campione nel migliore dei modi e lo scomponiamo fino alla base. È un processo inverso. Sempre con lo stesso concetto, non insegniamo la gestualità fine a sé stessa, ma sempre in funzione di qualcosa che succederà dopo come un passaggio, un dribbling, un tiro o un movimento dì un compagno o di un avversario».
Con una correzione analitica del gesto, dicevi.
«Prima di ogni cosa viene la capacità di dimostrazione del gesto da parte degli istruttori, perché l'esperienza insegna che un ragazzo apprende più velocemente se vede eseguito più volte il gesto correttamente e a sua volta lo ripete innumerevoli volte. Qui subentra la correzione analitica, fino al dettaglio, finché il gesto non è perfetto, con interventi che noi definiamo ‘paranoici’».
Obiettivo finale?
«La nostra ‘conditio sine qua non’ è la capacità di allenarsi intensamente con un bel sorriso stampato in volto. Lavorare con noi, perché di lavoro si tratta, deve essere uno stimolo a migliorarsi e un piacere. L’obiettivo degli allievi deve essere quello di ottenere il massimo da se stessi: noi non promettiamo la Serie A ai nostri ragazzi, ma nemmeno la Serie B o la Lega Pro, questa ormai è una cosa che ci contraddistingue e ci dà credibilità da anni. ISS educa prima di tutto e disciplina, cresce e forma calciatori completi sotto tutti i punti di vista. Dove arriveranno? Non lo so, ma saranno calciatori completi. Poi, fortunatamente, qualcuno che arriva in Serie A c’è…»
INTERVISTA - Cresciuto nel Torino, esploso nel Chisola, il centrocampista classe 2002 gioca da titolare in serie B con la Reggiana, in prestito dalla Fiorentina: «A tutti i ragazzi che desiderano migliorarsi io consiglio i corsi di tecnica individuale: a me sono serviti molto. All’esordio con la Fiorentina ho pensato che i sacrifici miei e della mia famiglia incominciavano ad essere ripagati»
Titolare in serie B con la maglia della Reggiana, dove è arrivato questa estate in prestito dalla Fiorentina, Alessandro Bianco, classe 2002, sta vivendo la stagione della consacrazione in ambito professionistico. Tecnica, senso della posizione e capacità di inserimento ne fanno uno è uno dei centrocampisti più interessanti del panorama italiano, come già capito da Roberto Mancini (uno che di giovani se ne intende) che a fine 2022 lo aveva convocato per lo stage dedicato ai calciatori di interesse nazionale.
Nel suo percorso di formazione, Alessandro Bianco si è allenato con l’Individual Soccer School, la scuola di perfezionamento calcistico diretta da Giordano Piras ed Enzo Friso. Riproponiamo la sua intervista, realizzata per l’ISS Magazine di luglio 2022.
Alessandro, fino a 15 anni hai giocato nelle giovanili del Torino: che cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Sicuramente giocare già da piccolo in una squadra professionistica, dove il livello di competizione è alto, ti fa capire l'importanza di essere sempre “sul pezzo”, perché da un momento all'altro potesti perdere il posto».
Successivamente, il Toro non ti ha confermato: cosa pensi che mancasse in quel momento della tua carriera?
«Non ero strutturato fisicamente: il divario con ragazzi già sviluppati era importante. Io volevo giocare e quell’anno rischiavo di essere impiegato poco».
Hai avuto l’umiltà e la tenacia di ricominciare dal Chisola e con costanza hai continuato a inseguire il tuo sogno arrivando in serie A: cosa consigli a chi pensa che la carriera sia finita a 15/16 anni, se si è esclusi dall'ambito che conta?
«In quel momento volevo solamente divertirmi, perché era una cosa che mi mancava da qualche anno. Avevo già qualche amico nel Chisola e sapevo che nell’ambito dei dilettanti erano i più forti: non ci ho messo tanto a decidere di andare in quella società. Per quanto riguarda la domanda, penso che se un ragazzo ha delle qualità non debba mai mollare, perché presto o tardi, perseverando e con un briciolo di fortuna, si può arrivare ad avere molte soddisfazioni».
Sei stato premiato al Gran Galà del Calcio come miglior giocatore Primavera 2020-21: cosa pensi del poco spazio che i giovani talenti italiani hanno in prima squadra?
«È stato un grandissimo piacere ricevere quel riconoscimento. Penso sia necessario avere più coraggio nell'utilizzare i giovani, anche nel farli sbagliare, come è giusto che sia. Sta a noi dimostrare il nostro valore sul campo».
Quando hai fatto il tuo esordio con la Fiorentina, in Coppa Italia nella partita contro il Cosenza, cosa hai provato al momento di entrare in campo?
«È stata una bellissima emozione, una vera e propria scarica di adrenalina: ho pensato che tutti gli sforzi fatti da me e dalla mia famiglia stavano iniziando ad avere un ritorno positivo».
Hai una tecnica pregevole, questo te lo riconoscono tutti. Per ottenere questo risultato hai lavorato anche a livello individuale. Sulla base della tua esperienza ritieni sia praticabile il perfezionamento tecnico tra i professionisti?
«Assolutamente sì: oggi nei settori giovanili si predilige la tattica alla tecnica. Quindi o sei “naturalmente” dotato, oppure rischi di arrivare al momento decisivo ancora acerbo sotto il profilo tecnico. A tutti i ragazzi che desiderano migliorarsi io consiglio i corsi di tecnica individuale: a me sono serviti molto».
LA CARRIERA
Centrocampista centrale, abile tecnicamente e dotato di un ottimo senso della posizione, bravo nell'impostazione del gioco e negli inserimenti, Alessandro Bianco (torinese classe 2002) gioca nella Reggiana, in serie B, in prestito dalla Fiorentina, che lo ha preso nel 2018 dal Chisola.
Con la viola ha vinto tre edizioni consecutive della Coppa Italia Primavera e una Supercoppa Primavera. Convocato per la prima volta in prima squadra nel febbraio del 2021, ha fatto il suo esordio tra i professionisti il 13 agosto, nell'incontro di Coppa Italia vinto per 4-0 contro il Cosenza. Nella stagione 2022-2023 viene inserito stabilmente in prima squadra. Gioca per la prima volta in Europa, il 6 ottobre 2022 nella gara di Conference League vinta a Edimburgo contro l'Heart of Midlothian, e in serie A, il 4 gennaio 2023, schierato come titolare dall’allenatore Vincenzo Italiano nel pareggio casalingo contro il Monza (1-1); in tutto colleziona 14 presenze, di cui 7 in serie A. In estate, passa in prestito per una stagione alla Reggiana, in serie B, dove sta giocando da titolare.
In nazionale, Bianco vanta una presenza in Under 18 e 5 in Under 20, con cui ha vinto il Torneo 8 Nazioni. A fine 2022 è stato convocato da Roberto Mancini per lo stage dedicato ai calciatori di interesse nazionale, che si è tenuto da martedì 20 a giovedì 22 dicembre a Coverciano.
INTERVISTA - Oltre alla sede centrale del Musiné Sport Village di Pianezza, la ISS ha 20 sedi in tutta Italia e qualche punto all’estero, si avvale di 80 istruttori e allena almeno tremila ragazzi e ragazze ogni anno. Il segreto? «Il nostro metodo di allenamento che ti porta fino alla partita, la correzione analitica del gesto, la voglia costante di crescere e migliorarsi» spiega Piras, che gestisce la scuola insieme a Enzo Friso
Due settimane fa, precisamente il 10 settembre 2023, l’ISS - Individual Soccer School ha festeggiato il suo 13esimo compleanno. «Quando siamo partiti, tutti mi dicevano “tanto non funziona”. E invece siamo ancora qui, abbiamo 20 sedi in Italia e qualche punto all’estero, in cui lavorano più di 80 istruttori e si allenano almeno tremila ragazzi e ragazze all’anno». Numeri impressionanti, che raccontano la crescita della scuola di perfezionamento individuale gestita da Giordano Piras ed Enzo Friso, che ha la sua sede centrale al “Musinè Sport Village” di Pianezza: «Oggi siamo un modello vincente».
Giordano, facciamo un po’ di storia. Raccontaci come è nato l’ISS.
«Ho iniziato a fare allenamenti individuali con Alberto Lampo, Rita Guarino, Patrizio Sala e Teo Coppola, mio amico d’infanzia, in quella che è stata la prima scuola in tutta Italia a insegnare calcio a livello individuale, la IFC. Questo mondo mi ha subito affascinato, per cui ho deciso di aggiornarmi e sono andato in giro per l’Europa per vedere come lavoravano e capire cosa mancava qui in Italia: Real Madrid, Barcellona, Ajax, Porto, sono andato a studiare dai migliori. E ho visto migliaia di video di gesti tecnici, cercando di capire come scomporre, e quindi come insegnare, ogni singolo gesto. Quello che oggi si vede nei video su Instagram e Tik Tok, noi lo facciamo da sempre. Siamo partiti con l’Individual Soccer School 13 anni fa, sul campo di Tetti Neirotti a Rivoli, eravamo io, Dennis Sanseverino e Tatiana Zorri. Enzo Friso è entrato un paio di anni dopo, oggi siamo noi due i responsabili dell’ISS. Da due anni abbiamo aperto anche l’ISS Women, progetto cui crediamo molto e che ci sta dando grandi soddisfazioni».
Dove si trovano le sedi dell’Individual Soccer School?
«Già nel 2011 siamo entrati al “Musinè Sport Village” di Pianezza, questa è la nostra casa, qui nascono e si sviluppano le nuove idee, qui teniamo i corsi per i nostri istruttori, oltre a fare tantissimi allenamenti individuali. Ma ci siamo diffusi in tutta Italia: abbiamo quattro sedi in Lombardia, tre in Veneto di cui una dedicata al femminile, due in Trentino, due in Alto Adige, una in Emilia-Romagna, in Liguria e in Valle d’Aosta, poi due in Sardegna e altre quattro in Sicilia. E poi abbiamo delle sedi all’estero, una fissa in Francia a Quimper, altre itineranti dove andiamo a fare campus che durano un paio di mesi, in Repubblica Ceca e in Australia».
Prossime tappe?
«Le prossime aperture saranno a Roma e negli Stati Uniti, una sede fissa nel Tennessee: ci siamo quasi, ma ne parleremo a tempo debito. E continuiamo, io ed Enzo, ad andare in giro per rimanere aggiornati: i prossimi viaggi in programma sono al Manchester City, al Mainz dove un nostro ex istruttore - Luca Saltuari - è diventato responsabile dell’attività di base, e al Red Bull Salisburgo, loro sono avanti anni luce. La ricerca e la formazione continua sono uno dei nostri segreti».
Diamo i numeri: quanti istruttori, quanti allievi.
«Difficile fare un conto preciso, perché c’è grande turnover. Diciamo che attualmente utilizziamo almeno 80 istruttori tra tutte le nostre sedi, la cosa importante è che sono tutti formati nella nostra scuola. Devono conoscere perfettamente il metodo di lavoro e la filosofia di ISS prima di scendere in campo con i ragazzi. Contare gli allievi è ancora più difficile: nell’arco di una stagione, tra i percorsi stagionali di allenamento, gli stage invernali ed estivi, gli eventi, girano nel mondo ISS almeno tremila bambini e ragazzi. In 13 anni saranno stati 25mila in tutto, visto che all’inizio erano un po’ meno».
Come si spiegano questi numeri clamorosi, qual è la differenza tra la vostra e le altre scuole di allenamento individuale, che ormai sono tantissime?
«Noi insegniamo la gestualità in una progressione che ti porta fino alla partita. Il nostro metodo non è fine a sé stesso, ma ti porta nelle situazioni di gioco. Insegniamo il gesto tecnico in rapporto alle situazioni che si possono creare in partita: se ti attaccano da una parte o dall’altra, se ti tirano la maglia, se ti saltano sopra… Tutti scompongono il gesto tecnico per insegnarlo e perfezionarlo, dall’inizio alla fine. Noi invece partiamo dalla fine, dalla partita. Prendiamo il gesto visto fare in partita e lo scomponiamo fino alla base. Non è facile da spiegare a parole, è molto più chiaro sul campo, ma questa è la base della nostra metodologia. Utilizziamo, come altri, il metodo 1 contro 1, un istruttore per un giocatore, ma ci differenziamo per la correzione analitica del gesto, fino al dettaglio: come toccare la palla, il movimento del corpo, sempre - ripeto - in rapporto alla partita».
La concorrenza in costante aumento vi disturba?
«No, anzi, per noi è un bene: più scuole ci sono, più crescono i nostri numeri. Tutti i ragazzi ormai vogliono fare gli individual e i nostri allievi continuano ad aumentare. Bene così».
In questi 13 anni, com’è cambiato il lavoro dell’Individual Soccer School?
«A livello tecnico ovviamente ci siamo evoluti e continuiamo ad evolverci giorno dopo giorno, quando non saremo più curiosi e non avremo nuove idee, sarà il momento di smettere. La filosofia di fondo, ovvero insegnare calcio, gesto tecnico e tattica, a livello individuale, rimane la stessa, ma perfezioniamo ogni giorno il nostro metodo, che ci permette di ottenere risultati soddisfacenti dentro e fuori dal campo. I cambiamenti più grandi ci sono stati dal punto di vista organizzativo, siamo passati da 3 istruttori e 13 bambini a quello che siamo adesso…»
E come sono cambiati, in questo decennio, i giovani calciatori e i loro genitori?
«I ragazzi, che prima veniva per imparare a giocare a calcio, adesso vengono perché vogliono diventare giocatori professionisti. La media nazionale dice che ce la fa uno ogni 13mila. Da noi la media è un po’ più alta, visto che ne contiamo una ventina sui 3mila di cui parlavamo prima, ma il discorso non cambia: noi garantiamo il miglioramento dei nostri allievi, non certo che diventino professionisti. Migliorare dà sicurezza, autostima, aiuta nei rapporti con i compagni di squadra, fa crescere non solo nel calcio ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Nei nostri allenamenti il cervello lavora velocemente, devi ricordare un sacco di gesti e di movimenti, devi credere in te stesso. Ma non vendiamo illusioni: tanti ragazzi credono che venendo da noi diventeranno professionisti, ma non è così».
E i genitori?
«Il discorso è simile. Tanti pretendono troppo dai figli, mettono loro una pressione che li condiziona e li spaventa. Comunque, non bisogna mai dimenticare che il calcio è un gioco».
INTERVISTA - Il difensore centrale della Salernitana, cresciuto nell’Inter, racconta il suo periodo di allenamenti con l’Individual Soccer School: “Per un anno intero ho seguito quante più lezioni individuali possibili, fatto determinante per il mio percorso: a un anno di distanza dalla delusione del provino fallito al Como, sono stato contattato dall’Inter”
Quanto hai dovuto impegnarti (non solo in senso sportivo ma anche nella vita privata) da bambino e da adolescente per arrivare al tuo attuale livello di gioco?
“Non si ottengono risultati senza impegno e il mio caso non fa eccezione: soprattutto nel periodo dell'adolescenza risultava evidente come il mio stile di vita fosse molto lontano da quello dei miei coetanei. Ho dovuto fare numerosi sacrifici per inseguire il mio sogno ma non posso assolutamente dire che sia stato un peso: stavo seguendo la mia passione”.
Un suggerimento ai giovani che approdano al professionismo?
“Il consiglio che posso dare è di seguire il mio percorso: da ragazzino giocavo per l'Under 13 del Luciano Manara (Lecco), anche in seguito al lavoro svolto con l'ISS, mi sono ritrovato a disputare il campionato regionale Giovanissimi con l'Inter. Un salto importante: i primi tempi ero un po' titubante, tuttavia la consapevolezza che l'Inter aveva visto in me delle qualità mi ha permesso di lasciarmi alle spalle le insicurezze e giocare senza preoccupazioni”.
Qual è il carico di lavoro che ti permette di affrontare la Serie A e l'Under 21?
“È importante: tra gli impegni di club e gli incontri della Nazionale abbiamo in calendario moltissime partite. Diventa fondamentale gestire gli allenamenti. Fortunatamente siamo affiancati da professionisti in grado di prepararci al meglio per scendere in campo nelle migliori condizioni possibili. Sempre”.
Che cosa ha rappresentato per te l'ISS? Raccontaci in breve il tuo percorso all'interno della scuola.
“Per me l'ISS ha costituito un punto di svolta: sono arrivato in questa realtà nel periodo in cui giocavo per il Luciano Manara ed ero appena stato scartato dal Como. Venivo da questa piccola delusione e avevo voglia di riscattarmi: IISS mi ha permesso, tramite un lavoro molto intenso e personalizzato, di allenarmi ben più delle 2-3 volte a settimana richieste dalla mia squadra; ciò mi ha dato la possibilità di crescere rapidamente. Per un anno intero ho seguito quante più lezioni individuali possibili, fatto determinante per il mio percorso: a un anno di distanza dalla delusione di Como sono stato contattato dall’Inter”.
Hai trovato differenze tra Primavera, serie B e poi serie A?
“Le differenze sono sicuramente molte: l'intensità del gioco e la qualità delle squadre sono i primi aspetti che saltano all'occhio. Quando inizi a muovere i primi passi tra i “grandi”, il cambio dal settore giovanile alla prima squadra è molto impattante: si gioca per i punti. Anche con la squadra Primavera è importante vincere ma quando rappresenti una città, una tifoseria. le pressioni aumentano in modo esponenziale. E tutto questo, a mio avviso, ha un effetto molto positivo per la crescita di un giovane calciatore”.
Cosa si prova nel vestire la maglia azzurra?
“È probabilmente l’obiettivo più ambizioso di ogni calciatore italiano. lo ho avuto la fortuna e la bravura di riuscire a vestirle tutte: dall'Under 15 all'Under 21. Il sogno più grande è evidentemente quello di poter indossare la maglia della Nazionale maggiore e rappresentare così l’Italia intera”.
CARRIERA
Lorenzo Pirola (Carate Brianza, 20 febbraio 2002), difensore centrale di piede mancino, gioca nella Salernitana ed è un punto fermo della Nazionale Under 21 italiana. Cresciuto nelle giovanili dell’Inter, nella stagione 2019/2020 viene aggregato alla prima squadra guidata da Antonio Conte e debutta il 16 luglio 2020, a 18 anni, contro la Spal. Quindi va in prestito al Monza per due stagioni: 16 presenze il primo anno, solo 10 nella seconda, segnata da numerosi problemi fisici. Nella stagione 2022/2023 gioca con la Salenitana, dove colleziona 26 presenze e 2 gol, tanto da meritarsi il riscatto da parte del club campano per 5 milioni di euro. Ha giocato in tutte le nazionali giovanili, in Under 21 già 12 presenze e 2 gol.
INTERVISTA - Torino, Roma e Pinerolo le tappe più importanti della carriera della calciatrice, nota anche per la partecipazione come cantante all'undicesima edizione del programma “Amici” di Maria De Filippi. "La tecnica individuale è legata alla tattica, allo stare in campo. Ritengo che un giocatore possa evolvere solo se è “pensante” ovvero in possesso dei meccanismi cognitivi che permettono di fare la cosa migliore in un preciso momento”
Comincia col raccontarci qualcosa di te...
“Ho iniziato a giocare a pallone da piccola subentrando - per così dire - a mio fratello. Nostro padre è amante del calcio e sperava che mio fratello lo praticasse: tuttavia non aveva grandi qualità anzi, poveretto, piangeva agli allenamenti... Un giorno durante una gara di palleggi vengo notata da Franco Mancuso, mister del Cenisia di Torino, che mi fa entrare nella squadra maschile. Da quel momento ho iniziato a salire di livello nei settori giovanili, sempre maschili. A 14 anni finalmente mi ha chiamato il Torino femminile: lì sono sorte le prime difficoltà dato che ho iniziato a giocare con calciatrici molto più grandi di me.
Tuttavia, ho vinto 3 scudetti Primavera, viatico che mi ha condotto in prima squadra come titolare. Ho giocato così al fianco di Marta Carissimi, Patrizia Panico, Ilaria Pasqui, Tatiana Zorri, Emanuela Tesse, tutte giocatrici top di quel periodo. È arrivata quindi la convocazione in Nazionale (prima Under 15, poi Under 19). Dopo un primo anno di Campionato Europeo seguono una seconda e una prima piazza tra lo stupore generale. Penso di dovere tutto alla esperienza fatta nei sei anni con il Torino, dove ho giocato al fianco di tante calciatrici di alto livello. In seguito, mi sono trasferita alla Roma dove ho fatto tre campionati, vincendo uno scudetto, assieme ad atlete di grande talento come Alessia Tuttino e Ilaria Pasqui".
Parlaci del tuo incontro con Tatiana Zorri, prima come calciatrice e successivamente come tua allenatrice.
“Pur se giovanissima ero appena arrivata in una società di Serie A: da novellina, ti tocca portare i palloni, pulire le scarpe e... andare a sventolare la sciarpa della società all'arrivo all'aeroporto di un nuovo giocatore importante. Così, con tutto lo staff siamo andati ad accogliere Tatiana Zorri. Da come me l'avevano descritta mi aspettavo di vedere una donna possente: invece mi sono trovata di fronte una ragazza minuta minuta. Una volta in campo, era veramente di una categoria superiore. Durante una delle prime partite giocate insieme lei fece un fallo da cartellino rosso, l'arbitro non capendo la dinamica espulse me senza che nessuno prendesse le mie difese. In quel momento capii che lei era Tatiana Zorri, io una ragazzina agli esordi. In ogni caso, Tatiana è sempre stata una calciatrice molto umile, che non ha mai fatto pesare il suo standing: poche chiacchiere e molti fatti. La rosa di quella squadra annoverava anche Patrizia Panico, Ilaria Pasqui, Emanuela Tesse: tutto ciò faceva sì che per me anche gli allenamenti erano una prova da sostenere con il massimo impegno. Il destino ha voluto che Tatiana diventasse la mia allenatrice a Pinerolo: lei ha una gestione del gruppo molto valida e trasmette delle sue competenze con tranquillità. Ha così formato una squadra molto unita, magari non eravamo le più forti ma le più coese: questo ci portava a vincere le partite”.
Tatiana, ti ha fatto entrare nella grande famiglia ISS: perché? E soprattutto cosa ti aspetti?
“Per me la formazione continua è molto importante: ancora oggi quando Tatiana mi allena ritorno a essere la bambina di 15 anni, una spugna che vuole apprendere tutto. Durante i Campionati Europei da me disputati un grande allenatore ha detto che una squadra è il prodotto algebrico tra i singoli: basta che uno dia zero in campo e risultato di tutta la squadra sarà pari a zero. Ho deciso pertanto di intraprendere questo percorso nel vostro centro di formazione per capire fino a che punto si debba lavorare per essere decisiva all'interno di una squadra. Voglio imparare dai più bravi”.
Cosa pensi sia utile per far conoscere questa metodologia di lavoro individuale anche al mondo del calcio femminile?
“Innanzitutto, c'è uno spazio di crescita enorme, tutto da esplorare. Inoltre, vorrei far capire l'importanza della tecnica individuale. Anche per sgombrare il campo dagli equivoci, non basta portare l'attenzione al singolo gesto: la tecnica è legata alla tattica, allo stare in campo, al perché, al dove e al quando. Ritengo che un giocatore possa evolvere solo se è “pensante” ovvero in possesso dei meccanismi cognitivi che permettono di fare la cosa migliore in un preciso momento. Il fatto che io avessi una tecnica superiore alla media mi dava la possibilità di ragionare in campo”.
Che cosa che ti affascina di più in questo percorso?
“Il fatto che voi abbiate guardato e fatto esperienza anche al di fuori dei confini italiani: sono affascinata dai racconti dei percorsi formativi del Real Madrid e del Barcellona. Fino a oggi io ho potuto vedere soltanto come si lavora nel nostro paese: l'idea di collaborare con persone che hanno un orizzonte così ampio significa che potrò nutrirmi di nozioni preziose e differenti rispetto alla norma per formarmi una mia identità competitiva: non si finisce mai di imparare”.
Cosa puoi dire, e dare, a una ragazzina che inizia a giocare a calcio?
“Tanto! Gli posso dire che questo sport ti dà la possibilità di sognare e dare la spinta per nutrire quella voglia, quella determinazione necessaria a raggiungere quei traguardi che da bimba hai solo sognato”.
LA CARRIERA
Pamela Gueli è un attaccante di ruolo: con la Nazionale italiana nel luglio 2008 ha vinto gli Europei Under-19. Nella fase finale della competizione ha giocato quattro partite segnando tre gol, risultando la migliore marcatrice delle azzurrine. L'UEFA l'ha anche annoverata tra le dieci migliori giocatrici del torneo.
Ha giocato nel calcio femminile a 11 fino al 2015, con Torino, Roma, Juventus Torino e Atletico Oristano. Nella stagione 2016/2017 è passata al calcio a 5, giocando in serie A con il Pescara Futsal. Nelle ultime tre stagioni ha giocato nel Pinerolo, squadra piemontese che milita in Serie C femminile.
Al di fuori del calcio, ha acquisito notorietà mediatica con la partecipazione come cantante all'undicesima edizione del programma “Amici” di Maria De Filippi.